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VIESTE – OMICIDIO DEL BOSS RIVALE: IL 14 LUGLIO IL RICORSO DEI CUGINI IANNOLI IN CASSAZIONE CONTRO LA CONDANNA A 14 ANNI E 6 MESI

NEL 2018 TENTARONO L’AGGUATO MAFIOSO A RADUANO ORA LATITANTE —–

Sarà discusso il 14 luglio dalla prima sezione della Corte di Cassazione il ricorso dei di­fensori dei cugini Giovanni Iannoli e Claudio Iannoli di 37 e 47 anni, viestani, condannati in primo e secondo grado a 14 anni e 6 mesi a testa per il tentato omicidio premeditato e aggravato dalla mafiosità del capo clan rivale Marco Raduano, 39 anni, attualmente latitante, che sfuggì alla morte la sera del 21 marzo 2018 mentre rincasava: tre killer appostati spararono con mitra e fucile ferendolo a braccia e gambe. Gli imputati sono ritenuti al vertice del clan Pernaa-Iannoli rivale del gruppo Raduano nella guerra di mafia che a Vieste dal gennaio 2015 all’agosto 2022 ha con­tato 10 morti, una lupara bianca e una mezza dozzina di agguati falliti.

Claudio e Giovanni Iannoli furono arrestati da Carabinieri e Polizia il 3 giugno 2019 su ordinanze cautelari del gip di Bari chieste dalla Dda nell’operazione denominata «Scacco al re»: i provvedimenti di cattura furono notificati ai due presunti killer in carcere in quanto erano già detenuti per droga. In primo grado furono condannati a 14 anni e 6 mesi a testa dal gup del Tribbiale di Bari il 23 marzo 2020 al termine del processo abbreviato; sentenza confermata dalla corte d’appello di Bari il 5 maggio 2022 e contro la quale hanno presentato ricorso gli avv. Salvatore Vescera e Lorenzo Incardona per Claudio Iannoli, e il collega Michele Arena per Giovanni Iannoli: chiedono alla Cassazione di annullare le condanne e di ordinare la celebrazione di un nuovo processo d’appello. Raduano è ricercato dal 24 feb­braio scorso quando evase dal carcere Bad’ e Carros di Nuoro dove scontava 19 anni per traffico di droga e porto illegale di armi aggravati dalla mafiosità.

Giovanni Iannoli durante il processo di primo grado confessò d’aver sparato a Raduano, dicendo d’aver agito insieme al compaesano Gianmarco Pecorelli (ucciso il 19 giugno 2018 nell’ambito della guerra tra clan da killer rimasti ignoti), negando però che il tentativo d’omicidio fosse collegato alla guerra per il predominio nello spaccio di droga, e dicendo d’aver agito per vendetta per essere stato picchiato di Ra­duano e Perna qualche tempo prima. Dda e investigatori invece sosten­gono che i cugini Iannoli e con loro Pecorelli volevano uccidere Raduano su mandato di Girolamo Perna poi ammazzato a sua volta il 26 aprile 2019 da sicari rimasti impuniti, nell’ambito della guerra di mafia esplosa nel paese garganico. Decisive le intercettazioni, soprattutto a ca­rico di Giovanni Iannoli registrato mentre confidava a conoscenti e parenti: «prima comandava Marco, gli ho sparato: mo’ voglio comandare io. Non è morto e siamo rivali, quello da una parte e io sto da un’altra. Lui è una bandiera, noi siamo un’altra bandiera: siamo due bandiere diverse. Gli ho sparato, perché lui mi aveva dettato le regole di quello che non dovevo fare. Prima che ci uccidevano loro a noi» (riferito al clan Raduano) «ci abbiamo provato noi, e non ci siamo riusciti. Sono andato alla casa e gli ho sparato e non l’ho preso, si è bloccato il fucile, se non l’avrei ucciso; perché a prenderlo l’abbiamo preso ma non al centro, di stri­scio e se n’è scappato: ecco il morale della favola qual è».