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IL POZZO SENZA FONDO: 48MILA LAUREATI SONO ANDATI VIA NEGLI ULTIMI 10 ANNI. DONNE, SOLO UNA SU TRE E’ OCCUPATA

Siamo diventati una terra triste, invecchiata, rassegnata, ripiegata su se stessa. Chi può fugge chi non può cerca di sopravvivere (e si incattivisce). Abbiamo perso la migliore gioventù e il capitale umano necessario allo sviluppo. Sono rimasti gli anziani, i dipendenti pubblici, i beneficiari senza arte né parte delle rendite parassitane e improduttive, un esercito di avvocati (2500) e di commercialisti (1500) senza clienti e prospettive Abbiamo un avvocato ogni 250 abitanti e un commercialista ogni 350 abitanti Pochi i manager, gli ingegneri informatici, gli esperti di marketing e di finanza, i tecnici della trasformazione digitale e ambientale.

L’economia della Capitanata durante gli ultimi dieci anni ha perso 1,2 miliardi di euro di PIL, tutto nel settore pri­vato (manufatturiero, agricolo, commercio). L’effetto più devastante l’ha subito il sistema produttivo riducendosi di ol­tre il 30%.

Il PIL per abitante è sceso al 55%, pari a 16mila euro, rispetto a quello del centro-nord pari a 30mila euro, ciò ha determina­to un calo vistoso degli investimenti, dei consumi e dei livelli occupazionali.

Lo scarso dinamismo dell’economia di Capitanata rispecchia l’estrema fragilità del suo sistema produttivo caratterizzato da una frammentazione di piccole imprese (oltre 67mila, un’im­presa in media ogni 9 abitanti circa), da una limitata apertura ai mercati internazionali e da una specializzazione orientata ai servizi a basso contenuto di conoscenza.

Un dato interessante da evidenziare è che, a fronte di un calo del PIL così vistoso, il saldo tra nuove imprese e cessate è po­sitivo. Ciò è dovuto al fatto che, non avendo possibilità di un la­voro dipendente stabile, si aprono attività economiche spes­so senza alcuna prospettiva.

La dimensione media delle imprese è di 4 addetti e ciò deter­mina bassi livelli di produttività e impiego di lavoratori a bassa dotazione di conoscenza. Nel 2019 la quota di dipendenti nel­la manifattura ad alta tecnologia o nei servizi a elevata inten­sità di conoscenza era solo del 5,5%. La stragrande maggio­ranza delle imprese è in forte ritardo nell’adozione delle tec­nologie digitali, assenza totale di ricerca e sviluppo, per nien­te manageriali e tutte familiare. Tutto questo crea difficoltà nel creare lavoro e costituisce fonte di disuguaglianza tra chi il la­voro in qualche modo lo conserva e chi lo cerca disperatamente.

Alla vigilia della pandemia da Covid-19 solo il 40,1 % della po­polazione in età da lavoro risultava occupata contro il 66,6% del centro-nord. Il dato post pandemico è sostanzialmente ri­masto invariato, poiché gran parte del lavoro dipendente è pubblico e le imprese sono poco o per nulla esposte ai mercati internazionali.

Dal 1980 al 2020 il tasso di occupazione è sceso dal 50% al 40,1 %, la doppia recessione del 2008 e del 2013 ha inciso sia per la componente maschile sia per quella femminile.

Il dato più insopportabile e inaccettabile è il tasso di occupa­zione femminile pari al 29,1%: su dieci donne solo tre hanno un lavoro per lo più precario e sfruttato.

Negli ultimi 40 anni nella provincia di Foggia la condizione la­vorativa delle donne è migliorata di poco, con un tasso di oc­cupazione passato dal 25,1 % del 1980 al 29,8% del 2020, per lo più occupate nei servizi alla persona. Il dato regionale è pa­ri al 32,8%, quello nazionale è del 51,2%, l’area Euro presen­ta un dato pari al 62,4%.

In una società basata sulla conoscenza la qualità media del lavoro è inferiore alla media nazionale, gran parte del lavoro è pubblico e forte risulta l’incidenza di impiego nel settore allog­gi, ristorazione, commercio, agricoltura e servizi alla persona. Le retribuzioni medie risultano inferiori alla media nazionale di oltre il 28%. Il 50% delle famiglie non riesce ad affrontare spe­se straordinarie che superano i 450 euro.

Il dato sconcertante è la difficoltà estrema a trovare un lavoro regolare e di buona qualità. Nell’ultimo decennio sono pro­gressivamente aumentati i flussi migratori in uscita. Hanno abbandonato il territorio di Capitanata oltre 160mila persone, per lo più con destinazione centronord e per il 30% sono laurea­ti. La probabilità che un laureato trovi lavoro in questa terra ri­spetto alla propria formazione era una su dieci nel periodo antecedente pandemia e guerra Ucraina. Tutto ciò crea difficoltà ulteriore nell’accumulazione di capitale umano. In altre parole, negli ultimi dieci anni sono andati via 48mila laureati, un capitale investito in istruzione stimato in 45 miliardi di euro i cui ritorni saranno a tutto vantaggio delle aree del centro, del nord Italia e di Paesi esteri.Un territorio senza lavoro è senza dignità. L’aspetto più sconvolgente è che di fronte a questi numeri nessuna organizzazione o istituzione ha preso consapevolezza del suicidio collettivo che ci aspetta. Ho la sensazione che questa provincia da tempo soffra di una mancanza di pensiero, nonostante la 

presenza di una Università che, a vedere i numeri, ha contribuito poco o nulla alla crescita e allo sviluppo economico del territorio. Ogni anno perdiamo capitale umano pari ad una città e nessuno ne parla. Paradossalmente, ad attenuare la gravità della situazione sono stati gli immigrati che hanno salvato alcuni settori economici quali l’agricoltura, il turismo, la ristorazione e i servizi alla persona, oltre ad aver aperto oltre 2mila attività economiche e commerciali. In questi numeri non ci sono le mi­gliaia di studenti universitari che hanno scelto la loro forma­zione in altri atenei del centro e nord Italia e che non faranno più ritorno, i più preparati e per lo più provenienti da famiglie più abbienti.

La Capitanata è diventata una terra triste, invecchiata, rasse­gnata, ripiegata su se stessa, seduta in attesa di non si sa che. Chi può fugge, chi non può cerca di sopravvivere. Sono stati persi la miglior gioventù e il capitale umano necessario allo svi­luppo. Sono rimasti gli anziani, i dipendenti pubblici, i benefi­ciari di rendite parassitane e improduttive, un esercito di avvocati (2.500) e commercialisti (oltre 1.500) senza clienti e pro­spettive. C’è un avvocato ogni 250 abitanti e un commerciali­sta ogni 350 abitanti. Pochi i manager, gli ingegneri informati­ci, gli esperti di marketing e di finanza, i tecnici della trasfor­mazione digitale e ambientale.

Colpevoli di questo disastro la scarsa qualità istituzionale pub­blica e privata, imprenditoriale e delle professioni, come pure politiche pubbliche inefficaci e inefficienti, che hanno avuto ef­fetti collaterali tutti a favore di fenomeni corruttivi, criminali e parassitari.

Il PNRR potrebbe essere l’occasione storica e irripetibile di un cambio di marcia se saremo in grado di progettare il futuro. Le avvisaglie non sono delle migliori.

l’attacco