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DA ADRIA, ORA VIESTE INCONTESTABILE PATRIA DI OMERO, ALL’ORIGINE DEI MARI E DELL’ATLANTICO

  “La tradizione vuole che Adria sia stata la metropoli di una grande terra, o di una grande isola sprofondata sul fondo del mare che da essa prese il nome, l’Adriatico, e della quale le varie isole si identificano con le sue cime più alte (Del Viscio. Uria)”. Come Adria pure Vieste col nome di Uria sprofondò nel giro di una notte e un giorno. Un fatto mitico che nasce dallo sprofondamento in una notte e un giorno, per volere degli Dèi, della Troia di Omero, ora viestana rovinata Merino, sprofondamento che avvenne pure per l’Atlantide di Platone e altre città continentali tra cui la mai più trovata Skeria, anche se ora viene individuata erroneamente con l’isola greca di Corfù con l’avallo del commerciante d’oro di seconda mano Schliemann, città che Omero identifica come la capitale, metropoli del Continente Apeira, aperta, ora definito introvabile, ma che per lo scrivente si tratta dell’attuale Europa, vasta vista, che indubbiamente è un sinonimo di aperta.

Complici sia Strabone (Italia, V.1,8) quando scrive: “Dicono che Adria fu città illustre, che diede anche il nome al Golfo Adriatico, con un piccolo cambiamento“; sia la perdita di memoria dei Veneti sulla sacralità della loro città di origine, Vieste in quanto Troia, poiché il porto del Pantanella, toponimo derivante dalla fusione degli etimi greci Panta-ne(a)-el(os)-la(às) che significa “tutto navale approdo rupe”, cioè una “rupe completamente di nave approdo, equivalente del greco sceripto, indeuropeo sker, da cui l’omerica Skeria per Vieste, che diventa anche il porto di approdo del popolo dei Paflagoni che Omero definisce “di tra gli Eneti”. Gli omerici Paflagoni prendono il nome dal verbo greco paflazò: gorgoglio, derivante dalle gorgoglianti e sonanti gole, o ugole delle sorgenti delle correnti viestane, in particolare quella del Canale della Chiatà presente nel porto del Pantanella, poi identificati come Veneti. I quali Paflagoni, ora dati come popolo dell’Asia Minore settentrionale sia perché originaria regione di loro provenienza, ma pure perché la Troia di Omero è stata da qualche millennio identificata erroneamente prima con Burnabashi poi dall’affarista Schliemann con Hissarlik, località situate sul Bosforo perché malamente confuso con l’Ellesponto di Omero. Ma Paflagoni che vengono identificati da Omero come “di tra gli Eneti”  che “abitavano in nobili case e stavano intorno a Sésamo e intorno al fiume Partenio”. Località individuabili come viestane sia come originaria favolosa porta della Grande Madre Terra presente in una iscrizione su pietra viestana scritta in greco arcaico indicante Porta della Grande Madre Terra. Acqua Sorgiva, che è da individuare pure come la favolosa porta di Sèsamo, sia per il fiume Partenio, che è uno dei tanti nomi del mitico Canale della Chiatà che scorrenel porto del Pantanella e che da Vieste, rifondata come porta col nome di Thuria dagli Achei nel 510 a.C. sul fiume Teuthrante, che è il Canale della Chiatà che scorre ai piedi del Montarone. Da Teuthrante deriva il nome alla falsa isola Teuthria che con lo scavo di un canale Diomede avrebbe voluto rendere una vera isola ma che non riuscì per sua sopravvenuta morte. Teuthria per il Montarone, toponimo di origine greca derivante dalla fusione degli etimi moun(az)-taur(os)-onem col significato di “peduncolo isolato ma non distaccato avente la forma di corna di un toro possente” è la quasi isola abitata delle due Isole Diomedee nella quale scorre il monumentale Timavo (Strabone, Plinio) formato da sette correnti tutte di acqua salmastra ad eccezione di una di acqua buona che con l’aiuto di Polibio identifica Teuthria, per il Montarone, come sorgente e madre del mare. Nel 1907 due lavandaie raccontano al Beltramelli di un nido del mare che si è formato sotto la montagna (il Montarone), un concetto che parte da Omero quando racconta che il mare è stato generato dalle visceri della Terra e che con tutti i fiumi, tutti i pozzi e tutte le sorgenti venivano traboccati dalla forza di Oceano, padre di tutti gli Dèi e dell’omerica Calypso, la cui residenza si trova Sotto il Ponte, che dal greco ponèto sta per la pena sofferta da Odisseo per sette lunghi anni. Come Porta della Grande Madre Terra, Vieste viene rifondata dai Thurii col nome di Thuria (Livio) che è sinonimo sia dell’indeuropeo thura all’origine della Thyrrenia o Etruria, del Mare Thyirreno e dell’Italia come Tirrenia, cuiaggiungere la cantora Liguria e il suo mare; sia all’ebraico fenicio turah che porta alla rovinata Tiro, per Vieste, descritta dal profeta Ezechiele nella Bibbia senza sapere a quale città si riferisse. I Paflagoni, perduto il loro re Pulemène (= Porta Luna) sotto le mura di Troia, ora sepolta Merino, cercando una nuova patria si misero a navigare, come tutti gli altri popoli partecipanti alla Guerra di Troia che, secondo Seneca e altri, sbarcano a Uria, Vieste, per poi ripartire popolando l’Europa. Infatti, secondo Livio, i Paflagoni, o Veneti “approdano nella più profonda insenatura del Mare Adriatico.”, che è da individuare sia con il porto di approdo della città angolo, o atlante, o pizzo, o di punto fermo, o di porta, di questa profonda insenatura del mare Adriatico provocata sia dalla sporgenza sul mare del Gargano, sia per la notevole estensione della vallata del Pantanella con le sue acque profonde fino a m 23 venuta fuori durante gli scavi, contenente alcuni strati di mota, delle fondamenta di alcuni fabbricati nati per la Legge 167 degli anni 1970, che come porto di approdo di tutti i popoli provenienti dall’Asia Minore e dalle regioni Indeuropee tra i quali, in questo caso solo idealmente, pure gli omerici Paflagoni. I quali “cacciati gli Euganei”, nome derivante dal toponimo viestano di (S.) Eugenia appartenente sia al corno di sinistra del Montarone guardato da monte, sia all’isoletta del Faro, che è l’isola disabitata sulla quale viene sepolto Diomede, “stanziati tra il mare e le Alpi, Eneti e Troiani occuparono quella regione. Regione viestana che per il comune destino di tutti i popoli furono costretti da successive ondate migratorie a spostarsi sul suolo italico ed europeo (Seneca. A Elvia) fino a restringersi in questo caso nell’attuale Veneto. Nome proveniente dagli omerici Oinetoi, da cui la leggendaria Oiniade presente nelle monete uriatine e da cui il nome Uniade per Vieste, tra i quali popoli inserire i Paflagoni, alleati dei Troiani. Un fatto da valere pure per il Friuli Venezia Giulia, nome che deriva dagli omerici Heneti e da Troia in quanto Ilio da cui Iulo, figlio del troiano Enea all’origine della Gente Giulia per i Romani che vale per i Friulani.

        Alcuni scrittori, dando dimostrazione della superficialità con cui è stata redatta la storia remota dell’Italia, e non solo, hanno creduto di interpretare Strabone identificando Adria con la cittadina veneta di Atria (Ediz. Bur) che, distante 5 km dal mare, non poteva assolvere la funzione di punto di riferimento marittimo qual è il Montarone, che si trova al vertice della più profonda insenatura dell’Adriatico già precisata. L’errata tesi di Atria per Adria è stata supportata dal silenzio dei Viestani, un popolo che proprio per l’arrivo di continue ondate migratorie nel loro antico porto naturale del Pantanella, ha perso la continuità delle sue memorie con una involuzione che bene si sintetizza con la loro attuale perdurante confusione tra il: 1- <Pizzomunno>, che indica la remota funzione storico-religioso-mitologico-geo-demografica di angolo, di origine, di atlante, di pizzo, di punto fermo, di centro, di metropoli, di porta, dell’antico mondo della remota Vieste e toponimo che è presente negli omerici abitanti di Skeria, detti da Omero Feaci, che Nausica descrive come abitanti che “vivono lontani, isolati (non isolani), separati nel mare grandi flutti all’estremo del mondo”, da cui i Viestani come Vestysane, per la presenza del latino aestus del mare grandi flutti, e di Vieste all’estremo del mondo da cui il Montarone, su cui poggia il centro storico di Vieste, da identificare come Pizzomunno; 2- e il <Puzmume>, per il tanto decantato monolite che dal greco pougx-mòmos, per Omero e per realtà, è uno smisurato marchio d’infamia vomitato da Poseidone per ammonire i Feaci a non accompagnare più nessuno dopo averlo fatto con Odisseo. Feaci, che prendono il nome dalla luminosità (gr. fai) dei corni (acis) del Montarone, venendo puniti da Poseidone perché li considerava navigatori superbi che non sottostavano ai suoi voleri, malgrado Skeria fosse stata fondata da Nausitòo, il navigatore veloce, figlio di Poseidone, secondo Omero.

        A tale involuzione ha giocato un ruolo determinante la particolare marginalità geografica e culturale degli antichi Viestani; un fatto che li ha resi incapaci di rivendicare ad alta voce la loro importante e infinita storia di remota metropoli (= città madre, riduzione di Pizzomunno) dell’attuale Europa, tant’è vero che Vieste nel 1800 viene indicata come <la Perduta> dal Gregorovius, la <Sperduta del Gargano> dal Beltramelli nel 1907 e la <Sperduta> di un certo D.O.. Ciò premesso si osserva che in realtà il piccolo cambiamento di cui scrive Strabone non riguarda la permuta della d di Adria con la t di Atria, perché si tratta della adozione di un sinonimo della forza presente in Adria e in fes o ves radice di Festi e Vesti (Strabone) e nel greco rome dai cui il nome di Roma, derivata dalla potenza del Montarone viestano. Un fatto avvenuto pure per l’infaticabile Atlantide, gr. a-tlenai da cui il Continente Thule falsamente trovato da Pitea a Nord dell’Europa. Isola o Continente Atlantide sprofondato e ora vanamente cercato sotto l’Oceano Atlantico, ignorando che Atlantico è un sinonimo di Adriatico. Ma Forza presente in ves di Ves-ta: forte estremità, nome reso proibito dietro pena di morte per la legge dei Romani in cui visse Strabone, poiché la divina Vesta di loro venerazione non poteva essere sottoposta al rischio di adulazione da popoli prossimi ad essere conquistati, e nella forte Adria che dà il nome al viestano Golfo Adriatico che diventa pure, con la piccola variazione di Strabone, un sinonimo dell’infaticabile Oceano Atlantico. Infatti dal significato del nome Adriatico il suffisso tico è la forma contratta del verbo greco ticto: origino, dò alla luce, genero, mentre prima ancora del latino adrias, la radice adria deriva dal greco adros: forte, fertile, prospero, che partono dal possente Montarone viestano che geograficamente è una forte prominenza, o una forte prosperità, in realtà pure fertile, che sporge sul mare alle cui onde è perennemente sottoposto, opponendo una forte resistenza.

      I primi a citare il Golfo Adriatico sono stati Tolomeo nel settecento a.C., Erodoto nel cinquecento a.C. e in pieno periodo imperiale Strabone nel primo secolo a.C., che indicano il viestano forte, o adros, o possente Montarone come punto di separazione tra il Golfo Adriatico e il Mare Ionio. Anche se questi due Mari erano divisi già dagli omerici Feaci abitanti della capitale del continente Apeira (ora Europa), Skeria (ora Vieste) dalla quale Omero e per bocca del suo re Alcinòo, padre di Nausica, nel presentare il naufrago Odisseo, divideva in due il suo Oceano in genti esperion: (Occidentali, per il Golfo Adriatico e da cui l’Esperia per l’Italia), e in genti eonion: (Orientali, per il Mare Ionio). Divisione praticata da Omero con l’Ellesponto, che significa: “orientale (elles), sentiero del mare forte e alto (pontos) da percorrere per tre giorni andando da Troia “verso l’Aurora” che non è lo stesso del canale stretto da due terre del Bosforo sul quale è stato ubicato erroneamente da almeno 2700 anni. Il nome Vieste significa figlia dell’Oriente, o dell’Aurora, o del Sole nascente, o del Mattino come pure figlia del Greco. I pescatori viestani tuttora dividono quello che era l’Oceano di Omero da una parte con “u Mère Granne”, il Mare Grande per il Mare Ionio in quanto Mare Orientale, alla destra di Vieste. Identità che si trova nel verbale toponimo viestano di Drète u Riante, assegnato anticamente alla centrale piccola spiaggia ora detta della Marina Piccola, che indica il punto più orientale della Terra, di cui Vieste è figlia, e punto di origine del mare orientale, il Mare Ionio. Dall’altra parte “u Mère Pìccole”, il Mare Piccolo per il Golfo Adriatico, detto dagli inconsapevoli pescatori viestani le Acque de Fore, le Acque di Fuori, mano, o della mano sinistra, o della mano mancina che parte dal toponimo la Mancine assegnato alla parte sinistra del corno grande del Montarone, precisamente da dove aveva origine il porto commerciale viestano, che quindi diventa il Mare Occidentale, o di Sinistra per il Golfo Adriatico che parte dalla parte sinistra di Vieste come prosecuzione di Drète u Riante. Per meglio regolarsi basterà guardare da Vieste il Sole quando nasce dal mare frontalmente in Estate.

     3)- con il nome romano di Maris Superius, l’Adriatico si identificava con il mare che nasceva sopra il punto in cui si doppiava un capo, ovviamente marittimo qual è il Montarone, e non dell’entroterra di Atria, oltre tutti gli altri significati comuni sia ad adros, sia a superius tra i quali si evidenziano quelli di prospero, forte, fertile e, se riferito a persona, matura, che si trova nella Megale Ellas, poi romana Magna Greca per Vieste anche perché è figlia del Greco.

Di Adria e del suo fertile territorio, o di isola sprofondata, si conosce poco perché il suo mitico affondamento, il cui mistero si risolve pensando anche a un affondamento in orizzontale sul mare del Gargano conalla sua estremità il Montarone da cui pure la prosperità presente in adros di Adria e della sua isolata terra, diventa una palingenesi dello sprofondamento di Uria che parte da quello di Troia di Omero, ora rovinata Merino, in virtù del quale il Montarone risorge con nomi diversi, a seconda dei popoli quivi approdati e che da esso vengono adottati cambiando di volta in volta il suo nome, ma città il più delle volte identificata con analogo significato a quello di Adria come città forte, anche perché il Montarone viene vestito di rupi da Poseidone, secondo Omero.

Quale era allora l’Adrias romana che si trovava sul capo marittimo da cui originava il Golfo Adriatico? Lo si deduce da alcuni degli antichi documenti seguenti: nella sua relazione <ad limina> il 6 Maggio 1752 il vescovo viestano pure di nascita Niccolò Cimaglia scrive: “la città ora Vestana è situata alla bocca del mare Adriatico” (Spedicato). Questa identità di Vieste direttamente con la bocca dell’Adriatico, cioè punto di origine dell’Adriatico, non è altro che quella più recente. La più remota risalirebbe al suo abbandono da parte di quelli che si identificarono col nome di Celtici tramandati da Seneca (A Elvia). I Celtici, infatti, hanno il nome formato dal greco cella, bocca, e dal tico, origino, perché originati sempre da questa bocca, che è lo stesso di una porta viestana.

L’identità di Vieste con la bocca dell’Adriatico, per il Montarone nell’identità di Pizzomunno, con la prospera Adria e con buona parte degli altri nomi citati per lo stesso punto geografico è tanto più vera se si considera ciò che di Vieste scrivono alcuni antichi scrittori. Strabone (Italia. VI.3.8) scrive: “il Gargano, che si protende verso levante per 300 stadi. Doppiando il capo del promontorio si incontra la piccola città di Ourion, (..). Tutta questa terra è fertile e produce ogni genere di prodotti“; Polibio (Storie II.14,4-5) scrive: “L’Italia nel suo insieme, ha la forma di un triangolo e il lato che si piega verso oriente (l’angolo, o atlante, o pizzo di Pizzomunno di Vieste esposta a Oriente) è delimitato dallo <Stretto Ionico> (l’Ellesponto di Omero) e subito di seguito dal Golfo Adriatico“. Il matematico Tolomeo (Geografia) nel settimo secolo a.C. scrive: “nel mare Ionio Salapia, Siponto, Apeneste 42,50,40, Monte Gargano 42,20,41. E adiacente il mare Adriatico, Hyrium”; La differenza tra questi numeri, che sono le coordinate geografiche finora individuate come tali soltanto dallo scrivente, sono riferiti al protrarsi del Gargano sul mare che ha per suo capo Apeneste, scambiata da alcuni antichi scrittori viestani, e tuttora da altri, con un’isola. Ne è di esempio il canonico Masanotti che in seguito a quanto affermato da altri scrittori viestani e senza prendere in considerazione il Montarone, fantasticando scrive: “Che l’antica Apeneste, oggi Vieste, negli antichi tempi sia stata isola è indubitato (..) il nome Apeneste in loro (greco!) idioma è composto di due elementi, cioè: Apon-Estia, che dinota separato, discacciato, allontanato dalla terra prendendosi per Vetta della Terra (il Montarone come Pizzomunno!) (..) Apeneste suonerebbe separato, discacciato, allontanato dal fuoco, che sarebbe l’elettrico; mentre non altrimenti poteva scindersi, ed allontanarsi un gran sasso dalla montagna garganica, che da una scossa di terremoto: quindi nell’uno, e nell’altro modo si prende il vocabolo Vesta, sempre il sasso Apeneste ci dà l’idea di pietra, o sasso separato, allontanato, discacciato dal Promontorio Garganico”. Fenomeno avvenuto per la scomparsa Adria per il Montarone che per ragioni poetiche pure Omero a volte identifica come un’isola. Mentre più giustamente dalla fusione degli etimi greci apen(euthe)-este, Apeneste diventa, come è nella realtà, il riferimento geografico di Tolomeo per l’estremità orientale del Gargano e punto di riferimento del Mare Ionio che originava da Vieste in quanto Apeneste, che come posizione geografica è l’equivalente di Hyrium in quanto città adiacente, punto di origine del Golfo Adriatico e confine rimasto valido ancora in mappe del 1600. Dalla differenza dei numeri di Tolomeo scaturiscono i 300 stadi di Strabone, cioè i circa km 50 che si riferiscono alla sporgenza sul mare del capo del promontorio, ora Testa del Gargano per Apeneste, che una volta doppiato si trova Ourion per Vieste. Apeneste che indicare anche il punto di origine del Mare Ionio, che significa Orientale, che parte da Vieste: figlia dell’Oriente, e quindi pure da Uria in quanto Adria città adiacente, all’origine del Golfo Adriatico, sempre Vieste che diventa automaticamente la prima città dell’Occidente, a cominciare dall’Esperia per l’Italia e che è lo stesso punto di confine esistente in Omero e nei toponimi anche verbali viestani.

      Anche se ora gli Ioni sono identificati come un popolo dell’attuale centrale Grecia, nazione che ha erroneamente fatto incetta di tutta la questione omerica, ma che a parte il mitico Ione, il Mare Ionio nasce dalla vergine Io, greco , simbolo della Luna e figlia di Inaco, dio fluviale di un personaggio di nome Argo. Io si mise in fuga dalla adirata moglie di Zeus, Era, che si era accorta della loro tresca, percorrendo tutto questo mare e giungendo in Egitto. Questa nasce da scrittori antichi tra cui principalmente Erodoto in sostituzione dell’anonima donna bella rapita dai Fenici a Sìrie, sotto Ortigia, dov’è il calare del Sole, narrata da Omero, che dichiara Sirìe città di nascita del fedele porcaro Eumeo, figlio del signore di questa città che venne rapito dai Fenici, venduto al mercato degli schiavi e acquistato da Odisseo che lo trasferisce a Itaca (sempre Vieste). Questa Ortigia, situata da Omero dov’è il calare del Sole, cioè da dove ha inizio il calare del Sole è ora definito luogo introvabile, ma che diventa lo stesso di Skeria, ora Vieste, sia come città di divisione tra la gente esperion e quella eonion, sia per la presenza del sentiero del forte e alto, o vasto, mare del pescoso Ellesponto percorribile, secondo Omero, in tre giorni di navigazione verso l’Aurora per raggiungere la Tracia, i cui Traci chiudevano l’Ellesponto (Iliade II, 844), luoghi che quindi fanno tutti capo a Vieste in quanto Pizzomunno. Città di Vieste sulla quale in effetti inizia il calare del Sole che dopo avere raggiunto il suo vertice giusto a Mezzogiorno che si realizza nel giorno del solstizio d’Estate che è presente nel latino aestus dei Vestysane. Malgrado, secondo Omero, questa bella donna rapita dai Fenici fosse stata uccisa sulla nave da una freccia lanciata da Artemide dopo sei giorni di navigazione, viene poi fatta mitologicamente rivivere da Erodoto (Eschilo e Ovidio) come la vergine rapita dai Fenici ad Argo (per il bianco Montarone viestano che vale pure per Creta e che è lo stesso della Sirìa di cui scrive Omero). La quale Io, dopo la seduzione da parte di Zeus, per disingannare la sua gelosa moglie Era viene trasformata in una cornuta vacca bianca che, dopo avere ripreso le sembianze umane dovute alla intervenuta confessione di Zeus, attraversa tutto il mare (Ionio) e una volta giunta in Egitto diventa la cornuta Iside, che nella sua venerazione a Roma sostituisce Venere la quale a sua volta aveva sostituito Vesta. è la riduzione letteraria di Eos, dea dell’Aurora di cui, anche per la sua potenza, il cornuto bianco Montarone col nome di Vieste, è figlia.

      Una prova che la forte Adria sia la città al capo, o alla Testa del Gargano che porta al possente Montarone si trova in Platone (Crizia) quando di Atlantide, che come infaticabile è un sinonimo della forte Adria ricavata dalla potenza del Montarone viestano in quanto Pizzomunno che rafforza l’identità con Atlantide poiché atlante e pizzo sono sinonimi, Platone scrive: “E per fermo (è l’identità di Vieste come puntello di navi, terminale marittimo dello Stretto Ionico oltre il quale c’è il Golfo Adriatico di Polibio e di Vieste come Pizzomunno. Vieste col nome di Estia (sacrario, santuario), o Istia, che dal greco isthemi è il fondamento, statua, atlante, angolo, sisto, porta, passaggio, di punto fermo), quel tanto mare che è dentro alla bocca (lo stesso di Stretto Ionico di Polibio, bocca che sta all’origine dei Celtici e dei Cittei e bocca del mare Adriatico del Vescovo Cimaglia) “della quale favelliamo, è un porto dall’entrata stretta a vedere”(il Pantanella viestano con l’entrata stretta determinata dalle contrapposte Chianghe del l’Onne e Chianghe dell’Orne); “ma quell’altro assai propriamente dire si può vero mare”(il Mare Ionio)“e continente la terra che lo ricigne” (il Pantanella, già all’origine dell’omerico continente Apeira: aperta, che è lo stesso di Europa: vasta vista, ricordando Vieste come Pizzomunno che come Pizzo del Mondo è un sinonimo di Atlante e che ugualmente P. Mela tramanda <l’entrata stretta e difficile del porto “incinto” dalla continuità del litorale apulo”(gr. skeros all’origine di Skeria anche se proviene dall’indeuropeo sker per essere il Pantanella il porto di approdo dei popoli)“di nome Uria”. L’entrata stretta del Pantanella compare in alcuni porti dell’Odissea di Omero, in particolare con quello dei Lestrigoni con la fonte Artachia e il trascinamento al suo interno della nave di Odisseo e compagni, con la loro città Telepulos: lontana porta, situata da Omero sulla rocca di Lamo, per il divino Montarone, che per il Rocci diventa figlio di Poseidone cui erano consacrati tutti i promontori marini e anche perché il tempio di Lamia, Dea della gente lamia, viene ubicato da Del Viscio sotto l’antico tempio di S. Matteo a S. Marco in Lamis, cittadina garganica; con il porto dell’isola di Itaca con all’interno la fonte Aretusa; con il porto dell’isola dei Ciclopi con a capo una polla di acque perenni e con il porto dell’isola di Trinachia, o delle Vacche del Sole, traboccato d’acqua dolce con il trascinamento in una grotta della nave di Odisseo. Oltre il punto di vista geografico vi è anche un dato mitologico che collega Adria sia all’indoario Uria, forte, prospera, in quanto Oria (gr. Orie) è una fanciulla matura, pronta per il matrimonio ma non sposata, che è la principale prerogativa della dea greca Estia e poi della romana Vesta, tutti nomi di Vieste, divinità rimaste perennemente vergini; l’Uria greca è anche una bocca, un alveo con canale per trarre le navi da e per il mare (gr. òuròs da cui Uria per Vieste). Il nome di Vesta, che ha nel suffisso greco ta-te il significato di estremità e nella radice indeuropea ves il significato di cinto, incinto, fortificato dalla continuità delle rupi (gr. skeros), per il Montarone che venne vestito di rupi da Poseidone. Vestito che si trova in Veste o Vesta per Vieste.

Premesso che Adria ha in comune con Uria lo sprofondamento nel mare della terra, o dell’immensa isola che ha dato origine al nome del Golfo Adriatico che si personifica nella leggenda della bella fanciulla viestana di nome Uria, amata dal bel pescatore Pizzomunno, la quale viene incatenata (cinta con la forza, incinta) sul fondo del mare per l’invidia delle sirene (Beltramelli), si evidenzia che c’è una identità comune tra Adria e Uria pure nella fertilità della terra viestana e garganica. Infatti 1- Strabone (Italia, VI.3,8), scrivendo del Gargano fa riferimento a un “piccolo fiume che guarisce tutte le malattie del bestiame, che scorre ai piedi della collinetta di Drion (greco tauros, latino trio-onis: toro, presente nel Montaurone), posta alla sommità (= estremità del triangolo garganico) della Daunia, nome proveniente dalla fusione dei termini greci dauò-nyos che porta a una “sposa dormiente” perchè non ancora sposata qual è Oria, o Estia, o Vesta. Il quale piccolo fiume è da identificare con le correnti viestane e in particolare con il fiumicello del Pantanella, che scorre in prossimità del Montarone viestano, la cui punta del corno di destra, guardando il mare, conserva tuttora il toponimo di Drète u Trione: di Dietro il Toro. Strabone, (ivi 3,9) aggiunge: “Tutta questa terra è fertile e produce ogni genere di prodotti; inoltre è la migliore per l’allevamento dei cavalli e delle pecore” e (ivi VI.3.11) che: “In tempi precedenti, dunque, l’intero paese era prospero, ma fu poi devastato da Annibale e dalle guerre successive”; 2- Polibio (Storie, III. 86, 8.9.10) che non poteva, pena di morte, pronunciare il nome di Vesta, scrive: “Annibale, ormai certo del successo finale, per il momento rinunciò all’idea di avvicinarsi a Roma; durante la marcia si diede a saccheggiare indisturbato la regione, dirigendosi verso l’Adriatico. Attraversò quindi il territorio degli Umbri e quello dei Piceni, e al decimo giorno giunse sulla costa Adriatica” (III. 87,1) “A questo punto si accampò vicino all’Adriatico, in una zona particolarmente ricca di prodotti di ogni genere, e si dedicò con grande impegno a ristorare e a curare tanto gli uomini, quanto i cavalli“ (87.3); “In questo frattempo inviò anche a Cartagine, via mare, dei messi per far sapere quanto era successo; e questa fu la prima volta che toccò il mare, da quando si era mosso per invadere l’Italia” (87.4): “Perciò, una volta occupata questa fertile regione Adria fu distrutta da Annibale (III. 88,3) dopo che “In questa stessa città sostò per ritemprare uomini ed animali, colpiti dalla scabbia della fame” (III. 88,2). Il percorso di Annibale, che ha come obiettivo la conquista di Roma, aiuta a capire come Adria non si trovi nel Veneto, ma al di sotto del territorio degli Umbri e dei Piceni. Inoltre, ricordando che Strabone tramanda l’amore meretricio di Annibale nella città dauna di Salapia, confinante con Siponto (Manfredonia), l’associazione di Adria con la città principale di una terra particolarmente ricca di prodotti di ogni genere è una ragione in più per affermare che la cura della scabbia degli uomini e degli animali, sulla costa adriatica, nella città di Adria da lui distrutta dopo aver ritemprato uomini e animali, avvenne nel territorio di Vieste e specificamente nel porto del Pantanella da dove dovettero necessariamente partire via mare i messi per Cartagine. Ciò vale anche se l’unica moneta di Cartagine ritrovata a Vieste viene fatta risalire al IV sec. a.C.. Una città di Vieste naturalmente strategica conosciuta perché protetta da una parte da boschi e dalla Foresta Umbra (gr. ombreò), che è lo stesso di Uriatina (gr. oureò) per l’emissione di acqua e spargimento di seme (lat. urina) delle correnti viestane, dalla parte opposta dal mare con la possibilità di tante vie di fuga. Ciò che fece pure Spartaco che soggiornò a Vieste per due anni prima di scontrarsi con i Romani nella Battaglia di Canne, (E. Bacco e altri). Come le tante correnti viestane tutte salmastre, pure le uniche acque dolci interne al porto viestano erano rese leggermente salmastre per il loro contatto con le acque marine alla foce del Canale della Chiatà, diventando curative. Queste acque buone da bere provenivano dalla sorgente del Canale della Chiatà, toponimo derivante dal greco cyathos, in qualche modo simile al greco cythos (= ciato, coppa per attingere, coppa, tazza) poiché strumento necessario per prelevare acqua e da cui il popolo dei Cittei, diventando così per davvero curative per quei tempi, soprattutto per le malattie della pelle, detta scabbia, di cui erano affetti gli animali e gli uomini di Annibale. A “u Puzze de la Chiatà, o della Biatà”, Pozzo della Chiatà o della Biatà, si recavano sopra traini, cavalli, muli e asini gli acquaioli femmine e maschi che attingevano acqua che alcuni di loro fino agli anni 1950 vendevano come ambulanti a chi ne aveva necessità o non dotati dei mezzi necessari. Pozzo che venne coperto definitivamente negli anni 1980 per la cattiva abitudine di alcuni ragazzi che buttavano dentro gatti e cani, che dopo la loro inevitabile morte, rendevano non potabili le acque anche per gli animali che qui erano soliti fermarsi per abbeverarsi in apposite vaschette laterali riempite dai proprietari coi rispettivi secchi. A fianco del pozzo della Chiatà c’era una fessura della roccia nella quale chi andava per attingere acqua lanciava qualche obolo e sulla quale è stata edificata la chiesetta della Chiatà, ora diventata della Madonna della Pietà ma solo per buona eufonia. Pozzo che ora funge da terminale di scolo delle acque pluviali che si raccolgono nella depressione della vallata della Chiatà ma la cui polla sorgentifera di natura carsica è la stessa del Canale della Chiatà che, poco distante, origina e scorre nel Pantanella. Il fiumicello, o Canale della Chiatà, era già mitizzato per la guarigione di tutte le malattie del bestiame (Strabone, Polibio), per sanare il gregge poiché questo fiume viene chiamato pure Filàmo, cioè che cura gli animali (Licofrone. Alessandra). Questo fiumicello, che sgorga ai piedi della collinetta di Costa Martino, che dal greco martys diventa il testimonio, precisamente da Coppa Cardille, che dal greco cardias sta per un cuore, che pompa acqua, o per un orifizio, da cui sgorga il Canale della Chiatà, era miticamente conosciuto anche con altri nomi, perché sanava gli uomini anche dai loro peccati. Diventò presto un rito sacro il fatto che quanti approdavano nel porto viestano si tuffavano per la gioia, da cui il nome I-talia: isola in fiore, lussureggiante, pronunciato per la prima volta da giovani immigrati (Virgilio). Come pure per lavare le loro lordure fisiche e morali, cioè dalle colpe del passato da cui iniziare la nuova vita. Questo risanamento avveniva anche per alcune Dèe tra cui Era, dea della Terra che dopo ogni rapporto con Zeus, qui si immergeva per ogni volta ritornare vergine. A questa si aggiunge Demetra, che sempre in queste acque salmastre si immergeva per lustrarsi dopo ogni rapporto fisico. Infatti l’omerica Demetra, dea della Terra, è presente come damatira in un’iscrizione su pietra in lingua greca arcaica trovata in un fabbricato rurale sulla collina viestana detta del Carmine dal cui contesto il viestano Petrone traduce con: Porta della Gran Madre Terra. Acqua Sorgiva. Che si riferisce all’antica identità e funzione del Montarone in quanto Pizzomunno da identificare come Porta della Gran Madre Terra (l’omerica Demetra); Acqua Sorgiva è un inno alle numerose sorgenti presenti nel territorio di Vieste, che come Porta della Terra ha dato origine al nome dell’A-pulia, che dal greco a-pulè è senza porta, lo stesso dell’omerica Apeira, aperta, ora Europa, vasta vista, e degli Uri Aperti del Gargano di Catullo. Da pulè come porta nascono il re di Vieste, poi del Gargano Pilunno e i romani Portuno, e Portunno, finiti pietrificati alla vista della testa della medusa mostrata da Perseo, ma che sono personificazioni dei mitici Montarone, come porta, e del porto del Pantanella. L’omerica Demetra, che da De equivalente di Ge, o Geos, o Gaia che a Vieste è presente nel toponimo “La Gioia” località che si trova subito dopo il porto del Pantanella; matira è l’equivalente di meter e della latina mater, che porta damatira alla Terra Madre, o Madre Terra, da cui l’omerica Demetra, Dea della Terra. Demetra viene sedotta da Zeus e in un secondo momento da Poseidone, immergendosi nelle acque del Pantanella per tornare vergine. Il predetto toponimo di Carmine è attribuito alla fiancata orientale del porto del Pantanella visto da monte, diventata inesorabilmente come collina della Madonna del Carmine. Carmine è un toponimo che la dice tutta di questa remota, poetica e cantora Vieste poiché questo nome riassume la funzione del suo territorio come unità di luogo, di tempo e di azione dei poemi omerici. Poiché dall’italiano carme, radice di Carmine, principalmente indica un poema in versi cantati fatto pervenire dal latino carmen a sua volta fatto derivare da canere, cantare, che principalmente significa: opera: quindi un’opera cantata, cosa che avviene per i poemi di Omero che vengono cantati da cantori muniti di cetra. Il verbo latino carmino, proveniente dal greco carmina, indica il mettere in versi; in senso assoluto: poetare, del fantasioso viestano Omero. Il greco karma indica: gioia, letizia, giubilo, soggetto a letizia, mentre il greco karme, proveniente da kairò, significa: ardore bellico, cioè battaglia, pugna, combattimento, zuffa che riassumono l’appartenenza a Vieste del contenuto dell’Iliade e dell’Odissea, poemi scritti da Omero che li fa cantare a personaggi da lui inventati. Per Scheria, il cieco cantore Demodoco: il venerato dal popolo, scambiato con il vedente Omero; per Itaca il cantore è Femio: il famoso; per Argo il cantore è un anonimo. Ma città che sono sempre Vieste, che finora soltanto dallo scrivente è stata accertata come patria del loro autore Omero. Sulla collina del Carmine esisteva la strada vicinale, ora comunale, di (S.) Margherita che si prolunga con il Viale XXIV Maggio fino ad arrivare in linea diretta alla punta destra del Montarone. Una zona anticamente definita di Sope la Rène, Sopra la Rena, che deriva dal toponimo viestano di Renazze, nome che indica una terra frammista a sabbia incrostata detta crusta, che viene fatta risalire dai geologi a cinque milioni di anni fa e che identifica la parte iniziale del roccioso Montarone. Ed è la stessa crusta che Diomede avrebbe voluto tagliare scavando un canale per rendere vera isola la falsa isola di Teuthria, altro nome del Montarone viestano, che dal greco teuthrion è: biancastro, bianco antico, canuto, di cui sono costituite le sue rupi, ma che non riuscì perché morì, venendo seppellito sull’isola disabitata, chiamata Diomedea, per l’isoletta di (S.) Eufemia o di (S.) Eugenia, secondo i racconti di Plinio, Strabone e altri.

Oltre i porti, presenti ai lati dell’Istmo del Montarone, pure delle mura che, secondo Omero, a vederli suscitavano meraviglia a Odisseo al suo ingresso a Skeria, ci sono tracce nella storia di Vieste. Infatti G. Pisani (Platea del reverendo capitolo) oltre il 1660 scrive: “causa di piogge abbondanti numerosi blocchi di pietra lunghi 10 palmi, larghi 4 palmi e alti (spessi) 2 palmi sono comparsi nel 1666 fuori la Porta di Basso, che è quella esistente all’entrata della piazza di “Mizze u Fusse”, di Mezzo al Fosso, unitamente a “un fondamento bellissimo di muraglia”. Su queste Renazze, T. Masanotti (Ode alla Patria Vieste) nel 1848 scrive: “per gli scavi fatti per vigna da Nicola Martino dal 1800 in poi, verso il convento (che si trova sul fianco della chiesa del SS. Sacramento detta pure “chjèse du Cumménde”, chiesa del Convento) fino alla chiesa di S. Maria delle Grazie, anticamente detta delle Misericordie (o della Madonna della Libera) tratto del gran canale, che congiungeva le acque dei due mari dall’Est all’Ovest di Viesti (tratto che viene fatto derivare dalla distanza tra queste due chiese tra le quali, data l’avvenuta estensione del centro urbano, compare tuttora un dislivello di oltre una decina di metri che si trova tra l’origine del Montarone e l’adiacente Renazze) un accatastamento di pietre di varie dimensioni, le più grandi di palmi 8 lunghe, 2 di fronte (spessore), e 4 di testa (larghezza); mostrando tutto questo oltre di essere stato ivi una banchina marittima, anche fortificazione rimpetto alla terra opposta, ed al mare a mo di baluardo“, Resti di mura fatte di pietra ben squadrate emersero durante lo scavo delle fondamenta della Pensione S. Giorgio vicina alla chiesa di S. Maria delle Grazie, o della Madonna della Libera. Su alcuni di questi blocchi erano visibili le bitte per l’ancoraggio delle navi: segno che, insieme con quelle presenti sulla più corposa roccia, ora interamente divelta per fare posto all’Hotel Bikini, su quest’altra parte del Montarone esisteva un secondo porto, che un paio di volte Omero descrive come “piccola roccia grandi flutti trattiene” che unito al Pantanella sono presenti in Skeria. Massi con le stesse dimensioni sono venuti fuori intorno all’anno 2000 durante lo scavo delle fondamenta per l’ampliamento dell’Hotel Mediterraneo, situato sulle Renazze, sul cui fianco sono tuttora accatastati. V. Giuliani, convinto che il Montarone fosse stata un’isola, nel 1770 scrive: “Acciò che la città avesse potuto maggiormente difendersi, si conosce evidentemente dalla parte del mezzogiorno un incavo, per mezzo del quale si univano le acque del mare e la lasciavano come un’isola. Al di sotto del Castello, di rimpetto alla chiesa di Santa Maria delle Grazie (Madonna della Libera), anni sono si scavarono molte pietre grandi ben lavorate, e si riconobbe di essere stata ivi la porta principale della Città, con essersi ritrovato un ferro ben lungo, per mezzo del quale serravasi. Distrutta la Città cadde dalla porta il ponte, per cui davasi l’ingresso; l’incavo si è riempito col tempo di arene, e si è tolta la comunicazione alle acque del mare. Tale incavo certamente dové essere quella fossa, designata da Diomede, per spartire il braccio dal resto del monte, acciocché entrandovi le acque marine, ne risultasse un’isola“. Secondo l’Odissea da questa porta e su un carro entrano in Skeria Nausica e Odisseo, provenienti dalla prima corrente con partenza dalla località “Scanzatore”, che dal greco Scani(z)-za-toreyo, in cui scanizo è un sinonimo di scenizo, diventando: un luogo (il palcoscenico) per mezzo del quale far sentire la voce alta, che venne fatta da tutte le ancelle, compresa Nausica, perché la palla con cui stavano giocando in attesa che i panni lavati e stesi al sole sulla sabbia si asciugassero. Voce alta che svegliò Odisseo, tramortito dall’ultima ondata di Poseidone, che dal Puzmume, il bastione di pietra al quale si era attaccato Odisseo per salvarsi, giunge tramortito presso la foce della prima corrente viestana, da cui origina la predetta Scanzatore venendo verso Vieste.

      4)- Il toponimo di (S.) Margherita proviene dal greco margaridés, o margarités equivalente di margaron che significa margarite o perla; margaron è una parola orientale che significa margarita, perla; margaros è una conchiglia margheritifera che è lo stesso di perlifera, che quindi conduce a una borchia (la conchiglia) sulla quale si attacca la perla che viene rappresentato dal Montarone e dalla polla sorgentifera del Pantanella. Il latino margarita conferma il significato di perla.

      5)- E. Bacco nella (Descrittione della città di Vesta) nel 1646 scrive: “Ha il suo territorio fertilissimo & ripartito dalla Natura in piani e colli con mirabile simetria; & per industria è adornato d’alberi fruttiferi in gran copia & in particulare d’olive & viti di tanta perfezione, che si togliono il vanto ai vini & ogli più celebrati da gli antichi (.) Ha  l’aria perfettissima e  molto salubre; perilchè le donne particolarmente sono assai belle, & hanno una venustà naturale molto notabile: Tiene anche  leggerissime acque e sane“;

      6)-Il Giuliani fa quadrare il cerchio e risolve il binomio tra la metropoli della grande terra fertile o inabissata isola di Adria di Del Viscio, che è lo stesso territorio o isola di riferimento del Continente Atlantide di Platone che è l’isolato Montarone in quanto Pizzomunno per Vieste, quando scrive: “Fertilissime sono le Vestane campagne, e di bellissime piante adornate (..) Così facilmente e non in altro senso, alcuni alludendo alla nostra città, dal suo territorio che senza coltura frutti produce, l’hanno detta Vesta edificata da Noè“.

       Ciò legittima a pieno titolo pure nella versione biblica la tradizione di Vieste come luogo di origine, di angolo, di atlante, di telamonio, di porta, di bocca, di sisto, di punto fermo, di pizzo del mondo rimasto finora incompreso, ma che è presente nella funzione e identità del Pizzomunno da identificare con il suo Montarone, mai con il suo bastione di pietra, o monolite, chiamato qualche decennio fa u Puzmume, che è un monumento vomitato da Poseidone sul fianco della città dopo l’accompagno di Odisseo a Itaca (Vieste) per ammonire i Feaci a non dare più accompagno a nessuno. Secondo Omero a questo bastione di pietra si attaccano sia Odisseo, prima di arrivare alla prima corrente viestana, e sia Eracle per salvarsi. Nello sviluppo del mito di Eracle, questo bastione di pietra viene sdoppiato con il solito cataclisma dando origine alle Colonne d’Eracle, ora erroneamente spostate sullo Stretto di Gibilterra oltre il quale c’è l’Oceano Atlantico sotto il quale si cerca vanamente il continente Atlantide che è lo stesso dell’isola di Adria e quindi del Montarone viestano, malgrado la testimonianza di Dicearco (347-285 a.C.) discepolo di Aristotele e uno dei padri della geografia greca quando, affermando la verità, scrive che dal “Peloponneso è più lontana la fine dell’Adriatico di quanto non lo siano le colonne d’Eracle”. Il Puz-mume è un simbolo contro le maldicenze (gr. mòmos) poiché il dio greco Mòmos, presente nel suo etimo finale, fu cacciato negli Inferi dagli altri Dèi che venivano spesso derisi da lui anche nei banchetti.

Prof..Giuseppe CALDERISI