Menu Chiudi

BALNEARI/ LA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA RIAPRE I GIOCHI. TORNA IN DISCUSSIONE LO STOP ALLE PROROGHE DELLE CONCESSIONE DEMANIALI DECISO DL CONSIGLIO DI STATO.

«Gli accordi aventi ad oggetto il diritto di un operatore economico di ge­stire beni o risorse pubbliche non do­rrebbero essere qualificati come con­cessione di servizi ai sensi della Diret- :iva Bolkestein». Parola della Corte di Giustizia europea, Nona sezione, 13 narzo scorso. A presiederla, un giudice taliano. E così gli imprenditori balneari :omano a sperare. Da mesi gli occhi degli operatori del settore e dei giuristi più affascinati dalla nateria sono puntati sull’imponente pa- azzo di Lussemburgo che il 20 aprile si esprimerà sui dubbi richiamati dalla Di­rettiva Pasca del Tar Lecce rispetto alla sentenza della Plenaria del Consiglio di Stato che aveva definitivamente detto stop alle proroghe delle concessioni de­maniali. Una sentenza durissima che oltre a fissare la data ultima di scadenza delle concessioni attuali al 31 dicembre 2023 aveva anche stabilito due principi giuridici che sembravano non lasciare scampo a amministratori locali e legi­slatori: uno, in assenza di espletamento delle gare per le nuove concessioni entro quella data, i tratti di spiaggia non po­tranno continuare ad essere gestiti dal vecchio concessionario sine die ma do­vranno tornare alla gestione del dema­nio; due, dirigenti e funzionari avranno l’obbligo, prima ancora che la facoltà, di disapplicare eventuali altre proroghe che il legislatore dovesse prevedere. Un terremoto. Con le Procure di tutta Italia già mobilitate, considerato che il venir meno del primo postulato coinciderebbe con il reato di occupazione abusiva di demanio marittimo e il venir meno del secondo con quello di abuso d’ufficio.

In molti fino a poche ore fa davano per scontato il responso del prossimo 20 aprile. La nota sentenza «Promolmpresa» del 2016 aveva stabilito che le con­cessioni balneari rientravano senza se e senza ma nel regime di concorrenza pre­visto dalla Direttiva Bolkestein. Ma la sentenza del 13 marzo scorso potrebbe indicare un cambio di rotta. Il caso è anche questa volta tutto italiano e ri­guarda, ad onor del vero, la proroga delle concessioni per il gioco d’azzardo. Il Col­legio a tre della Nona sezione era pre­sieduto dal giudice italiano professores­sa Lucia Serena Rossi. E al punto 27 del dispositivo comincia la partita che si chiuder* il 20 aprile con un responso tutt’altro che scontato: «È certamente vero – scrivono i giudici europei – che qualsiasi misura nazionale in un settore che è stato oggetto di un’armonizzazione completa a livello dell’Unione Europea deve essere valutata alla luce non delle disposizioni del diritto primario bensì di quelle di tale misura di armonizzazione, e che la Direttiva 2014/23 (Bolkestein) ha proceduto ad una armonizzazione esau­stiva» in materia di concessioni. «“Tut­tavia – prosegue il ragionamento dei magistrati dell’Alta Corte affinché una concessione rientri nell’ambito di ap­plicazione di quella Direttiva è indispen­sabile, segnatamente (la scelta delle pa­role sembra pesata, ndr), che essa sia sussumibile nella nozione di concessio­ne di lavori o in quella di concessipnq di servizi». E per non lasciare nulla al caso continuano: «Ai sensi dell’art.5 della Di­rettiva costituisce concessione di ser­vizi un contratto a titolo oneroso in virtù del quale l’Amministrazione affida la fornitura e la gestione di servizi ad ope­ratori economici, ove il corrispettivo consiste unicamente nel diritto, accom­pagnato da un prezzo, di gestire il con­tratto».

Dunque, «gli accordi aventi ad oggetto il diritto di un operatore ecònomico di gestire beni e risorse pubbliche, dove lo Stato fissa unicamente le condizioni ge­nerali d’uso senza acquisire lavori o ser­vizi specifici, non dovrebbero essere qualificati come concessione di servizi». Qualcuno potrebbe aggiungere che il be­ne spiaggia è sempre quello, ed è l’at­tività d’impresa che ci mette i servizi. Punto e a capo.