Esiste un rischio di dipendenza tecnologica, economica e finanziaria delle imprese dei servizi dalle piattaforme digitali? E qual è l’impatto di questo legame in termini di quote di mercato e organizzazione del lavoro? Sono le domande da cui muove la Digital platform survey dell’Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche), una maxi-ricerca condotta nel 2022 su un campione di circa 40 mila imprese, rappresentativo delle quasi 300 mila (298.991) che operano nei settori della ristorazione, del turismo e dei trasporti terrestri. Un’indagine che comprende le aziende con meno di tre addetti e offre moltissimi spunti di analisi e riflessione sia agli operatori interessati sia a chi è chiamato a governare un fenomeno che — già prima della pandemia, e in misura assai più incisiva durante e dopo — ha cambiato in buona parte i connotati di settori vitali dell’economia. Proviamo ad analizzarli, questi spunti, mettendo insieme i dati più evidenti emersi dall’imponente ricerca.
1.Le imprese del turismo, della ristorazione e dei trasporti terrestri che utilizzano in Italia le piattaforme digitali per vendere i loro prodotti e servizi sono 58.092, pari al 19,4%.
2.Il settore che si avvale più di ogni altro delle piattaforme digitali è il turismo, con il 42,1% delle imprese (38.615). La penetrazione è particolarmente accentuata tra gli affittacamere/bed&breakfast (76,9%) e alberghi (74,6%).
3.Nel settore della ristorazione, si legge nel rapporto, «la diffusione del ricorso alle piattaforme è più omogenea: il comparto più numeroso in valore assoluto è quello rappresentato dagli oltre 13 mila esercenti (il 12,9%) che effettuano attività di ristorazione con somministrazione. Il ricorso alle piattaforme digitali è invece minimo nel settore dei trasporti, in cui la diffusione più ampia (4%) si registra nelle attività di trasporti terrestri di passeggeri nca (noleggio con conducente)».
4.Se circa un quarto delle imprese — il 24% — si era legato contrattualmente a una piattaforma prima del 2014, la maggior parte — il 57,4% — lo ha fatto nel quinquennio successivo. Ma nel solo periodo della pandemia, 2020-22, «sono ben il 18,5% le imprese che hanno stipulato un contratto per la vendita dei propri prodotti e servizi con le piattaforme». L’impatto è stato fortissimo nella ristorazione, con il 44,7% delle imprese che ha iniziato a rivolgersi alle piattaforme per soddisfare la richiesta di asporto (27,8% solo nel 2020). Il ricorso alle piattaforme, fanno notare i ricercatori, «può rendere necessario realizzare investimenti specifici, in dotazioni informatiche, software specialistici, servizi di channel management, o in pubblicità: una circostanza dichiarata dal 25,9% delle imprese (quota che arriva al 30,2% tra le imprese del turismo)».
5. Sono i dati sul fatturato a evidenziare in modo ancora più netto il legame simbiotico che si è creato in molte realtà: «Nel biennio 2020-21 il fatturato intermediato dalle piattaforme digitali rappresenta quasi un quinto dei ricavi nella ristorazione e nei trasporti e intorno alla metà del giro d’affari nel settore del turismo». Un legame che si riflette sull’entità della remunerazione spuntata in questo frangente decisivo dai protagonisti dell’economia digitale.
6. Le commissioni richieste dalle piattaforme per l’intermediazione, infatti, rappresentano in media il 16,5% del fatturato intermediato nel 2020 e il 16,7% di quello del 2021, «con un costo mediamente più elevato nella ristorazione».
7. La maggior parte delle imprese (88%) dichiara di pagare alle piattaforme una commissione in percentuale del fatturato, mentre per le altre la commissione è fissa (flat).
8. Ma quanto costano queste commissioni? I dati del rapporto sono davvero indicativi: tra le imprese che pagano in percentuale, il 16,8% dichiara di pagare fino al 10% del fatturato intermediato, il 34,4% tra il 10 e il 15%, il 33,8% tra il 15 e il 20%, mentre il 15% dichiara di pagare una commissione superiore al 20%. In particolare, nella ristorazione «la percentuale di imprese che paga commissioni superiori al 20% rappresenta il 35,7%, mentre nei trasporti si rilevano le commissioni più basse».
9. Poi c’è la questione degli incassi: nel 46,8% dei casi, l’impresa dipende dalle piattaforme per riscuotere i pagamenti dei clienti, mentre una percentuale quasi identica, il 46,1, può accedere direttamente alla clientela. La dipendenza è particolarmente forte nella ristorazione, dove più di due imprese su tre — il 68,2% del totale — sono costrette dalle norme contrattuali a canalizzare gli incassi attraverso le piattaforme digitali.
10.Un problema è rappresentato dal fatto che le piattaforme si tengono i soldi a lungo. Il ritardo nei tempi di incasso, sottolinea infatti il rapporto, «rappresenta un costo e un fattore di rischio finanziario intrinseco nel caso di pagamenti canalizzati tramite piattaforma. Le clausole di dilazione dei trasferimenti degli incassi dalla piattaforma all’impresa sono presenti complessivamente quasi nell’81% dei casi in cui è previsto il pagamento tramite piattaforma». E ancora: «Le condizioni meno vantaggiose risultano applicate più frequentemente nel settore della ristorazione in cui nel 92,4% dei casi gli incassi sono differiti nel tempo».
11. Che il rapporto tenda a favorire le piattaforme, lo dimostra il fatto che nel 70,3% dei casi sono loro a imporre clausole unilaterali: «Il potere di mercato delle piattaforme risulta particolarmente sbilanciato a sfavore degli operatori turistici e dei ristoratori che dichiarano, rispettivamente nel 73,6% e 64,5% dei casi, che le clausole “sono state stabilite unilateralmente dalla piattaforma”».
12. Un altro indicatore del rischio di dipendenza lo forniscono i dati sulla «rilevazione di sistemi di rating commerciale, i quali comportano potenziali rischi reputazionali derivanti dal rapporto commerciale instaurato con le piattaforme digitali. Il 36,4% delle imprese dichiara infatti di aver ricevuto “valutazioni negative relative ai prodotti/servizi offerti”, complessivamente, almeno una volta». E su questo punto, quasi un terzo degli operatori preferisce non rispondere.
13. C’è infine la questione dei dati sui clienti: il 34,3% delle imprese può accedervi da tutte le piattaforme utilizzate («con quote superiori alla media nei trasporti e nel turismo e inferiori alla media nella ristorazione»), il 14% solo da alcune piattaforme, il 18,4% (il 24,6% nella ristorazione) da nessuna piattaforma e oltre un terzo preferisce non rispondere. «Il rischio di perdita di informazione sulla clientela, che può derivare dal ricorso alle piattaforme come partner commerciali per la vendita di prodotti e servizi, risulta quindi complessivamente abbastanza contenuto. Tuttavia, quasi un quinto delle imprese dichiara di non poter accedere alle informazioni sulla clientela e oltre un terzo preferisce non rispondere», scrivono i ricercatori.
In conclusione, ecco le risposte della ricerca alle domande iniziali: se le piattaforme digitali offrono grandi opportunità alle imprese nella ricerca di nuove quote di mercato, nuove strategie di marketing e sul piano organizzativo, l’indagine «mette in guardia però sui fattori di rischio che possono derivare da una dipendenza tecnologica e finanziaria dell’impresa dalla piattaforma, come canale di vendita, e dallo squilibrio di potere nel mercato», ed «evidenzia alcuni indicatori degli assetti di potere e come alcune caratteristiche concernenti l’uso delle tecnologie digitali, la conoscenza e la sua organizzazione, e distribuzione nel mercato, siano fattori in grado di condizionare (insieme ad eterogeneità organizzativa), la dinamica del prodotto, la quota di mercato e il potenziale impatto sulla forza lavoro occupata».
In termini di policy advice, cioè di suggerimenti ai regolatori, il rapporto afferma che, offrendo «una stima attendibile e statisticamente significativa della quota di mercato intermediata dalle piattaforme digitali in Italia e del relativo costo di intermediazione», si fornisce un’ottima base per «supportare una stima dell’imponibile di questo segmento dell’economia su cui raffrontare il gettito fiscale atteso dalle piattaforme digitali in quei settori, con quello effettivo dei soggetti giuridici che rientrano nel perimetro del sistema tributario italiano». Infine, si suggerisce di seguire l’impianto delle ultime norme europee e porre l’attenzione «sui lavoratori delle piattaforme digitali, piuttosto che su quelli delle imprese utilizzatrici, perché è lì che, se applicata la direttiva europea, almeno in parte si dovrebbe registrare un più ampio fenomeno di emersione dal lavoro irregolare». Le piattaforme digitali hanno rivoluzionato l’economia in un modo così veloce e imponente, insomma, che il dibattito su come regolarle è in continua evoluzione, e continuamente necessario: da questo punto di vista, l’indagine Inapp fornisce parametri preziosissimi.
Questo articolo è stato pubblicato sulla newsletter del Corriere della Sera «Il Punto».