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QUARTA MAFIA/ LA CAPITANATA DIVISA TRA CLAN E “CANI SCIOLTI”

Nella relazione della Direzione investigativa antimafia al Parlamento censiti una ventina di formazioni fino al primo semestre 2022.

Tre clan a Foggia; altret­tanti a San Severo; un paio a Cerignola, Lucera, San Nican­dro e tra Apricena-Poggio Im­periale; uno ciascuno a Orta Nova e Stornara; e la galassia di una mezza dozzina di gruppi sparsi sul Gargano, dopo la frammentazione del clan dei Montanari a inizio millennio. È la mappa della ventina di clan censiti nell’ultima rela­zione al Parlamento della Direzione investigativa antima­fia, che fotografa la realtà cri­minale nel primo semestre del 2022 nel Foggiano, seconda pro­vincia più grande d’Italia e ter­ra di “quarta mafia d’Italia” dopo Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra. Mappa che tiene conto in alcuni casi di deno­minazioni datate nei decenni e in altre prende atto delle evo­luzioni più recenti.

LA SOCIETÀ FOGGIANA – Quando si parla di “quarta ma­fia”, definizione che ingloba Foggia/San Severo, Gargano e Cerignola, in cima c’è la “So­cietà foggiana” fondata negli anni Ottanta seguendo riti di affiliazione calabresi e napo­letani (“siamo venuti a forma­re società”); un tempo orga­nizzazione piramidale con un vertice ma che dagli anni No­vanta si è divisa in batterie che periodicamente si fanno la guerra tra ammazzatine e fe­rimenti, salvo poi ritrovarsi nella strategia unitaria tanto da aver creato una cassa co­mune dove far confluire i 220mila euro (la somma l’ha rivelata l’ultimo pentito, il kil­ler Patrizio Villani del gruppo Sinesi/Francavilla) che ogni mesi vengono incassati da estorsioni a tappeto a tutte le categorie produttive e spaccio di droga. I soldi servono a pa­gare stipendi agli affiliati, dai 500 ai 1500 euro mensili; a man­tenere le famiglie dei sodali detenuti; sostenere le spese le­gali; reinvestirli nell’acquisto di droga e prestiti a usura.

TRE I CLAN CHE OPERANO – Dal più forte riconducibile ai Moretti/Pellegrino/Lanza, agli alleati Trisciuoglio/Tolonese, ai rivali Sinesi/Franca­villa – nonostante un tentativo di scissione datato 2018 e che attraversò il gruppo Sine­si/Francavilla. Federico Trisciuoglio è morto a 69 anni il 5 ottobre 2022 dopo lunga ma­lattia; e Salvatore Prencipe, già capo clan nei primi anni del nuovo secolo insieme proprio a Trisciuoglio, pur se nella map­pa della Dia viene inserito nel triumvirato Trisciuoglio/Prencipe/Tolonese, di fat­to è sparito dai radar delle indagini da quando fu scar­cerato a fine ottobre 2015 dopo una decina d’anni di deten­zione: da allora in città ci sono stati più blitz antimafia e mai il suo nome è stato più sfiorato da inchieste. Dei capi dei 3 clan della “Società”, sono quasi tut­ti detenuti con la sola eccezione di Raffaele Tolonese, classe ’59, detto “Rafanill” scarcerato lo scorso marzo dopo 10 anni in cella, anche al duro regime del 41 bis.

SAN SEVERO E L’AUTO­NOMIA – La Dia censisce tre clan a San Severo (più i Cursio-Padula su Apricena e i ri­vali Di Summa-Ferrelli nella stessa area): il gruppo Nardino con a capo Franco Nardino alias “Kojac”, nome storico del­la mafia locale sin dagli anni Novanta; i La Piccirella/Testa, al cui vertice sono individuati il “professore” Giuseppe La Piccirella che scarcerato nel settembre 2014 dopo una con­danna a 27 anni per omicidio e mafia inflitta nel maxi-proces­so “day before” alla Società foggiana negli anni Novanta si alleò con Severino Testa alias “il puffo”; e il gruppo Russi, ma fuori dai radar investigativi da anni. La mafia sanseverese è stata storicamente legata e dipendente dalla “Società foggia­na”, anche se il blitz Ares del 5 giugno 2019 (50 arresti, 35 condanne tra primo e secondo gra­do tra cui 30 anni a La Piccirella, 18 anni a Nardino, 10 a Testa) certificò – disse la Dda – l’autonomia della mafia san­severese da quella foggiana.

Gli affari? Traffico di droga, essenzialmente; e per il gruppo La Piccirella/Testa anche estorsioni.

I PIÙ RICCHI – A Cerignola, dove c’è la mafia più ricca e capace di diversificare gli af­fari, la Dia continua a censire due clan, richiamandosi in par­te agli schieramenti definiti nei primi anni Novanta nel maxi-processo Cartagine dopo una guerra tra clan: il più forte denominato Piarulli, che face­va capo a due fratelli cerignolani con interessi e collegamenti con ‘ndranghetisti lom­bardi; e il gruppo Di Tommaso. Peraltro a Cerignola, dove pure nell’ultimo anno si sono re­gistrati una mezza dozzina di blitz per droga, armi, riciclag­gio d’auto, assalti a portavalori, indagini sull’evoluzione della mafia locale mancano dalla prima decade del nuovo secolo. Una mafia, quella cerignolana, talmente forte da aver ridotto le frizioni interne (negli ultimi trent’anni gli omi­cidi di mafia si contano sulle dita di una mano) e di diver­sificare gli affari per dar spazio a tutti: dai traffici di droga a quelli delle armi; dal riciclag­gio di veicoli rubati per ri­venderne le singole parti in tutta Italia e anche all’estero; dai ladri specializzati nello svaligiare magazzini in tutta Italia sapendo già dove ricet­tare la refurtiva a Cerignola; ai professionisti di assalti e ra­pine a portavalori e caveau anche fuori dai confini nazio­nali.

LIBERGOLIS CONTINUA A GESTIRE TRAFFICI E AFFARI SUL PROMONTORIO. A VIESTE DOPO LA SCISSIONE NEL 2015 “COMANDA” RADUANO

Un tempo era il clan dei Montanari, riconducibile alle famiglie Libergolis di Monte Sant’Angelo e Romito di Manfredonia, al quale face­vano riferimento gruppi de­linquenziali di singole realtà garganiche. Il maxi-processo alla mafia garganica (99 ar­resti il 23 giugno 2004; 107 imputati, oltre quaranta con­danne a ergastoli e secoli di carcere per mafia, omicidi, droga e racket essenzialmen­te) ha sancito la rottura tra i due gruppi con 13 agguati e altrettanti morti ammazzati, tra cui i 4 della strage del 9 agosto 2017 firmata dai Li­bergolis per eliminare Mario Luciano Romito.

Nella mappa della Dia sono i garganici a contare il mag­gior numero di clan: sette. La Dia attribuisce il ruolo di leadership ai Libergolis; il gruppo Romito per la Dia è ora Ricucci/Romito/Lombardi anche se dopo il blitz  “Omnia nostra” (32 arresti il 7 dicembre 2021; 45 imputati a processo per mafia, omicidi, droga, racket) Dda e cara­binieri parlano di gruppo Lombardi/Ricucei/La Torre in guerra con i Libergolis. A Vieste l’omicidio di Angelo Notarangelo a gennaio 2015, ha sancito la sanguinosa scis­sione dell’omonimo gruppo (10 omicidi, 1 lupara bianca e 6 agguati falliti sino all’ago­sto 2022) tra il clan capeggiato da Marco Raduano, evaso dal carcere di Nuoro lo scorso 24 febbraio mentre scontava 19 anni per traffico di droga aggravato dalla mafiosità; e il clan Perna/Iannoli, con Gi­rolamo Perna assassinato nel 2019 e i cugini Giovanni e Claudio Iannoli condannati (non tutte sono condanne de­finitive) per droga e tentato omicidio.

Su San Nicandro la Dia individua ancora due gruppi protagonisti della faida che dall’81 contò una ventina tra omicidi e lupare bianche: i Ciavarrella, ma di cui non c’è stata più traccia nelle inchie­ste dopo le condanne per omi­cidi e droga nel maxi-pro­cesso alla mafia garganica; e i Tarantino tornati attivi, se­condo la Dia, nello spaccio anche grazie all’alleanza con i Libergolis.

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