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DA VIESTE, INCONTESTABILE PATRIA DI OMERO, IL NOME DELL’ITALIA

Ogni tanto compaiono, non solo su Google, notizie per davvero sconcertanti sul nome della Foresta Umbra che deriverebbe dall’ombra come se ci stessero delle foreste, o anche un solo albero a non determinarla. Tant’è vero che intorno all’anno 2000 si voleva cambiare il nome in Foresta del Gargano, un progetto che è andato a monte in seguito all’intervento dello scrivente con argomenti che hanno convinto i promotori a desistere. Un fatto avvenuto per molti secoli, anzi per due millenni, pure nel considerare le Isole Diomedee per le Tremiti, quando si tratta del viestano Montarone. Toponimo greco che da moun(az)-tauro(s))-onem indica un “peduncolo isolato ma non distaccato avente la forma di corna di un toro possente” che porta alla realtà orografica della piccola penisola su cui poggia il centro storico di Vieste, che col nome Teuthria (biancastra) il cui istmo Diomede avrebbe voluto tagliare per farne una vera isola ma che non riuscì per la sua sopravvenuta morte, venendo seppellito sulla viestana isoletta disabitata di S. Eufemia, o di S. Eugenia, più conosciuta come lo Scoglio del Faro. E ancora in data 29.03.2023 un articolo su Google ricalcante notizie del tutto errate sull’origine del nome Italia da Viteloi, o Vituli, da vitello, facendolo pervenire da un paese in provincia di Catanzaro, città della Calabria nel cui Golfo di Squillace Odisseo da naufrago sarebbe approdato (Google 7.4.2023) parte della quale da qualche tempo prima era chiamata Italia, ma senza considerare che fu Enotro, figlio di Licaone e di Cillène e capostipite dell’Enotria, già nome della Puglia e poi dell’Italia, a trasferirsi con i suoi Arcadi nella Calabria dove da uno dei suoi discendenti di nome Italo deriverebbe il nome Italia originariamente per parte di questa regione. Ma il nome Enotria significa Terra del Vino, non solo perché quello prodotto a Uria, per Vieste, era talmente famoso che veniva esportato in tutte le regioni marittime, secondo il dr. M. Petrone, ma soprattutto perché i Viestani vengono individuati da Plinio come i Methynnates ex Gargano che li rende discendenti del dio greco del vino Methynna, derivante dal verbo greco methyò, da methy, sanscrito madhu: l’essere ubriaco. Stato di semi incoscienza presente in una frequente imprecazione dialettale viestana “mannagghie la madosche, o per la madosca” evidentemente dal sanscrito madhu: cioè mal n’abbia l’ubriacatura, che è lo stesso di una incavolatura con conseguente sbattuta a terra del copricapo, di chi ne era in possesso, per sottolineare la gravità di una questione, o la determinazione di un punto di vista personale sconfortante. Ubriacatura che però viene attenuata col nome nella Chiesa della Madonna della Libera e del molto usato fino a qualche tempo fa nome di Libero e Libera attribuiti a diversi neonati viestani, che in fondo parte dalla libertà da tutti i mali del mondo per il vino bevuto in modica quantità. Anche se forse, per dirla più realmente con Omero, questo stato di inebriatura o incavolatura potrebbe dipendere anche dallo stare il Montarone in mezzo al mare grandi flutti all’estremo del mondo degli omerici Feaci, nome proveniente dalla luminosità (gr. fai) dei corni (gr. acis) del Montarone, abitanti di Skeria. Nome che proviene dall’indeuropeo sker (gr. scèriptò) che in definitiva significa approdo che tempo fa avveniva nei due porti naturali viestani. Dallo stare in mezzo al mare grandi flutti derivano i Viestani come V(i-a)estysane, contenente il latino aestus. I cui significati fanno automaticamente diventare il Montarone l’Isola Bestie e, all’insaputa di tutti, la città di Vieste come l’antica greca, per il passaggio del Sole, che nel giorno del solstizio d’Estate sorge frontalmente a Vieste, spuntando precisamente da dietro la punta nord-occidentale dell’isoletta del Faro, e nel vedere Il Sole tramontare realmente nello stesso mare, mentre tutto il resto era da considerare barbaro. Dal cui aestus Vieste diventa automaticamente l’originaria Megale Ellas, poi erroneamente passato all’attuale Grecia anche per l’errata ubicazione dell’omerico Ellesponto, di cui si preciserà, mentre di conseguenza questa nazione dovrebbe essere considerata barbara. Ma anche perché in tempo romano viene identificata in latino come la Magna Greca da cui la Magna Grecia per l’Italia per logica continuità. Mentre dall’omerico estremo del mondo deriva l’appellativo del Montarone come Pizzomunno, contenuto nel suo antico nome di Estia, o Istia (gr. Isthemi). L’arte di coltivare

la vite viene confermato dall’approdo a Vieste dell’Arca, per l’isoletta del Faro per le analoghe e approssimative dimensioni con quella di Noe,biblicamentelunga m 154, larga m 25 e alta m 15. A questo si aggiunge, tanto per mantenerci in Italia, il nome Adria, dal greco adros: forte,ora erroneamente attribuito alla cittadina veneta di Atria distante km 5 dal mare, mentre come grande terra, o isola, o rupe marinara che viene fatta leggendariamente sprofondare in una notte e un giorno per un cataclisma, mentre si tratta sempre del solitario possente Montarone che divideva in due l’Oceano, o vasto, o largo, o alto mare di Omero con l’Ellesponto per generare il Golfo Adriatico, in precedenza Sinus Urianus, golfo di Uria,e il Mare Ionio rimasti divisi da Vieste ufficialmente in mappe fino all’anno 1600 (Magini). E mare tuttora diviso dai ragazzi viestani come il Mare Granne (grande) per il Mare Ionio e il Mare Piccolo per il Golfo Adriatico chiamato dai pescatori viestani le Acque di Fòre (mano) o di sinistra, od occidentali (da cui il nome Esperia per l’Italia), che veniva navigato in tempi estivi quotidianamente e in ore post vespertine dai pescatori viestani facenti parte degli equipaggi dei pescherecci chiamati Lampare che venivano tenute accese durante la notte per attrarre il pescato.

        Premesso che, come si può notare con la predetta imprecazione sulla madosche, il greco classico, o antico, veniva usato in Italia prima del latino imposto dai Romani e di cui c’è testimonianza nei numerosi etimi greci tuttora in uso nel dialetto viestano, parlato senza alcun particolare accento, si aggiunge che il nome degli Umbri, greco Ombricoi, da cui la Foresta Umbra, non proviene dall’ombra ma dal verbo greco ombreò: emetto acqua, che è sinonimo di oureò: emetto urina che per gli indeuropei e i latini è lo stesso di acqua, che tuttora viene emessa in abbondanza sui litorali viestani e da cui la Foresta Umbra che, quindi, diventa di origine Viestana: Anche perché da oureò nasce il nome della polivalente Uria per Vieste, laddove dall’aramaico Urja diventa Città e Foresta Sacra esistente nel nome greco di Vieste dalla divina Estia: sacrario, che da Vestice, da ve-stig-ium, diventa un memoriale poi trasferito al Monte Sacro, la cima più alta del Monte Gargano visibile da Vieste. Ma anche perché in una iscrizione su pietra scritta in greco arcaico tradotta dal viestano dr. M. Petrone come Porta della Grande Madre Terra. Acqua Sorgiva che come Grande Madre Terra, greco Gea è tuttora presente nel toponimo della località viestana “la Gioia” che ha inizio subito dopo l’attuale vallata che anticamente era il più confortevole dei due porti naturali viestani chiamato Pantanella. Toponimo derivante dalla fusione di etimi greci che da panta-ne(a)-el(os)-la(às) conduce a una “rupe tutto nave approdo” in cui scorre tuttora l’unica corrente di acqua buona da bere chiamata Canale della Chiatà. Un porto citato interamente da Omero con quello dei Lestrìgoni con la corrente Artachia; nel porto dell’Isola dei Ciclopi, con a capo una polla sorgentifera; nel porto traboccato d’acqua dolce dell’Isola di Trinachia o delle Vacche del Sole da cui l’altra possibile provenienza dell’Isola Bestie per Vieste, e infine nel porto dell’Isola di Ithaca con la sorgente Aretusa. Acqua Sorgiva, della cui emissione diventa reale anche per le altre numerose correnti di natura carsica che tuttora trasportano acqua sorgiva sui litorali viestani. Correnti favoleggiate nel racconto di due lavandaie al Beltramelli sull’esistenza di un nido che si è formato sotto la montagna. Diventate storiche poiché con Polibio, citato in Strabone, diventano “sette correnti di acqua salata di cui una sola di acqua buona”, identificando il territorio viestano come “sorgente e madre del mare”, anche se per Dante le correnti diventano nove, se si aggiungono le altre due di Drète u Ponde, Dietro il Ponte. Una teoria che nasce da Omero secondo cui il mare si è formato dalle visceri della Terra e che tutti i fiumi, tutte le correnti e tutti i pozzi sorgivi venivano traboccati dalla forza di Oceano, padre di tutti gli dèi e di Calypso. Che Omero situa in località individuata dallo scrivente Sotto il Ponte, che dal greco ponhto indica la pena che è quella sofferta da Odisseo per sette lunghi anni.. A questo si aggiunge Strabone (Italia) quando scrive che “gli Umbri avevano per confine Sarsina, Ariminum (Rimini) Sena (Senigallia) e Marinum fin dall’Adriatico”. Marinum è la località sepolta dal fango vicina a Vieste, ora Merino. Nome derivante dalla Myrina

di Omero la cui tomba è rappresentata tuttora dal viestano Munduncidde: monade duna con tutto il resto che compare nell’Iliade. Con vicino il Regno dei Morti di Omero avente il nome di Necropoli della Salata in cui ci sono tuttora tre omeriche e reali sorgenti che confluiscono nel finale canale che sfocia tuttora nel mare di Scialmarino, lunga km 5, capace di contenere poeticamente le 2000 navi degli Achei per dieci lunghi anni secondo Omero. Marinum che nell’antichità spesso sostituisce Vieste il cui possente, o soltanto forte Montarone diventa la rupe marinara di divisione del Golfo Adriatico e del Mare Ionio. Divisione che parte con l’Ellesponto di Omero che pure letterariamente indica un sentiero, o braccio del vasto, alto, forte, largo mare (gr. pontos) diretto verso l’Oriente (gr. elles). Un viaggio minacciato dall’indispettito Achille, capo degli Elleni per Achei, che voleva rientrare in patria “facendo tre giorni di navigazione nel pescoso Ellesponto andando verso l’Aurora (Iliade.IX,360-364)”. Cioè verso l’Illyria che dal greco illò-Yria significa una regione che ha uno stretto legame con Yria, quindi direttamente collegata via mare con Vieste. Un percorso facilitato dalla presenza nell’attuale Adriatico di isole intermedie quali  Pelagrosa e Lagosta o la Cazza per arrivare in Tracia, “i cui Traci chiudevano l’Ellesponto (Iliade. II,844)”. Un dato di fatto che esclude il canale marittimo stretto da due terre rappresentato dall’attuale Bosforo sul quale è stato fin da quasi tre millenni erroneamente situato l’Ellesponto come pure la Troia di Omero che in effetti è Vieste. Ellesponto per il Bosforo chiamato pure Stretto dei Dardanelli, che deriva da Dardania, l’antica Troia, distrutta una prima volta dal solo Eracle per una questione relativa al commercio di cavalli secondo il viestano Omero. Ellesponto che però compare in successivi storici tra i quali Erodoto che, oltre a dichiarare di non conoscere né la provenienza, né se fosse un’isola, né il significato del nome dell’Europa, che come vasta vista per lo scrivente sostituisce il Continente Apeira: aperta, di Omero che si trova nell’Apulia, senza porta derivante dagli Uri Aperti del Gargano, Viestani, di Catullo. Erodoto che cita un Ponto Eusino, cioè un sentiero del mare diretto verso Eòs, l’Aurora, o l’Oriente, quindi del tutto analogo all’Ellesponto di Omero; Platone che, nello scrivere del Continente Atlantide, che come atlante è sinonimo di pizzo di Pizzomunno, mentre atlante dal greco a-tlenai significa infaticabile, quindi forte, dallo scrivente individuato come derivante dall’ignoto ma possente, osoltanto forte, Montarone, in realtà affondato orizzontalmente sul mare e non sotto il mare. Inoltre Platone, scrivendo di un fermo come punto di confine tra “un mare che non si può dire vero mare”, il Golfo Adriatico per lo scrivente, “e un mare che si può dire vero mare”, il Mare Ionio sempre per lo scrivente, che poi vengono erroneamente confusi rispettivamente con il Mare Mediterraneo e l’Oceano Atlantico dentro il quale tuttora si cerca vanamente lo sprofondato Continente Atlantide; da Polibio che lo cita come Stretto Ionico oltre il quale c’è il Golfo Adriatico; da Livio che lo identifica come il Laurento, che dal greco laura è un cammino, o via stretta che in questo caso parte dall’adiacente promontorio viestano di (S.) Lorenzo; da Strabone la via luminosa e da Dante la via senza via. Significati che portano l’Ellesponto a una semplice rotta marittima verso l’Aurora come viene testimoniata da Omero e che parte da Vieste.

Oltre il destino di Troia che, dopo essere stata bruciata dagli Achei viene fatta sprofondare in una notte e un giorno per un diluvio di nove giorni di pioggia per volere degli dèi a causa di un muro costruito dagli Achei senza avere fatto i dovuti sacrifizi in loro onore, secondo Omero anche se una parte di questo muro appare tuttora sul fianco della Chiesa di S. Maria di Merino, un destino che si accomuna con quello di Uria che al pari di Adria viene leggendariamente sprofondata sott’acqua in una notte e un giorno per un maremoto, o un cataclisma voluto dagli dèi per la vita lasciva e peccaminosa dei suoi abitanti, soprattutto le donne che si prostituivano mostrando la loro venere in pubblico (Del Viscio e altri) che forse è un semplice equivoco che parte dalla posizione avanzata, di esposizione, di istituzione sul mare del Montarone e dei suoi abitanti. Una parentela di Troia con Uria si consolida nel racconto del vichese Del Viscio (Uria) nel raccontare di una non identificata Giulia, che per lo scrivente proviene dall’altro nome di Troia, detta Ilio da cui Iulo, figlio di Enea, generatore dei Romani come la Gente Giulia, che insieme con suo zio, principe di Uria, muoiono sott’acqua dovuto a un maremoto o un cataclisma generato per la loro vita peccaminosa, immaginandoli scomparsi dentro il Lago di Varano. Ma, secondo lo scrivente, solo per buona eufonia con Uriano, senza conoscere il fatto che il Sinus Urianus non è un lago, poi identificato da disinformati storici come il Lago di Varano. Ma letterariamente un golfo, che è la più grande insenatura dell’attuale mare determinata dalla sporgenza dell’intero triangolare Gargano in questo mare che poi diventa il Golfo Adriatico, che da adros, forte, prende il nome dal possente Montarone sporge fino al suo reale finire e quindi scomparire in questo suo mare con una profonda falesia. Anche perché come metonimia del latino sinus c’è una veste che è l’antico nome Veste per Vieste. Mentre la non identificata dal Del Viscio unica donna di illibati costumi che fu risparmiata dallo sprofondamento di Uria col nome Nunzia, per Seneca Nunzio, diventa un’altra personificazione al femminile del Montarone che di fatto si annunzia (gr. aggello) sul mare e da cui il Monte dell’Angelo per il Gargano presente nel codice Hamilton del sec. XIII che nel paragrafo dedicato a <Lo Monte SanctoAngelo> a p. 29 scrive testualmente “Del Monte SanctoAngelo e Bestij, che è en capo de lo dicto monte da ver greco, V millara. Bestij è bom porto”, che quindi parte dal Montarone e si estende a tutto il Gargano. Ma nome usurpato dagli abitanti della cittadina di Montesantangelo che non si annunzia affatto sul mare verso il sorgere del Sole e verso greco. Che come vento di grecale i Montanari tuttora definiscono il vento di Vieste.

Anche se la troia sacrificata, o data in sacrificio si trova nel toponimo di origine greca della rocca viestana di Caprareza, dal greco capra(ina)-rezò, che domina Merino e luoghi circostanti,, l’identità della vicina Troia di Omero con Uria, per Vieste, viene confortato anche dall’identità dell’isolato Montarone, che se fatto derivare dal greco monios, latino singularis, italiano singolare, porta a un cinghiale e nel nostro caso a una sua femmina chiamata comunemente troia, che insieme con l’isoletta del faro, quella che secondo Omero è la nave affondata e pietrificata con una manata di Poseidone come pure la nave degli Argonauti, che in questo caso viene identificata come un delfino, o un porcello marino, paragonato automaticamente e fantasticamente come un cinghiale e nel nostro caso una troia, un animale che riproduce in quantità essendo quasi sempre in stato di gravidanza. Anche se dal greco monos, il Montarone diventa pure il numero uno, non solo numericamente ma anche cronologicamente come luogo di origine di tutto quanto riguarda il genere umano, che si realizza sia nel più antico nome di Vieste come la divina Estia, o Istia, che da isthemi è un sisto, un punto fermo che sta sia alla base dell’essere il Montarone il Pizzomunno, Pizzo del Mondo, e sia nell’essere Vieste citata da Strabone col nome Ourion. Nome greco significante l’uovo infecondo, o cosmogonico dalla cui fecondazione deriva l’origine di tutto lo scibile umano, a cominciare da Gea, la Terra, di fatto presente nell’attuale località viestana la Gioia. Infatti Gea si è autonomamente generata con la rottura di questo uovo non fecondato e che sposando Crono, il Cielo, ha dato origine a tutte le cose divine e terrene. A cominciare dai loro figli quali Estia, il più antico nome di Vieste e città che proteggeva i suoi ospiti che arrivavano dal mare come pure nell’identità letteraria di una città santuario, sacrario e anche tomba, in questo caso della molto balzante Myrina di Omero che tuttora ha la sua Cappella del Popolo situata dentro l’antichissima Cattedrale viestana; Demetra dea della Terra presente a Vieste come damatira scritta sulla predetta pietra viestana interpretata dal Petrone; Era per metatesi Rea, dea della Terra che sposa suo fratello Zeus, Ade è una divinità protettiva del regno sottostante la superficie terrestre e quindi deputato a governare l’omerico Regno dei Morti che si trova nella viestana Necropoli della Salata in cui ci sono tuttora tre sorgenti che unendosi danno origine al finale Acheronte di cui scrive Omero, Zeus è la divinità del cielo luminoso; Poseidone governa il mare. A queste divinità va aggiunta la creazione di tutti i popoli italici ed europei che prendono il nome da qualche caratteristica di Vieste, soprattutto dalla sua posizione geografica rispetto al percorso del Sole. A cominciare dagli Umbri, sinonimo di Uriatini per la loro comune origine dall’emettere acqua, e finire per ora agli Italoi. Il cui nome Italia è stato gridato per prima da giovani immigrati entusiasti al loro approdo (Dante) nel porto viestano del Pantanella, identificato in una rivista di architettura come il Lago della Vittoria che si trova tuttora nella sua grotta di (S.) Nicola, che dal greco nike-laàs sta per rupe della vittoria. Un dato di fatto che prova che il nome Italia deriva da Vieste e non da altri luoghi.

Nome Italia, di cui Polibio scrive: “dicono che sia un promontorio di forma triangolare”che come promontorio parte dai triangolari Montarone e poi monte Gargano ancora esteso all’intera Italia. Nome che secondo lo scrivente deriva dal greco I-thaly(z) che significa isola in fiore, o  lussureggiante per il fiorente Montarone, che secondo il Giuliani e altri “il suo territorio senza coltura frutti produce” poi da Strabone trasferita al Gargano e quindi all’Italia. Montarone che dal suo essere isolato diventa isola, a cominciare da Omero che lo cita come isola di Itaca e di isola di Trinachia, ma che si trova nel primitivo nome dell’Italia come Isola dei Citei, o Cittei poi identificati, vivaddio, come Pugliesi e Italiani. Ma di origine Viestana il cui essere Citei, o Cittei, deriva dal greco cytos: vaso, urna, coppa, bicchiere, per qualcuno carena, cavità, circuito, come pure di cavità della nave, stiva. Ma che come coppa d’acqua veniva prelevata dall’adiacente al Pantanella Pozzo della Chiatà che dal greco cyathos indica: ciato, coppa per attingere acqua. Che, a parte la carena della nave che potrebbe condurre legittimamente l’origine dei Citei alla funzione del porto del Pantanella, questa acqua veniva offerta gratuitamente dal medico omerico Podalirio, salvo qualche spontanea offerta dei beneficianti che per ricompensa gettavano qualche obolo dentro una fessura di roccia sulla quale è stata da tempo edificata la Chiesetta della Chiatà, o della Biatà, recentemente, e come sempre è avvenuto fin da epoca medievale, diventata Chiesa della Madonna della Pietà. Mentre l’indovino Calcante da sopra la Chiesiola, collina che si affaccia sull’intero entroterra viestano,indicava il percorso da seguire a quanti volevano, o erano costretti ad espatriare ancora una volta sul suolo italico. Il toro presente nel Mon-tauros-(o)nem diventa più giovane nell’identità di un Vitello, idolatrato o venerato dai vituli calabri per riconoscenza verso il Montarone che diventa un telamone, già sisto di Istia, del loro primitivo fortunato approdo nel suo adiacente Pantanella. Un porto di fatto generato dalla continuità delle rupi del possente toro del Montauro(s-o)nem contribuendo a identificare Vieste come Porta della Grande Madre Terra, per questi popoli di immigrati provenienti principalmente delle regioni indeuropee e dell’Asia Minore. Anche perché nei tempi antichi tutto il patrimonio del padre andava obbligatoriamente trasferito al solo primogenito figlio maschio lasciando tutti gli altri a mani vuote e che vissuti negli agi si vedevano costretti ad emigrare per procurarsi il fabbisogno altrove con i loro seguaci. Oltre l’approdo del viestano Odisseo, che in realtà avviene davanti alla prima corrente viestana in località Scanzatore, che dal greco scana (scènè- scenaò))-za (per dia),-toreyo diventa il palcoscenico per mezzo del quale far sentire la voce alta, che è quella fatta da Nausica e dalle sue ancelle per la palla con la quale stavano giocando in attesa che i panni lavati e stesi al Sole sulla sabbia si asciugassero era caduta nel fiume o corrente, tanto da svegliare il tramortito Odisseo giunto, in realtà mai mosso, a Skeria per Vieste. L’ultimo allaccio di Vieste con la Calabria si trova nel Comune di Scilla, nome che parte dal viestano Omero che lo identifica come un mostro marino con sei bocche che per avere prelevato sei compagni di viaggio, Odisseo e rimanenti compagni scelgono di fuggire atterriti. Un fatto ispirato da Omero nella viestana Grotte i Trève sulla punta interna del corno e fianco della chiesa di S. Francesco. Poiché trève proviene dal greco treò, che significa fuggire atterriti cosa che facevano pure i ragazzi viestani di qualche tempo fa, compreso lo scrivente, quando dopo essere entrati nella successiva grotta qualcuno più grande di età li spaventava tutti fuggendo con terrore verso l’unico punto roccioso tuttora presente per uscire da questo luogo. O Spacco che secondo Omero e per realtà è distante un tiro di freccia con l’arco, cioè poco distante, da Cariddi, che lo scrivente ha individuato con quanto avveniva prima della costruzione del molo foraneo dell’attuale porto viestano che si attacca all’isoletta del Faro, ora un po’ meno, delle onde che, favorite dalla forma di imbuto aperto verso il mare dell’attuale Crepaccio detto in viestano Spacche Rusenèlle, entravano in numero maggiore nella successiva grotta depositandosi fino a raggiungere un livello superiore a quello del mare e fuoriuscendo con sonora violenza in numero minore, facendo vedere la sabbia del fondo del mare di cui racconta pure Omero. Sul lato destro di questo crepaccio, visto dal mare, fino agli anni 1970 c’era un fico selvatico di cui scrive Omero, ora completamente divelto per fare posto a due parcheggi, ma che veniva di tanto in tanto rinnovato perché tagliato da qualcuno per farne legna da ardere. Ad uno dei cui rami si attacca Odisseo, secondo Omero, per salvarsi balzando sull’albero della zattera in fase di uscita delle onde del mare per allontanarsi. Spacche Rusenèlle che dal greco spaò-roose o rouse-nèleò indica un “crepaccio con flusso e riflusso di ventre che non perdona, o inesorabile” dal quale Odisseo riesce fortunatamente a scampare. L’isoletta del Faro detta di (S.) Eufemia (la bene famosa) e di (S.) Eugenia (la buona genia) simile a una nave per Omero diventa quella dei Feaci che dopo l’accompagno di Odisseo all’Isola di Itaca (sempre Vieste) viene affondata e pietrificata con una manata del vendicativo Poseidone per punirli insieme con il vomito di un bastione di pietra, il Puzmume con altri fatti raccontati da Omero e afferenti la tuttora realtà del Montarone. Da questa Porta viestana nascono personaggi mitologici anche con nomi romani di Pilunno, Picunno e Portuno, in rappresentanza del Montarone e vicinato. Pilunno, miticamente definito nume tutelare della casa anche come propiziatore di numerosa discendenza (A. Morelli. Dei e Miti), che Virgilio identifica come re della Daunia, in realtà re del Gargano e nella fattispecie della insignificante Vieste. Ma che dal greco pylòn diventa un Portone di passaggio dei nuovi popoli di immigrati che venivano protetti dal focolare di Estia, remoto nome di Vieste, derivato dalla sua funzione di casa di prima accoglienza e per essere Vieste e la sua Cattedrale il santuario della molto balzante Myrina di Omero il cui sacrario, santuario, tomba si trova tuttora nel Munduncidde: monade duna, dove viene tuttora prioritariamente condotta la statua lignea di S. Maria di Merino. Picunno, o Pico, miticamente re del Laurento: cioè passaggio stretto del mare che in sostituzione dell’Ellesponto diventa automaticamente un re viestano. Infatti, similmente al bel pescatore viestano, Pizzomunno, che si innamora della fanciulla bella come l’iride del Sole di nome Uria, Picunno era un bellissimo giovane di cui tutte le ninfe dei boschi e delle sorgenti si innamoravano. Ma Picunno, che amava la sua Canente (cantante, quindi una Sirena) dalla voce dolcissima, divenne preda della viestana maga Circe che, abitando in una casa fatta di pietre lisce secondo Omero, di fatto abitava in località Mattoni/Calcari che si trova Dietro il Ponte, nella cui vallata, nella cui grotta, sulla cui lingua di spiaggia e sull’antistante mare c’è tuttora tutto quanto descritto da Omero in alcuni episodi delll’Odissea. Circe che, una volta respinta, per vendetta trasformò Picunno in uccello che tuttora picchia sui tronchi degli alberi perché ancora non riesce a sciogliersi dall’incantesimo (A. Morelli. Dei e Miti.). Quindi una rielaborazione mitologica di una minima parte dei poemi del viestano Omero; invece Portuno, sposo di Venilia che secondo lo scrivente è la personificazione di tutte le vene d’acqua scorrenti sui litorali viestani che rendono l’Ida ricco di vene secondo Omero, mentre come re Portuno è la personificazione dei porti viestani, in particolare il Pantanella munito dell’unica corrente d’acqua dolce di tutto il restante territorio viestano, anche se Portuno in origine era protettore della casa o meglio della porta e di chi vi entrava ed usciva, perciò raffigurato con una chiave in mano. Prerogative poi passate allo storicamente transitato, in realtà generato dalla funzione di Vieste, Giano, che dal greco ianua è una porta e da ianus è un passaggio, perciò protettore delle porte e dei crocevia, ma che dal suo epiteto matutino, o pater mmatutino, diventa la prima personificazione latina dell’Ellesponto di Omero e del Ponto Eusino di Erodoto che partiva da Vieste andando verso il mattino, o l’aurora. Quando i Romani scoprirono la loro vocazione marinara, Portuno passò a protettore dei porti dove in fin dei conti si esce e si entra (A. Morelli. Dei e Miti). Tutti e tre questi Re risultano mitologicamente pietrificati alla vista della testa della Medusa mostrata da Perséo. Una ulteriore riflessione va fatta sul nome Venilia, che secondo il vocabolario latino alla voce venilia riporta onda del mare, mentre alla voce Venilia riporta il nome di una ninfa, poi madre di Turno (Virgilio) e poi ancora moglie di Fauno o di Giano (Varrone), tutti nomi afferenti a Vieste. In quanto Turno è figlio di Dauno, suocero del Diomede, viestano anche perché Omero lo fa nascere ad Argo (bianco)che sta per il viestano bianco calcareo Montarone e di nessun altro luogo della Terra. E anche se Dauno, dal greco dau(o)-nio(s) indica una dormiente sposa, cioè distratta poi diventata Madonna Distratta venerata in Accadia, mai sposata qual è la vergine Oria (gr. Orie) per Vieste, caratteristica che parte dalla sempre vergine Estia, tutti antichi nomi di Vieste. Fauno potrebbe rappresentare un altro dio dell’omerico Ida ricco di vene e madre di fiere, che viene da Omero situato in Troade, dal quale monte Zeus ed Era decidevano le sorti della guerra di Troia che si trova tuttora nella sprofondata dal fango Merino e destino che si accumuna con il Montarone anche per il leggendario sprofondamento di Uria e di Adria per Vieste. Mentre Giano rappresenta il Montarone viestano come luogo di entrata e di uscita sia come Porto e sia come Porta della Grande Madre Terra presente a Vieste in località “la Gioa”. A partire da Portuno e soprattutto Pilunno, pietrificato sempre dall’omerica maga Circe perchè amante della bella e munita di bella voce Canente, Mentre Picunno viene trasformato in uccello da Circe perché amante della bella fanciulla Picumna come pure di Orione, figlio di Poseidone, o di Irieo per il Montarone, che si innamora di Merope, che dal greco meres diventa un predestinata anche se dipendesse da Merino, figlia di Enopione, il buon vino, probabilmente un locandiere, stesso mestiere del padre di Uria amante di Pizzomunno, comunque tutti viestani, poichè Orione che dopo avere riacquistato la vista viene sua volta amato da Eos e secondo Omero da Artemide, finendo pure lui pietrificato, dimostrando l’antichità di questa leggenda viestana venendo di conseguenza il Montarone denominato il Monte Orione con estensione a tutto il Gargano. Il leggendario nome di Venilia viene sostituito con Vestilia nella raccolta delle leggende pugliesi rinverdita dal garganico A. Petrucci riguardante “La leggenda di Pizzomunno” in cui Pizzomunno, per il Montarone, assume le vesti di un giovane pietrificato forte e bello di nome Merelio, pure lui un predestinato per la sua postuma pietrificazione e anche se dipendesse dalla distrutta Merino, che amava venendo riamato dalla bella fanciulla Vestilia, personificazione di Vieste, lo stesso di Uria, ma che per la gelosia delle ninfe marine, viene incatenata dalle sirene in fondo al mare. Ogni cento anni, in una notte di luna piena ai due, una volta riacquistate le sembianze umane, viene consentito di incontrarsi per amarsi.. Venilia e Vestilia sostituiscono la leggendaria bella fanciulla, figlia di un locandiere col nome originario di Uria che si innamora del bel pescatore Pizzomunno, per il Montarone, giammai per il Puzmume che dal greco pougx-mòmos è un bastione di ammonimento vomitato dal vendicativo Poseidone raccontato da Omero nell’Odissea. Ma un amore talmente corrisposto da creare gelosia alle Sirene, di stanza in località viestana di Lamicane che dal greco lami(è)-can(akeò) è l’isola della sirena, le quali legano con le catene Uria sul fondo del mare ma consentendo, per mostrare la loro sensibilità, ai due amanti di rivivere il loro amore in una sola notte di luna piena ogni cento anni. L’attuale nome in voga Cristalda, non ha niente a che fare con il territorio di Vieste e quindi da dimenticare al più presto per non continuare a svalutare e disorientare il potenziale valore storico e leggendario di Vieste. Anche perché Cristalda è un nome inventato dall’ex alunno Carlo Nobile in occasione della partecipazione del Liceo Scientifico di Vieste ai carri allegorici nel Carnevale di Manfredonia nel 1965. Nome di Cristalda poi divulgato da questo ex alunno per essere diventato, per giochi di equilibri politici, presidente e poi commissario della ex Azienda di Soggiorno. Un ente turistico ottenuto su iniziativa del solo scrivente quando era consigliere comunale e capogruppo di maggioranza relativa nel Consiglio Municipale di Vieste nei primi cinque anni 1970. Uria, dal greco oureò, emetto acqua, come Venilia rappresenta  più realisticamente la moltitudine delle mitiche, poetiche e storiche correnti d’acqua che sfociano tra le onde marine come pure dall’esposizione alle onde marine, o venilia, del Montarone di Vieste da cui pure Vestilia, come è giusto che avvenga nella creazione di una leggenda che sotto nasconde sempre la verità. Mentre il polivalente nome Uria fatto pervenire dal greco òureò indica il trascinamento a mano delle navi che entravano e uscivano dal porto del Pantanella con l’aiuto della Corrente della Chiatà, che determinava l’unico punto di possibile transito delle navi al suo interno per la presenza delle tuttora contrapposte Chianghe de l’Onne, alla sua destra, e la Chianghe de L’Orne, alla sua sinistra, se guardato da monte, che però rendevano assolutamente tranquille le acque interne di questo porto del Pantanella esaltato da Omero nell’Odissea.

Una volta precisato che l’Apulia: senza porta, è lo stesso dell’omerico Continente Apeira: aperta, ora Europa: vasta vista, trattandosi quindi di sinonimi di Viestani citati come gli Uri Aperti del Gargano da Catullo e mai prima da altri individuati. Mentre dal Montarone identificato come Pizzomunno che da pizzo è sinonimo di atlante, da cui il Continente Atlantide mai trovato poiché da atlante, greco a-tlenai, è infaticabile che parte dal possente Montarone, lo stesso di forte del greco adros da cui Adria per Vieste. Che dalla sinonimia di pizzo, di atlante come pure soprattutto di angolo sta in fase di stampa il terzo libro dello scrivente dal titolo: La storia incredibile, ma vera, della remota città di Vieste: figlia dell’Oriente, che fa seguito al suo primo libro: Vieste (..) patria di Omero, pubblicato nel 1994 e al secondo Vieste (..) nell’identità di Atlantide e della Thule di Pitea, pubblicato nel 1999 e altri diversi scritti riguardanti l’antica nobiltà di Vieste tuttora inediti, in particolare l’uno: Vieste, archetipo dell’Europa e l’altro: Vieste madrepatria di Roma. A questo c’è da aggiungere che da Vieste come Porta della Grande Madre Terra tradotta dal Petrone e presente nell’indeuropeo thura hanno avuto origine pure il mare Thyrreno e la Thyrrenia sia come regione e sia come nome della triangolare isola Italia, in precedenza identificata come Isola dei Citei presente nelprofeta Ezechiele nella Bibbia. Italia detta da Aristotile Gargaria, proveniente sempre da Vieste col nome Gargaros derivante dai gargarismi nelle gole, o ugole delle correnti viestane. Detta pure Enotria, come terra del vino per quello famoso prodotto a Uria ed esportato in tutte le regioni che si affacciano sul mare. Poi Esperia, cioè Occidentale che viene determinato dall’essere Vieste figlia dell’Oriente e quindi automaticamente punto di partenza dell’Occidente. Anche perché da un altro nome di Vieste citata più volte come Viestri in una lettera scritta nel 1646 dall’Arcivescovo di Manfredonia Marullo per lamentarsi della povertà di Vieste e della sua suffraganea Chiesa subito dopo il terremoto che devastò Vieste, che come Viestri si trova nel mitologico nano Vestri che sostiene il pilastro, la colonna, l’atlante, il pizzo di Pizzomunno, l’angolo della volta Occidentale del Cielo in contrapposizione al nano Austri (A. Morelli, Dei e Miti. v. Vestri). Un dato di fatto che conferma l’identità di Vieste come città capitate del Continente Atlantide e tutto il resto. Mentre come angolo  è servito allo scrivente di individuare Vieste come città capitale del Regno dell’angolo-culla (Roi d’Angoulmoise) che nel 1500 secondo una quartina del veggente Nostradamus sarebbe dovuto risuscitare sia pure con qualche difficoltà nel settimo mese del 1999, anno in cui lo scrivente ha iniziato a scrivere il suo terzo libro riguardante Vieste nella funzione di angolo-culla, che è lo stesso di atlante, di pizzo di Pizzo del Mondo e di Viestri come nano che sostiene la volta occidentale del cielo. E poi Italia che per dovuta continuità viene detta pure Ausonia, proveniente dall’indeuropeo ausos, aurora, greco Eòs, proveniente dall’estensione del Montarone sul mare verso il mattino, l’aurora, l’oriente, il greco di cui Vieste è figlia e da cui gli Ausoni Umbri e i loro sinonimi Galli una volta trasferitisi in Francia. Mentre dall’equivalente aramaico turah nasce Tyrah, greco Tyros per l’italiana decantata Tiro, la cui perdita viene ricordata con una certa vanteria dal profeta Ezechiele per farla sostituire da Gerusalemme come porta. Della Terra. O del Continente di cui l’antica Vieste era la porta, o il telamone, o il Pizzomunno, o la capitale del Continente Apeira di Omero. Ma che ora Vieste con qualche impegno dei suoi amministratori potrebbe (ri)diventare città Capitale della Cultura in Italia, in Europa e, perché no, anche nell’attuale Mondo considerata la notevole entità di queste testimoniate scoperte dello scrivente. Da ora in poi basterà identificare questa nostra fortunata estremità del Gargano col nome Vieste: città di Omero e i risultati si potranno vedere da subito a vantaggio dell’economia di questa città e dell’intera Italia, un po’ anche per merito del solo scrivente che è riuscito a riportare il poeta più grande del mondo e di sempre nella sua vera patria dopo circa 30 secoli della sua certa vita, messa in dubbio dagli antichi storici (Enc. I Propilei)

Prof. Giuseppe CALDERISI