È partito tutto da un pizzino elettronico, sequestrato all’interno del cellulare di una dipendente delle Poste a seguito di una denuncia molto circostanziata. Era la foto di un foglietto con l’elenco di 191 nominativi, identificati attraverso il proprio codice fiscale che – a loro insaputa – sarebbe stati utilizzati per ottenere il pagamento del reddito di cittadinanza o del reddito di emergenza. La presunta truffa da oltre 700mila euro è stata scoperchiata negli scorsi giorni dalla Procura di Foggia: i soldi finivano su carte prepagate oppure venivano ritirati in contanti allo sportello, e – secondo gli accertamenti della Finanza – finivano in tasca a chi ha ideato il meccanismo e ai suoi presunti complici.
Il pm Marco Gambardella e il procuratore Ludovico Vaccaro contestano le accuse di false attestazioni, oltre che di associazione per delinquere finalizzata al peculato e alla truffa aggravata ai danni dello Stato ad almeno cinque persone che due settimane fa hanno subito una perquisizione. Si tratta di Liliana Anna Fiore, 39 anni, di San Severo, Giacinto Alessandro Musei, 49 anni, di Bisceglie, i fratelli Claudio e Daniele Tocci, 38 e 40 anni, di San Severo, Vinicio Faienza, 65 anni di Torremaggiore, i primi dipendenti di Poste e l’ultimo dell’Agenzia delle Entrate. La mente della presunta truffa sarebbe Claudio Tocci, fratello dei due dipendenti di Poste già noto alle forze dell’ordine, che avrebbe coordinato le operazioni mettendo in piedi il meccanismo fraudolento. Le indagini partite negli scorsi mesi con il sequestro del cellulare della Fiore hanno permesso di accertare che le richieste del reddito di cittadinanza erano relative o a soggetti inesistenti, oppure a cittadini stranieri che sono risultati inconsapevoli rispetto ai pagamenti: 71 codici fiscali utilizzati per le domande sono stati tutti generati dall’ufficio territoriale dell’Agenzia delle Entrate di San Severo, tra gennaio e febbraio 2021, «in molti casi in assenza dell’indicazione del relativo domicilio». In questo modo sono state presentate 170 domande di reddito di cittadinanza, attraverso Caf e patronati, con 167 persone che hanno percepito 429mila euro. Altri 149 nominativi sono stati utilizzati con lo stesso meccanismo per chiedere il reddito di emergenza: di questi, in 118 hanno ottenuto 225mila euro. Il pagamento doveva avvenire con il bonifico domiciliato, cioè il pagamento allo sportello postale: in quel momento l’operatore avrebbe dovuto controllare il documento di chi richiedeva i soldi, cosa mai avvenuta.
Sono state le chat ritrovate sul telefono della Fiore a svelare ai finanzieri il meccanismo della truffa. «Lunedì iniziano le pensioni», diceva la donna. «Meglio ancora. In mezzo al casino. Lunedì sn emergenza», rispondeva Claudio Tocci che la istruiva anche sul modo per evitare possibili indagini: «Svuota le chat.
Non lasciare tracce. Nn si sa mai. Prendono il celi. Tu togli tutto. E nn parlare al cel. L’unica cosa che puoi dire se ti chiede cm mai hai pagato tanti rem (reddito di emergenza, ndr) tutti insieme devi dire che è venuto uno che sulla domanda stava scritto delegando. E hai fatto i pagamenti.
Mantieni sempre una linea». «Sui bonifici non esiste delega», rispondeva però la donna. Ma Tocci la tranquillizzava: «La colpa è dell’Inps che accoglie i pagamenti».
Le 15 perquisizioni eseguite dalla Finanza miravano a cercare le copie delle domande e dei documenti di identità dei cittadini stranieri utilizzati per la truffa, e sono state eseguite prevalentemente tra Cerignola e Torremaggiore ma anche in Sicilia e negli uffici di cinque patronati tra Palermo, Villabate, Corato, Spinazzola e Torremaggiore. La documentazione sequestrata è ora al vaglio della Procura di Foggia. Nel frattempo l’Inps ha revocato le* prestazioni sociali a circa 220 persone: anche chi risulterà consapevole di aver richiesto il reddito di cittadinanza senza averne i requisiti rischia una denuncia per truffa,
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