Le fonti storiche affermano che Gerusalemme ha avuto ben 83 nomi diversi, forse sottratti alla remota divina Vieste che secondo il profeta Ezechiele nella Bibbia dopo la sua misteriosa sparizione col nome di Tiro, dall’aramaico turah: porta, accompagnato da una certa dose di vanteria per la sua Gerusalemme che la sostituisce come Porta della Terra, ma forse per ragioni religiose, anche se i nomi attribuiti dall’antica letteratura a Vieste, remoto crocevia di popoli, sono certamente di più. Tant’è vero che si è rinunciato ad elencarle temendo di provarne singolarmente la coerenza con fatti viestani ed essere costretto a proporre un’opera ciclopica che forse non interesserebbe più di tanto.
Uno dei nomi antichi di Vieste è quello di Gàrgaros, che non avrebbe molta importanza se si considerasse soltanto che questo nome dette origine a quello dei suoi abitanti, i Gargari e al Gargaron (Strabone), poi Garganon (Appiano) e infine Gargano, che deriva dal greco gar-ganos, o gar-ganoò: per davvero luminoso, ora per continuità Montagna del Sole cui Vieste si espone dai primi bagliori dell’alba alle ultime luci del tramonto, riflettendosi sul mare dal mattino alla sera in periodo estivo.
Il nome greco Gàrgaros, pronunciato in Postomerica da Quinto Smirneo nel 4 secolo d.C. come città del Gargaron con i suoi abitanti, Gargaroi, assumono grande importanza se si considera che il Gargaron è già presente in Omero, poeta di riferimento di Smirneo, per identificare l’estrema propaggine dell’omerico “monte ricco di vene, madre di fiere, Ida”:luminoso, selvoso qual è il Monte Gargano per estensione della sua estrema propaggine, il viestano Montarone. Toponimo generato dalla fusione di termini greci moun(az)-taur(os)-onem che portano alla sua realtà di “peduncolo isolato ma non distaccato avente la forma di corna di un toro possente”. Monte Ida situato da Omero in Troade (Iliade), sulla cui vera ubicazione ci sarebbe poco da discutere, considerata la ricchezza di vene di questo monte tuttora scorrenti sui litorali di Vieste e da cui il nome di Gargaros per Vieste. Infatti Gargaria, derivante da Gargaros, è il nome dell’Italia tramandato da Aristotile nel IV secolo a.C., chiamata per continuità pure Enotria (terra del vino, per quello famoso prodotto a Uria per Vieste – Petrone), poi Ausonia (terra del Mattino di cui Vieste è figlia), Esperia (per l’esposizione del territorio di Vieste verso l’Occidente, poiché situata all’estremità dell’Oriente di cui Vieste è figlia) e ancora Thyrrenia (da Vieste come porta dei popoli derivantedall’indeuropeo thura, aramaico turah, greco pulè) che è lo stesso di Etruria perché regione di confine della terra di Uria. Ed infine Italia, che dal greco I-thaly(z) è un’isola in fiore o lussureggiante, derivante dall’isolato Montarone poiché tutti nomi originati da Vieste col nome di Uria (Seneca. Alla madre Elvia). a cominciare dai primitivi Italiani Citei, o Cittei, che prendono il nome dal greco cutos: ciato, o brocca, strumenti per attingere acqua dal viestano Puzze della Chiatà, Pozzo della Chiatà, poi identificati come Pugliesi e Italiani. E finire con i popoli Celtici, che prendono il nome da Vieste come bocca del mare e del Canale della Chiatà che sfocia nel mare dopo avere percorso l’intero porto del Pantanella. Toponimo di origine greca che da panta-ne(a)-el(los)la(às) è un “tutto nave approdo rupe”, cioè una “rupe tutto nave approdo”, dal cui equivalente indeuropeo sker (vedi gr. sceriptò) Omero inventa il nome di Skeria, per Vieste, città centrale dell’Odissea in cui secondo Omero gli dèi si rendevano visibili, facendola diventare divina.
Secondo Erodoto, in Pausania (testo non letto dallo scrivente), Gargaria è pure il nome di una sorgente presso il famoso Monte Citerone, un mitico luogo isolato, qual è il Montarone, sulla cui spiaggia secondo la leggenda, Afrodite sarebbe emersa nuda dalle spume del mare, donde il suo epiteto di Citerèa. Sulla identità del Monte Citerone con il viestano Montarone e per estensione al monte Gargano, mai con altri monti, perché la sorgente che si trova presso il famoso e isolato Monte Citerone sulla cui spiaggia Afrodite emerge, occorre ricordare ancora una volta che l’Italia fu anche biblicamente chiamata Cytim, o Cyttim, per estensione dei confini di Cita, o Cyta, ovviamente la sua città di riferimento da cui la certezza del Monte Citerone per il Montarone in quanto Pizzomunno, Pizzo del Mondo. Nome di Citerone che proviene dalla sintesi del greco cutos per il Pantanella con al suo interno l’unica sorgente di acqua buona, e di onem per la forza di Citerone derivante dalla potenza dell’isolato Montarone. Sta di fatto che gli omerici Artemide, dea lunare, e il suo gemello Apollo, dio solare, furono mitologicamente partoriti, dopo l’immancabile seduzione di Zeus, da Latona, divinità che rappresenta la Notte, su un’isola errante che è da identificare con la mitica isoletta viestana simile a una nave chiamata di (S.) Eufemia, la bene famosa, e di (S.) Eugenia, la buona nascita o buona genia. Che diventa pure l’Arca usata prima da Deucalione e Pirra che, dopo il Diluvio Greco inventato da Omero per fare sprofondare Troia, ora sepolta Merino, approdano sul Parnaso. Monte sul quale, secondo Omero, il giovane Odisseo, odiato, viene ferito a un ginocchio dalle zanne di un cinghiale da cui l’altro suo nome Ulisse, ferito. Ultimamente questa isoletta viestana diventa la biblica Arca di Noè per le loro analoghe dimensioni bibliche di m 156 di lunghezza, m 25 di larghezza e m 15 di altezza. Infatti subito dopo il loro approdo Vesta, moglie di Noè, muore, venendo seppellita su questa isoletta e Noè in suo onore fonda sul Montarone la prima città della Terra, perché nata subito dopo il Diluvio Universale, chiamandola in onore di lei, Vesta. Nella grotta presente su questa isoletta si trovano iscrizioni inneggianti alla romana Veneri Sosandrae, che significa Venere Soccorritrice, dei naviganti, venerata dagli Uri Aperti del Gargano, Viestani citati da Catullo (epigr. 36,3). Venere latina che sostituisce l’omerica Afrodite poiché entrambe appaiono nude sul guscio di una conchiglia mentre emergono dal mare: sempre Viestano.
Cyta e il Monte Citerone sono altri remoti nomi del Pantanella e del Montarone nell’identità di Pizzomunno, un monte isolato in mezzo all’alto mare da essere spesso confuso con un’isola, a cominciare da Omero che, costretto dalla sua vena ed esigenza poetica, a volte lo identifica come una vera isola, che per analogia è da identificare con l’isola dei Citei, o Cittei citata dal profeta Ezechiele nella Bibbia. Isolato Montarone e Pantanella identificati come Pizzomunno, nel senso di città, o isola da identificare per l’isoletta viestana nella sua funzione di culla di origine dei capostipiti di tutti i popoli del mondo occidentale a cominciare da quelli omerici e delle divinità a cominciare da Apollo e Artemide. Come pure nella funzione di una nave o arca, a cominciare dalla nave dei Feaci, abitanti di Skeria, che viene affondata e pietrificata da una manata di Poseidone, per poi diventare la nave degli omerici Argonauti e delle predette Arche. Infine nella funzione di una tomba, per la sepoltura di Diomede, di Vesta, del capo degli Argonauti, Giasone e altri. Il nome Cyta rivela che Vieste era così chiamata dalla particolare forma circolare e soprattutto dalla funzione di ciato, o brocca, attrezzo per attingere acqua nel Pantanella, porto naturale cinto, o incintodalla continuità delle rupi del Montarone con al suo interno una grande polla d’acqua buona detta Canale della Chiatà. Del cutos: vaso, urna, coppa, brocca, carena, cavità, circuito, capacità in qualche modo simile al cuathos: ciato, coppa, tazza, anche nel senso di incinta (gr. cueò), perché località cinta di rupi che appare in P. Mela che in data più recente scrive: “vi è un seno cinto dalla continuità della costa Appula, di nome Uria, piccolo di spazio e con l’entrata difficoltosa”, da cui il toponimo della Chiatà per l’intera vallata portuale del Pantanella. Di cui non resta che la memoria nel toponimo della Chiesetta, del pozzo e della sorgente detti <della Chiatà>, il cui Canale della Chiatà alimenta le acque interne del Pantanella. Il nome Cita per Vieste venne oscurato dall’altro più complesso, importante e veritiero nome di Uria anche per il significato di <alveo, solco, canale per trarre le navi da terra in mare e viceversa> che avveniva nel Pantanella e presente nel greco òuròs da cui uno dei tanti motivi di Uria per Vieste.
Come è avvenuto per Uria, Adria e le Isole Diomedee per mantenerci a quelle già trattate dallo scrivente, pure sull’ubicazione di Gàrgaros non è mancato il tentativo di un suo trasferimento in altri luoghi. Infatti, a parte l’altra identificazione di Gargara con la “civita di Vico del Gargano” (sac. Della Malva), il sangiovannaro prof. Grifa, intervistato se ricorda bene dalla Gazzetta del Mezzogiorno, ispirato da un muro a secco trovato sul Monte Castellano confonde il vertice in estensione sul mare del Gargano con la sua massima altezza, il vicino Montecalvo, la cima più alta del Gargano, per concludere che la remota Gàrgaros è l’antica San Giovanni Rotondo, ma ignorando che la sua antichità di epoca romana è deducibile dalla presenza del Rotondo poiché tutte le rotondità della Terra diventavano automaticamente Templi del romano Giano. Personaggio che, prima di essere sostituto dal biblico Noè (Noi!) approda, in realtà ideato dalla funzione di Vieste e che, rappresentato come una semidivinità bifronte (A. Morellli. Dei e Miti), o una rotonda o una moderna rotatoria, proteggeva i crocevia, i passaggi, i cunicoli, i crocicchi, le porte, i portoni. A cominciare dal passaggio dei popoli e dei porti di entrata e di uscita delle navi che avveniva nel Pantanella; a seguire con il passaggio del Sole dal giorno alla notte e viceversa; come pure del tempo che iniziava dal solstizio d’inverno da cui il primo mese dell’anno Gennaio (ianuarius) e della prima ora del giorno, l’una di notte. Ma Giano che da ianua: porta e da ianus: passaggio che con il suo epiteto Matutino, o Pater Matutino, diventa un diretto riferimento al Montarone in quanto Pizzomunno che come città del Mattino è lo stesso dell’Oriente di cui Vieste è figlia. Anche perché Giano è una controfigura di Saturno, la cui nave detta formentaria approda miticamente a Vieste in rappresentanza sia di un paniere (gr. formion) per contenere l’abbondanza di prodotti del fertile territorio di Vieste, sia soprattutto di una città cantata con la cetra dai cantori (gr. formizò, o formigz; leggi forminz), in riferimento a quelli fatti cantare da Omero e da molti altri scrittori senza saperla individuare. Isoletta viestana di (S.) Eufemia, o di (S.) Eugenia avente la forma di una nave che, secondo Omero, viene affondata e pietrificata da una manata di Poseidone davanti alla città di Skeria, ora Vieste, e poi utilizzata dallo stesso poeta come la nave degli Argonauti e, quindi, mitizzata da altri storici antichi. Isoletta che come imbarcazione diventa l’Arca dell’omerico Deucalione, e di sua moglie Pirra per lo sbarco sul Parnaso e poi l’Arca dei biblici Vesta e suo marito Noè (Noi!), che sostituisce il mito romano di Giano, pure lui sbarcato, in realtà generato, ideato per i fatti anzidetti. Anche se tutto ciò avviene per sostituire l’omerico Icario, padre di Penelope, moglie di Odisseo, che dà il nome all’isoletta viestana come Icaria e da cui il mare d’Icaro, che come altro nome del mare viestano da oltre due millenni è diventato il mare dell’attuale Grecia, ora Mare Egeo. Giano con tutte le sue prerogative da Vieste si trasferisce sul Gianicolo a Roma.
Premesso che c’è già stata una precedente associazione di Gargara con il citato muro a secco (F. Biancofiore), il prof. Grifa per tirare acqua al suo mulino supporta la sua errata tesi con la presenza di una polla d’acqua presente nell’isolato Monte Citerone, identificandola con quella sgorgante nei pressi di un distributore di benzina situato ai piedi della montagna su cui poggia San Giovanni Rotondo. Mentre vi sono tanti altri significati di Gàrgaros che invece conducono univocamente a Vieste, ricca di vene sgorganti che del triangolare Gargano rappresenta il vertice in lunghezza sul mare, non in altezza. Città di Vieste situata sul mare verso oriente, il cui Montarone è l’estrema propaggine marittima e il cui Pantanella diventa il più favorevole porto di uscita verso il mare, o di accesso dal mare a tutto il restante territorio e per la effettiva presenza dei due porti naturali Viestani presenti nella Skeria di Omero. in particolare il più sicuro e confortevole porto semichiuso dalle tuttora presenti sporgenze rocciose che proteggevano le acque interne del Pantanella munito dell’unica sorgente di acqua dolce per una loro più favorevole filtraggio, tra tutte le altre sei, o otto, di acqua salmastra che scorrono sui litorali viestani di origine carsica per le acque provenienti dal vicino mare.
Sulla identità di Gargaros con Vieste vi sono altre prove, tra cui quelle etimologiche, poiché se da una parte il greco gargara indica l’abbondanza che è analoga sia alla pregnanza dell’indeuropeo Vesta, sia alla fertilità presente nell’indoario Urja, l’attenzione maggiore si concentra sulla radice garg e su quella raddoppiata gar-gar presenti in Gàrgaros. Garg è una radice onomatopeica che nasce dal tipico rumore del bere a garganella, cioè da un recipiente, ciato, brocca, che non viene accostato alle labbra e senza prendere fiato. Da garg origina il latino gurgus, da cui il gorgo, o gola, o ugola, derivante pure dal sanscrito garas, bevanda, con il riferimento al gorgogliare nel gargarozzo, o gola, o ugola, e al gargarismo e al gurguglio che tuttora si ode nelle gole o ugole delle numerose sorgenti d’acqua sgorganti, con il classico rumore, all’estremità del Gargano e propriamente sui rigurgitanti litorali viestani. Una variante nasce dalla presenza del gorgo, che da una parte e con l’identità di profondo è riferito alla posizione avanzata del Montarone sul quale poggia il centro storico viestano situato nell’alto e profondo mare; dall’altra è il continuo movimento del mare e dei venti contrari che si trova nel latino aestus contenuto nel dialettale Vestysane che sta per i Viestani come figli dell’aestus più alto per trovarsi il Montarone nel mare grandi flutti come omerica Skeria, sia per essere gli abitanti all’origine dell’Antica Grecia, qualifica derivante dal percorso del Sole nel giorno del solstizio d’Estate e da cui il nome Vieste: figlia dell’Oriente, o del Greco. Da qui la possibile identità di Garg-garos con il gorgo più alto o più antico. Il gar raddoppiato in gar-gar del verbo greco gar-gar-izò, gorgogliare, e di gar-gar-eon, inghiottire, indica la gorgia, la canna della gola che trovasi pure nella radice garg presente in gargàna, e può più specificamente riferirsi allo sgorgare della importante sorgente di acqua buona che gorgoglia nel Pantanella e scorre nel Canale della Chiatà in questo remoto alveo portuale viestano con la sua canna (canale) di sbocco al mare. In questo particolare porto naturale viestano, infatti, a causa della sua bocca stretta e tortuosa dovuta alla presenza della Chianghe de l’Onne e della contrapposta Chianghe dell’Orne tra le quali passa il Canale della Chiatà, negli ultimi tempi bisognava spingere a mano le navi di poppa che vi entravano dal mare, o che vi uscivano, per incanalarle nella <grandissima chorente de aque da usare per l’entrata e l’uscita delle navi nel porto dell’isola Bestia>funzione che appare nelle descrizioni dei due porti del portolano Rizo (1420) e del Magliabecchi (1490). Da qui l’altra possibile identità di Gargar-on con il grande, o forte gorgogliare di acque nelle ugole che si trova in una iscrizione su pietra scritta in lingua greca arcaica inneggiante a Vieste in quanto Pizzomunno, tradotta dal Petronecome Porta della Grande Madre Terra. Acqua Sorgiva, senza immaginare che si trattasse di un inno alla sua patria Vieste.
Oltre l’etimologia, vi sono anche altre non secondarie prove che hanno dato vita ad alcuni antichi miti e leggende tuttora presenti nella realtà storica dei luoghi viestani. Tra queste vi sono:
1) Cyta, Uria e Gàrgaros sono tre nomi diversi, ma analoghi per il loro significato di alveo portuale con canale per trarre le navi da e per il mare, presente nel greco òuròs, che derivano dalla funzione del Pantanella viestano e da cui il suo nome Uria. La citata Afrodite Citerèa è la dea greca dell’amore e della fecondità e quindi una figura parallela della romana Venere di prima maniera detta Sosandra: ausiliatrice di uomini veri, tuttora presente nelle invocazioni epigrafiche dell’isolotto del faro viestano. Per questo e non a caso, queste due divinità, la prima presente in Omero e la seconda di origine romana, emergono nude dalla spuma del mare e proteggono i naviganti, rendendo tranquille le acque del mare. La presenza dell’omerica Afrodite Citerèa a Vieste trova ancora i supporti seguenti: a- nelle antiche monete uriatine, poiché Vieste col nome di Uria aveva una propria zecca che le coniava, sulle quali si trova a volte effigiato il delfino, l’allegro accompagnatore dei naviganti che a lei fu consacrato; altre volte si trova raffigurato il timone, simbolo delle rotte navali e chiaro riferimento alla navigazione di sua prerogativa; b– nella presenza del cytos dell’appellativo di Afrodite Citerèa. Il cytos è infatti rappresentato dal guscio di conchiglia, appunto l’alveo portuale che protegge Afrodite (e Venere) nella sua (loro) nuda uscita dalle spume del mare; c– nella presenza di Pallade Athena sulle monete uriatine, un’effigie che rivela la sua automatica identità di protettrice di Vieste. Athena, dea che soccorre, tiene gli occhi fissi (greco atenès) sugli uomini nel loro intelletto, ed è parallela di Afrodite e Venere per la loro verginità e per l’epiteto di Tritogeneia, perché <nata presso il torrente Tritone>, che diventa un altro nome del Canale della Chiatà poiché con un colpo di tridente Poseidone genera tutta la falesia del Montarone secondo Omero, anche se altri (A. Morelli) interpretano <nata dalle acque>, che sono di esclusivo dominio di Poseidone. L’omerica Afrodite viene miticamente partorita insieme con il gemello Apollo dalla loro madre Latona su uno scoglio errante che è l’isoletta viestana simile a una nave errante chiamata sia col nome di (S.) Eugenia), la buona genia o la ben nata, dalla quale la nascita del popolo italico degli Euganei; sia col nome di (S.) Eufemia, la bene famosa da cui il nome dell’omerico Eufemo capo dei Ciconi, popolo della Tracia, i cui Traci chiudevano l’Ellesponto (Iliade. II,844). Ellesponto che per Omero è il sentiero del forte e alto mare, o braccio del vasto mare che originava da Vieste in quanto Troia, per andare dopo tre giorni di navigazione verso l’Aurora,minacciato da Achille che indispettito voleva tornare in patria a Ftia, verso l’opposta Tracia. Precisamente nella parte dell’attuale penisola balcanica detta pure Illyria, che da ill(e)-yria significa di fronte a Yria, quindi regione di fronte a Vieste. Città che per la presenza di questo sentiero o braccio marittimo, o Ellesponto, poi evocato come Stretto di mare tra il Golfo Adriatico e il Mare Ionio (Polibio), e con altri nomi da alcuni altri storici, ma indicante una rotta marittima che da Vieste divideva l’Oceano di Omero a Occidente con il Golfo Adriatico, detto dai pescatori viestani le Acque de Fore (mano!)cioè di sinistra o della mano Mancina, toponimo appartenente alla parte sinistra del corno di sinistra del Montarone visto dall’entroterra sulla quale originava il primo porto commerciale viestano, e definito da tutti come u Mère Piccole, Mare Piccolo, mentre a Oriente del corno di destra del Montarone c’era il Mère Granne, il Mare Grande per il Mare Ionio. E non verso il Mare d’Azov e il Mare Nero dell’attuale canale marittimo stretto da due terre del Bosforo sul quale da oltre due millenni è stato erroneamente spostato l’omerico Ellesponto. Un dato di fatto che già di per sé serve a escludere da ogni contesto omerico l’attuale Grecia, di cui ben sette città si vantano vanamente di avere dato i natali al più grande poeta di tutti i tempi e del mondo che invece è un cittadino della Megale Hellas, o Ellas, poi romana Magna Greca che si trova nel significato di Vieste: figlia del Greco, o Greca, anche per il percorso del Sole nel giorno del solstizio d’Estate che si trova nel latino aestus contenuto nei V(i)-aestys-anus, nomignolo dei Viestani, e da cui la Magna Grecia per il restante territorio di Vieste. La remota funzione di Vieste come orlo, bocca, gola, porta di uscita e di entrata di un territorio che nei tempi remoti si riconosceva con tutto quello contenuto nella continuità delle sue rupi (greco skeros, rafforzativo di Skeria) e di cui ognuno può immaginarne la vastità se accompagnato dalle testimonianze scritte (Erodoto; Platone) con l’aiuto dell’identità di Vieste come Pizzomunno, Pizzo del Mondo. Toponimo che rivela la funzione di Vieste come confine, limite di accesso a una Terra, Gaia, o Gea, o Ge-De, che con il passare dei millenni si è dapprima estesa con l’espandersi della sua gente oltre la Gallia e fino alla Spagna (Seneca. A Elvia) per poi, a causa del loro stanziamento in quei luoghi, tornare a identificarsi in tempi più moderni nell’attuale toponimo di <la Gioia> che tuttora appartiene alla Terra adiacente il margine più interno del Pantanella. L’identità di Vieste come Pizzomunno non è quindi un’invenzione astratta ed esagerata, ma un dato di fatto presente nel primitivo nome di Estia, o Istia che da istèmi identifica Vieste come un sisto, equivalente di pizzo di Pizzomunno. Di cui ci si rende conto se si considera che il polivalente nome indoario Urja, oltre il significato greco di limite, confine, ha nella sua radice quello di polis, che è un altro termine greco derivante dall’indeuropeo pol che a sua volta equivale al sanscrito ur. Questo fa sì che il nome di Uria per Vieste legittima la sua remota identità con la Polis, o città-Stato, la capitale di una Regione, o di un Continente già presente in Omero con Skeria capitale del Continente Apeira, che come aperta è analoga di Europa, vasta vista; Skeria che è Vieste per la sua identità di porti di approdo (indeur. sker). In modo del tutto analogo al <locus/isola> con cui Vieste diventa la città di riferimento di Seneca (ivi) e funzione che si realizza nell’essere l’isolato Montarone un Pizzomunno. D’altronde, e quindi non a caso, Hyria era capitale della Messapia (C. Moschettini), nome che preceduto a quello di Iapiga significa: “monade Troia-centro dell’antichità” in riferimento a quella di Omero, ora sepolta Merino, nome derivante dalla presenza dell’altare della molto balzante Myrina davanti a Troia. Ancora più importante è il significato dell’altro nome di Vieste come Ourion (Strabone), indicante l’uovo infecondo, o cosmogonico, dalla cui rottura, o fecondazione, tutto viene generato, funzione che si trova pure nel latino urina anche come spandere seme. Che va dall’immagine terrena, a partire da Gea, antropomorfismo della Terra che mitologicamente nasce autonomamente dalla rottura del guscio dell’uovo infecondo e che tutto racchiude in sé; all’immagine divina, non a caso, chiamato Urano (il Cielo), da ur di Uria, che sposa Gea (la Terra), la viestana “Gioia”. Fu da questa coppia che nacquero gli Urani, da ur, tra i quali l’omerico Crono (il Tempo) che sposa sua sorella Rea (o Era per metatesi in quanto divinità della Terra) dando alla luce Estia, o Istia, remoti nomi di Vieste e da cui la sua diretta divinità anche come romana Vesta; Demetra ed Era, dèe della Terra presenti nella viestana la Gioia e in una iscrizione su pietra viestana come damatira; Ade, che abita nel sottosuolo viestano in località Necropoli della Salata, che è il Regno dei Morti di Omero poiché ci sono tuttora tre ora anonime sorgenti sonanti, qui elencate in ordine di origine: Stige, Cocìto Piriflegetonte, che fondendosi formano l’Acheronte che sfocia tuttora nel mare a Scialmarino. Il cui etimo finale marino deriva dalla presenza a Vieste del “Munduncidde”: minuta duna, che è la collinetta bassa che Omero indica come la tomba, o altare, o sacrario (gr. sema) della molto balzante Myrina. Sulla quale I Troiani, i Veneti e loro alleati in perfetta adunata aspettavano gli Achei per l’ultima cruenta battaglia e sulla quale tuttora si sofferma prioritariamente la processione (in realtà un’anfizionia per il concorso degli abitanti dei luoghi convicini – Giuliani) della Patrona di Vieste, Santa Maria di Merino. Poetica ultima battaglia che avviene sul viestano Piano della Battaglia, ora più conosciuto come il Piano Grande che significa pure Piano Antico, al cui centro c’è tuttora il letto di un torrente chiamato Canale della Macchia, che dal greco make è battaglia, luogo di battaglia, dentro il quale si è poeticamente combattuta la più cruenta battaglia di Troia, che diventa lo Scamandro, o Xanto di Omero, che contrariamente a quanto illogicamente scrive Schliemann non ha cambiato direzione. In questa pianura viestana c’è tuttora la Bellacollina di Omero, che non è scomparsa per la piena del fiume, come scrive assurdamente Schliemann nel suo libro, “Alla scoperta di Troia” passando agli onori delle cronache mondiali. Un commerciante d’oro di seconda mano che dopo avere acquistato una collina, destinata a remota necropoli crematoria provata dagli abbondanti strati di ceneri trovate nei suoi dintorni, ed avere eliminato ogni segnale delle preesistenti tracce dei forni crematori, l’ha spacciata per la Troia di Omero, spostandola di km 65 da Burnabashi a Hissarlik sempre sul Bosforo, un canale di mare stretto tra due terre che non è lo stesso dell’omerico braccio del vasto mare, o del sentiero dell’alto e forte mare di riferimento di Omero e tuttora contenuto nel significato greco di Elles-pontos. Non ha tenuto conto della vicina spiaggia di Troia dove erano state poeticamente ormeggiate per dieci anni le 2000 navi degli Achei e sulla quale avvengono altri fatti narrati da Omero, possibili poeticamente sulla spiaggia viestana di Scialmarino, lunga km 5; ha fatto rimpatriare a sue spese l’onesto Capitano Boetticher accortosi del suo atteggiamento fraudolento, venendo sostituito da un Maggiore all’oscuro di tutto; afferma di avere trovato la tomba di Agamennone, re di Argo e Micene, nomi inventati da Omero per il bianco (argo) Montarone poeticamente immaginato spuntare come un fungo (gr. mucès da cui Mucène per Micene), i cui Micenei in sostituzione dei potenti Achei, che prendono il nome dalle punte (acis) del possente Montarone, sono stati additati come i principali distruttori di Troia. Infatti, le soltanto poetiche città di Argo e Micene sono dominate dal loro re, Agamennone, che dal greco agòs-mèniòs simili e derivati, significa una guida testarda, come lo è stato nel non voler restituire l’ancella Briseide ad Achille, da lui prelevata in sostituzione della sua prigioniera Criseide, figlia di Crise sacerdote di Apollo, per forza maggiore dovuta essere restituita a suo padre nell’Iliade. Come pure nel voler fare testardamente proseguire una poetica guerra durata dieci lunghi anni e di cui Omero narra gli ultimi 51 giorni di tarda primavera. Per sue esigenze Schliemann ha stravolto il racconto di Omero sul triplice percorso del cadavere di Ettore, legato e trascinato dal cavallo con sopra Achille sulla pianura di Troia, imponendo assurdamente un tratto sulla collina da lui acquistata, prima di tornare sulla spiaggia di Troia sulla quale il cadavere di Ettore venne riscattato da suo padre Priamo, secondo Omero. Schliemann ha fatto forgiare una maschera d’oro, metallo da lui posseduto, spacciandola per quella di Agamennone, ma che da un recente test con l’uranio è risultata realizzata in data contemporanea alla sua affaristica vita. Infine ha dato il suo assenso, per uno scambio di reciproci favori con le autorità culturali dell’attuale Grecia, sul falso riconoscimento di Skeria per l’isola di Corfù, mentre per Omero è un luogo isolato in mezzo al mare dai grandi flutti (non isolana) all’estremo del mondo da cui il primo specifico riferimento all’identità di Pizzomunno del Montarone che isolato tuttora sporge in mezzo al mare. Un falso ripetuto pure per l’Isola di Itaca per quella dell’attuale Grecia chiamata Tiaki, forse per buona eufonia, mentre si tratta sempre di Vieste. Città fungente da unità di luogo, di tempo e di azione dei poemi e degli inni di Omero, con il suo porto, il Pantanella, per la corrente Aretusa all’interno del porto di Itaca che Omero definisce sacro al signore del mare, Forchi, la cui presenza a Vieste è testimoniata dagli scogli sottomarini detti <i Forchi>, ora italianizzati in Forti, situati sott’acqua a sei miglia a nord di Vieste, e dopo avere citato questo porto col nome Reithro che dal greco reithron è: munito di canale, o alveo, o letto (di fiumicello- per l’Aretusa) è uno specifico riferimento al Canale della Chiatà e al porto del Pantanella da identificare come porto di riposo di navi per le sue quiete acque interne citate da Omero. La stessa corrente è chiamata Artachia presente nel porto dei Lestrìgoni che è del tutto analogo al primitivo Pantanella. Nel porto dell’isola dei Ciclopi con in capo acqua limpida che subito dopo appare come una polla d’acqua dolce in Omero. Nel porto dell’Isola di Trinachìa, o delle Vacche del Sole, che viene traboccato d’acqua dolce secondo Omero. Infine, e non è ancora tutto, forse per darsi più credito, Schliemann ha sposato una donna dell’attuale Grecia. Oltre Skeria e Itaca pure Argo e Micene sono sempre il Montarone anche perché, secondo Omero, l’anima di Agamennone, ucciso da Egisto amante di sua moglie Clitennestra, appare nel Regno dei Morti, la già individuata Necropoli di Merino, incontrando Odisseo che con il figlio Telemaco, il porcaro Eumeo e il bovaro Finezio, quivi si reca una seconda volta a piedi subito dopo essere tornato a Itaca. Una volta precisato tutto ciò, occorre fare presente che l’omerica Bellacollina non è affatto scomparsa per la piena del fiume, perché si trova tuttora al centro del viestano Piano della Battaglia, precisamente sul lato opposto al letto del Canale della Macchia se visto dalla rovinata Merino, col nome di “Muntincidde”, un monte piccolo e bello, che è lo stesso di bella collina. Il Piano della Battaglia va oltre la località Mandrione alla quale fa capo l’altra pianura viestana, che parimenti si estende fino al mare, denominata i Paduli (idem per Omero) Mezzane seguita subito dopo il ponte di S. Lucia, poco distante dal mare di Scialmarino, dalla maggiormente più acquitrinosa Paduli di Basce, Paludi di Basso, sulle quali Omero fa pascolare 3000 cavalli, da cui il toponimo Mandrione come luogo di ricovero per animali. Al centro di questa Paduli, Palude, scorre la più lunga e grande corrente d’acqua di natura carsica dell’intero territorio di Vieste rendendolo oltremodo fertile, sfociando nel mare in località “Mulenèdde, Molinella, dal greco molynò, macchiate, per le sue acque che appaiono leggermente torbide fin dal loro sgorgare. Sopra la rovinata Merino c’è la rocca di Caprareza che dal greco capra(ina)-rezò indica una Troia sacrificata, o data in sacrificio, concetto già presente in Omero nell’Iliade e di fatto avvenuto nella creazione di altre città e nomi di popoli italici ed europei. Che sopra la rocca di Caprareza ci fosse il Pergamo di Priamo, la cui sola presenza dà il diritto alla definizione di Troia come città, identificata come HP: La P, per essere stata la prima delle polis, lo ricorda Seneca (Alla madre Elvia) nel 5 sec. a.C. quando scrive che: “Solo una torre è rimasta in piedi della grande Troia, dove Priamo usava recarsi. Da quella vetta e dalla sommità di quei merli, come arbitro della guerra stando in sedute, lui guidava le schiere”. Nel 1200 c’era ancora un “Castellum Marini” (A. Russi. Miscellanea Greca e Romana) che divideva il territorio di Vieste con quello di Peschici. Nel 1760 il Giuliani scrive di residui di un imponente fabbricato rovinato, di cisterne comunicanti, di resti di una comoda strada e di un muro che la delimitava per salire comodamente sulla rocca di Caprareza, dalla quale in effetti si domina tutta la sottostante pianura, la rovinata Merino per la Troia di Omero, e il vicino mare detto di Scialmarino. In modo del tutto simile a quanto scrive Omero nell’Iliade anche perché a metà di questa strada che conduceva alla rocca sulla quale c’era il Pergamo, o la Reggia, e da dove affacciati a questo muro Elena indicava a Priamo i principali eroi Achei. All’inizio della salita di questa strada e tenendo il mare sulla destra, Omero inventa le Porte Scèe, che significa a sinistra di Troia, o della rovinata Merino, anche come via di uscita terrestre dei popoli. Nei dintorni della Piana di Merino ci sono tutti i luoghi citati da Omero nell’Iliade a cominciare dal Simoenta e i letti di tutti gli altri fiumi affluenti allo Scamandro, la cui piena, dovuta all’omerico Diluvio Greco di nove giorni di pioggia fa sprofondare sia il muro, in parte tuttora presente, costruito dagli Achei senza fare i dovuti sacrifizi agli Dèi e sia la città di Troia dopo che era stata bruciata dagli Achei. Da Crono e Rea nasce Poseidone, che tanta parte ha nella creazione di Skeria città in cui gli dèi si rendevano visibili, ora Vieste, fondata da suo figlio Nausitoò: il navigatore veloce, per sfuggire ai selvaggi predatori Ciclopi, poi per la forgiatura di Poseidone della falesia del Montarone come si presenta tuttora per un colpo del suo tridente; per l’affondamento e pietrificazione con una sua manata della nave dei Feaci al ritorno da Itaca, città già individuata per Vieste anche perché i Feaci prendono il nome dalla luminosità (gr. fai) dei corni (acis) del Montarone; isoletta del Faro che il portolano G. Benincasa nel 1442 descrive “chome una galea pare lontano”; il vendicativo Poseidone minaccia di far crescere un monte per vestire, nascondere la città dal mare (la falesia aggiuntiva visibile sul Montarone se visto dalla Scialara) e infine di vomitare un bastione di pietra sul fianco della città di Skeria, il “Puzmume”, che dal greco pougx-mòmos è un bastione di ammonimento per i Feaci a non accompagnare più nessuno dopo averlo fatto con Odisseo. Crono e Rea infine generano il decisivo in tutto e per tutto Zeus, equivalente di Dieus.
2) la remota identità di Vieste con una gargotta, o locanda, o taverna. Con il nome greco di Estia, che al significato di sacrario, di pubblico altare, aggiunge quello di mensa pubblica, di pubblico focolare, di casa della ospitalità, che ci danno l’idea della funzione di Vieste come di una remota casa di prima accoglienza dei viandanti per mare, che oltre ad essere propiziata, nobilitata, benedetta, venne pure dissacrata, bestemmiata, vituperata, come da sempre avviene per ogni cosa umana. Infatti, se per alcuni le citate prerogative erano delle virtù, per altri, equivocando sulla posizione avanzata di Estia, ora Vieste, alla vista sul mare, sul suo concedersi ospitale a tutti i viandanti che riusciva a sfamare con la fecondità del suo territorio, la identificarono con una donna, o dèa, che faceva commercio di sè, con una casa bordello, con una taverna, dove più che mangiare si gozzovigliava bevendo soprattutto vino, il primo tra gli altri prodotti Uriatini reclamizzato tra i popoli dell’Adriatico come il migliore (M. Petrone). Perciò non a caso veste i panni di un taverniere (M. Palmieri) il padre della bella fanciulla Uria, sempre in rappresentanza di Vieste come è giusto che avvenga nella creazione di una leggenda, che si innamora del bel pescatore Pizzomunno, venendo trascinata e incatenata sul fondo del mare per l’invidia delle sirene. Le sirene ammaliatrici sono presenti pure nella leggenda tramandata dai Dauni (Maiorino) in cui la stessa fanciulla veste i panni della bella sirena Uria, che sposa il compagno di Diomede certamente, per lo scrivente, l’omerico Teuthrante, eroe acheo che assistette all’uccisione del tramortito Ettore e anche perché Teuthria è il nome della falsa isola individuata insieme con l’isoletta del Faro viestano sua tomba, Isole Diomedee (Strabone. Polibio. Plinio). Teuthria per il bianco Montarone, che Diomede avrebbe voluto tagliare per renderlo una vera isola ma che non riuscì per la sua sopravvenuta morte; perciò questo Teuthrante diventa inevitabilmente il compagno di Diomede scampato alla trasformazione in uccelli toccata a tutti gli altri suoi compagni. I due amanti e sposi fondano una città, Uria, destinata dagli dèi a sprofondare per la superbia e la lascivia dei suoi abitanti (Del Viscio). Sta di fatto che le Sirene hanno tratto spunto a Omero dagli scogli viestani di Lami-can, toponimo greco che da lamie–canakeò, latino cano, porta a un “mostro marino avente il volto di donna e la coda di pescecane, che canta”. Quindi una Sirena come tuttora appare il più piccolo dei due scogli visto dalla spiaggia di Drète u Ponde, Dietro il Ponte, nome che dal greco ponhto indica la Pena, che è quellasofferta per sette lunghi anni da Odisseo tenuto in ostaggio da Calypso che abitava nella tuttora presente caverna di “Sotte u Ponde”, Sotto il Ponte, la cui volta tuttora arriva fino al cielo, secondo Omero. Nel vedere il piccolo scoglio di Lamican dal lato opposto e dal mare, appare come una gabbia toracica che secondo Omero, Odisseo, seguendo il consiglio di Circe, dopo avere fatto visita per la prima volta il Regno dei Morti per avere la certezza del suo tormentato rientro in patria; la successiva restituzione da parte di Circe da porci in sembianze umane dei suoi compagni di ventura; che dopo la sepoltura di un loro compagno, Elpenore: vera speranza, morto per essere precipitato dalla sua casa per avere dimenticato di avere tolto la scala la sera prima, si sono recati sulla Punta della Testa del Gargano che più sporge sul mare per seppellirlo, piantando un remo sulla sua tomba per ricordare a tutti i passanti di essere mortali, secondo Omero. Ma che prima dell’incontro con le Sirene tutto l’equipaggio vede questo stesso scoglio come un polmone marino, contenuto della predetta gabbia toracica che in ogni caso serve a dare fiato a una Sirena. Infatti Odisseo e compagni si erano appena liberati da Circe che abitava in una casa fatta di pietre lisce, presenti in località Mattoni/Càlcari che si trova subito “Drète u Ponde” Dietro il Ponte, sulla cui lingua di spiaggia, generata dalla settima e l’ottava corrente che scorrono in località Catharel ora Gattarella, Odisseo e compagni in un primo momento avevano tratto in secco la loro nave prima di essere spostata e tenuta per due anni in una grotta piena d’acqua tuttora esistente nell’ex campeggio Marini Pineta Mare da cui, dopo essere stata traboccata, fuoriesce quest’ultima corrente d’acqua detta dai Viestani “la Corrente Caruse”,
3) La sporgenza nell’alto mare per circa km 50 del Gargano verso Oriente, che sono la reale differenza tra le coordinate geografiche di Tolomeo e che porta ai 300 stadi di Strabone dai quali, a distanza di alcuni secoli, viene confermata l’omerica divisione con l’Ellesponto del Golfo Adriatico dal Mare Ionio, sporgenza in cui si trova la gorgogliante gola del Pantanella insieme con il verticale inabissamento dell’isolato Montarone nel gorgo profondo e tormentato dalle maree e dai venti forti e talvolta due contrari, ha acceso la fantasia di antichi scrittori e mitologi di tutto il Mediterraneo senza averli mai individuati. A tutti è finora sfuggito che costoro tramandano questo stesso luogo con nomi differenti nati dalla diversità delle loro lingue e da altre specifiche peculiarità del mai identificato territorio di Vieste. Per esempio, dalla condizione di luogo isolato presente nel peduncolo del Montarone in quanto Pizzomunno, Vieste fu identificata con una città-Stato, capitale di un Continente, a cominciare dall’omerico Continente Apeira, aperta, ora Europa, vasta vista, con capitale Skeria per Vieste città di origine dell’Apulia: senza porta, presente negli Uri Aperti del Gargano che nella maggior parte delle volte diventa un’isola sparita sotto i fondali marini, altre volte è una penisola che diventa isola, altre volte ancora è un’isola che diventa penisola, ma che è sempre la stessa quasi isola che in realtà isola non può essere mai stata, qual è per natura e definizione il Montarone, e per questo impossibile da trovare da chiunque e dal cui inabissamento, deliberato dagli dèi per la superbia e la vita lasciva dei suoi abitanti, traggono spunto: a– Platone, nel Crizia, per descrivere lo sprofondamento del Continente Atlantide che come atlante: infaticabile, prende il nome dalla potenza insita nel Montarone anche perché atlante è un sinonimo di pizzo di Pizzomunno; b– il profeta Ezechiele, per narrare la sparizione della poeticamente decantata Tiro, aramaico turah: porta, che è lo stesso dell’indeuropeo thura e del greco pulè: porta da cui il greco Turos per questa Tiro, equiparata a un formaggio (greco turos) bucato, sempre per la sconosciuta Vieste come Porta della Grande Madre Terra. Acqua Sorgiva, (Petrone) definita un buco da Seneca e città che poi viene rifondata come Thuria dagli emigranti Thurii, da cui i Thurreni che scacciarono da Vieste gli Umbri, sinonimo di Uriani, o Uriatini, per la comune emissione di acque del territorio di Vieste; c– il Del Viscio che fa sprofondare Uria nel Lago di Varano ma solo per buona eufonia con Uriano. Ma dalla cui distruzione, avvenuta anche come capro espiatorio per Troia, ebbero origine nuovi nomi di popoli e di città in tutto il Mediterraneo. Ciò vale sia per quei nomi che interessarono la stessa Vieste, come nel caso della catarsi di Uria per Vesta (Giuliani), sia per quei nomi che numerosi popoli, dopo il loro approdo e la sosta a Vieste, costretti da nuove ondate migratorie a trasferirsi nel restante territorio amarono conservare la sua memoria prendendo i loro nomi da qualche caratteristica naturale, storica e poetica di Vieste; sia infine per quei popoli che, avendo soltanto conosciuto il suo mito, cercarono di avvicinarla, di imparentarsela, col risultato di sradicare la sacralità dal sito originario e disperderlo ulteriormente in tutto il territorio italiano ed europeo, un fatto avvenuto per i luoghi presenti nelle poesie di grandi dimensioni del viestano Omero. Per tornare all’origine e significato di Gàrgaros attenendoci a luoghi vicini, furono i fumi generati dalla miscela dei forti venti e delle maree mischiati a quelli del buon vino a incentivare la palingenesi di nomi di città e di popoli tra cui gli Uriatini, gli Umbri, gli Ausoni, gli Aurunci, gli Euganei, i Gàrgari, i Tusci (Thuo-scoi), i Liguri, i Thyrreni, gli Eniadi (Petrone), i Citei, i Celtici, i Galli e infine i Methynnates ex Gargano (Plinio) per i V(i)-(a)estys-ane. Nomignolo che contiene il latino aestus, che oltre lo stare nella molta agitazione del mare che in qualche modo inebria i Viestani mandandoli in bestia, da cui la Terra di Bestia per il territorio viestano, poi esteso come sempre a tutta la Puglia, comprende il percorso del Sole nel giorno del solstizio d’Estate, da cui il significato di Vieste come figlia del Greco anche come Megale Ellas da cui la latina Magna Greca all’origine della Magna Grecia, mentre tutto il resto era considerato barbaro;
4) il fremito dei forti venti e delle opposte maree quando nel loro perenne tormento urtano gli scogli aguzzi situati davanti al Montarone e all’entrata della gorgogliante gola, o ugola, anche portuale del Pantanella, a volte trascinando nel loro vortice i resti dei natanti naufragati al largo o contro gli scogli del Montarone, o il muggire degli stessi elementi quando penetrano nelle gole profonde sottostanti “Sotte la Ripe” viestane. Citate da Omero come le <Rupi Girèe>, per la loro forma semicircolare, dette in viestano le Murge Scuffelète, che dal greco scufos (= scaptò, aprire una fossa) conduce alla forma di coppa, o Girèe:a forma di cerchio. Alle quali andando verso la punta del corno seguono le frastagliate rupi chiamate da Omero le Rupi Erranti, o Instabili dalla cui maggiore lesione, ora per sicurezza chiusa da archi artificiali, riuscì a passare, secondo la mitologia la sola nave degli Argonauti diOmero, che miticamente finisce capovolta, per l’isoletta del Faro, in cui muore il loro capo Giasone colpito da uno scranno caduto sulla sua testa. Subito dopo avere doppiato la punta di questo corno di destra del Montarone si trova la Grotte i Trève, Grotta delle Travi, di cui non c’è alcuna traccia, nella quale il fantasioso Omero pone un mostro con sei bocche di nome Scilla. Infatti trève proviene dal greco treò che significa fuggire atterriti, cosa che fanno Odisseo e il suo equipaggio dopo l’avvenuto prelievo di sei loro compagni. E che si faceva da ragazzi, che una volta entrati si veniva spaventati da qualcuno più grande d’età, determinando la fuga di tutti verso l’unico punto roccioso che tuttora permette l’entrata e l’uscita da questa grotta perché si era veramente atterriti dalla paura. Di questo omerico particolare aspetto ambientale è rimasta la diretta testimonianza nel successivo corno di sinistra del Montarone, detto di Drète la Mancine, Dietro la Mancina in cui si trova un Crepaccio detto <U Spacche Rusenèlle>, un toponimo greco che da spaò-rous-nèlès ha ll significato di <gorgo-con flusso e riflusso di ventre-che non perdona>chiamato da Omero col nome di Cariddi. Crepaccio da dove si gode tuttora lo spettacolo raccontato da Omero con il risucchio delle onde del mare con al seguito una grotta marina in cui alcune di queste ondate si depositano e dalla loro successiva rumorosa fuoriuscita si vede realmente la sabbia sul fondo del mare, poeticamente ridotta a tre volte al giorno da Omero e durante le quali Odisseo attaccato al ramo di un albero di fico selvatico, esistente fino agli anni 1970 perché periodicamente tagliato per farne legna da ardere e infine interamente estirpato per la creazione di due parcheggi laterali al crepaccio, al quale ramo si attacca Odisseo che durante la fuoriuscita di alcune ondate si lascia cadere sull’albero della zattera per allontanarsi. Uno spettacolo ora godibile nelle sole giornate di vento grecale dovuto alla recente costruzione del molo foraneo attaccato alla quasi frontale isoletta di (S.) Eufemia, o (S.) Eugenia;
5) lo sgargiante chiarore delle bianche rupi che cingono il Montarone per espressa volontà di Poseidone che le ha fatte crescere per vestire, coprire, incingere, fortificare la città per nasconderla alla vista dal mare, secondo Omero, e che stanno all’origine dei suoi nomi indeuropei di Ves-ta e Ves-te e romana Vesta. Oltre la luminosità di Uria, è il bianco calcareo di queste rupi cui si aggiunge la lucentezza del Sole che gira loro intorno durante il giorno a originare i nomi greci sia di Argos Ippion (= la bianca-atta all’allevamento dei cavalli) fondata da Diomede, perché nativo dell’omerica Argo (la bianca Vieste), nei campi iàpigi (troiani!) del Gargano (Virgilio) sia di Teuthria (da teuthrion: biancastra), la (quasi) isola abitata tra le due che formano il sacrario di Diomede che unitamente con le sette correnti (Strabone), o nove (Virgilio), tutte presenti a Vieste, viene identificato come un monumento col nome Timavo, Timauon, che si compone degli etimi greci timaò: onoro, e auò: mando un urlo, col significato di onoro con lamenti fatti dai compagni di Diomede tramutati in uccelli (Strabone, Plinio), gabbiani, che tuttora pernottano e che durante il giorno continuano a lamentarsi sull’isoletta disabitata di (S.) Eufemia, tomba di Diomede. Da questo biancore Omero inventa i nomi di Argo e di Creta, nomi poi passati a città dell’attuale Grecia, un fatto avvenuto pure per Micene che nasce da Omero per il Montarone che lo immagina spuntare come un fungo;
6) l’atavica poltroneria (garg-o), rassegnazione, abbandono, sonnolenza, isolamento, lamento, pena, rovina, perdizione, lascivia, incoscienza che però sottintendono anche una certa furbizia, dimestichezza, forza, coraggio, coscienza, superbia che i Viestani hanno acquisito nella solitudine dei millenari silenzi in cui hanno vissuto la loro tormentata e isolata realtà geografica e orografica. Di certo non fu Gregorovius il primo a definire Vieste la sperduta nel 1800, limitandosi a indicarla lontana dalla sacra spelonca di Montesantangelo (sac. Della Malva) perché vi sono altri fatti collegati a tutti i precedenti. Per esempio, Apina (e Trika), le città passate in proverbio perché distrutte da Diomede (Plinio) che sulle loro rovine fonda Argos Hyppion, era la capitale della Japigia (Virgilio) che, a sua insaputa, significa una monade Troia; o della Daunia (Della Malva), nome che, a sua insaputa, proviene dal greco dauò-nyos: incantata sposa, perché mai sposata qual è Oria per Vieste, verginità presente nelle dèe Estia e Vesta antichi nomi della divina Vieste. Da apios, Apina è la lontana, la remota; da ap-eimi è la lontana, assente, incantata, perduta da cui l’omerica città dei Lestrìgoni, Telepulo, la porta lontana, e la mai finora trovata romana Albalonga: alba lontana, città all’origine di Roma, che dal greco rome: forte, parte dal potente Montarone per Vieste, città di origine di Roma anche per altri motivi. Nel suo infinito, apeinai, si può comodamente individuare una delle possibili radici di Apen-este (Tolomeo), l’essere lontana verso quel mattino di cui Vieste è parente per Ap-en-este, che diventa figlia per Vi-este. Anche se dal greco apen(euthe)-este, apeneste indicava l’estremita orientale del Gargano (Tolomeo), in riferimento alla Testa del Gargano, poi identificata con l’unica città situata alla sua estremità, Hyrium, sempre Vieste.
Nell’intitolare il capitolo su Vieste con <La sperduta>, un appellativo di cui ora si conosce sia pure parzialmente la vera origine, l’autore di <Nel Gargano del 1907>, A. Beltramelli, è stato l’ultimo scrittore forestiero in ordine di tempo a soffermarsi su Vieste e a fare poesia su molti dei precedenti aspetti della città di Vieste, scrivendo: “Al favoloso eroe Diomede e al popolo suo, se ne attribuisce la fondazione in epoca indefinibile: o meglio, poco dopo la guerra di Troia verso il 1184 a.C. (..) Vieste è fuori dal mondo, dorme sperduta fra i suoi bianchi scogli (..) Mi sporgo dalle rocce a guardare; l’altezza è vertiginosa; la montagna scende a picco sul gorgo profondo, s’inabissa nelle acque che una forte corrente non lascia mai tranquille; si ode il loro fremito, il loro muggito (..) mi raccontano come (..) nelle notti di tempesta, da ogni casa si oda il rombo sinistro delle onde che s’incavernano (..) Gli scogli, le rocce sono del bianco più terso che si possa immaginare e lucono dolcemente a questo sole senza offendere gli occhi (..) le sirene allettatrici che condussero tante paranzelle, tanti navigli e tartane a naufragare a questa meraviglia. Nel profondo gorgo, fra l’alghe marine e gli scogli, giacciono antenne infrante, ricurvi scafi, ampie carene di navi, giacciono e giaceranno fino alla loro ultima consumazione: grandi scheletri oscuri dell’eterna tragedia nel mare (..) E v’è quaggiù chi crede ancora alle sirene, v’è chi crede alla poesia del suo mare ”. Ma la poesia del viestano Omero scritta circa 2900 anni fà è l’unica cosa vera degli scritti approssimativi dei successivi storici, poeti, mitologi, religiosi che hanno scritto le loro storie senza sapere da quale città questo sommo poeta avesse preso lo spunto per scrivere, oltre alcuni Inni, le poesie di grandi dimensioni che sono l’Iliade e l’Odissea, che lo scrivente è riuscito a individuare soltanto perché Viestano, fortunatamente la stessa accertata cittadinanza di Omero.
Prof. Giuseppe CALDERISI