RICERCATO DALL’11 DICEMBRE 2021. FOVORITI ANCHE APPOGGI E COPERTURE ALL’ESPONENTE DEL CLAN RADUANO —–
È stata arrestata dai carabinieri e posta ai domiciliari su ordinanza del Tribunale della libertà di Bari, Anna Chiara Notarangelo, 22 anni di Vieste, moglie del ricercato Gianluigi Troiano del clan Raduano, accusata di favoreggiamento aggravato dalla mafiosità della latitanza del marito, in fuga dalla Giustizia dall’11 dicembre 2021 quando evase dai domiciliari a Campomarino (in Molise) dove scontava una condanna a 9 anni e 2 mesi per traffico di droga aggravato dalla mafiosità. Troiano al momento è imputato in corte d’assise di concorso nell’omicidio di Omar Trotta, ucciso nel suo ristorante di Vieste il 27 luglio 2017 nell’ambito della guerra tra il gruppo Raduano e i rivali Perna/Iannoli.
Il 15 dicembre scorso la Dda chiese al Gip di Bari l’arresto di tre persone: il viestano Antonello Scirpoli attualmente sotto processo a Foggia; il foggiano Luciano Calabrese condannato 48 ore fa a tre anni Gal gup di Bari; e la Notarangelo. Il Gip dispose l’arresto e il carcere per i due uomini e rigettò la richiesta d’arresto della donna perché per il favoreggiamento non sono punibili i familiari stretti di chi beneficia di aiuto.
Ai tre giovani la Dda contesta di aver aiutato il latitante fornendogli «appoggi logistici e coperture, veicoli per gli spostamenti, ospitalità, schede telefoniche, denaro». «Con l’aggravante di aver agito per favorire il clan Raduano, consentendo al gruppo di fare affidamento su Troiano». Dda e carabinieri ipotizzano infatti che Troiano evase dai domiciliari perchè il clan Raduano in seguito al blitz “Omnia nostra” (30 arresti il 7 dicembre 2021) aveva bisogno di chi gestisse gli affari illeciti. La Dda non condivise il “no” del Gip all’arresto della Notarangelo, presentò appello al Tribunale della libertà di Bari che a fine marzo ha disposto i domiciliari per la viestana, decisione confermata quattro giorni fa dalla Cassazione che ha rigettato il ricorso degli avvocati Salvatore Vescera e Dario Vannetiello e reso esecutivo il provvedimento di cattura.
La donna si dice innocente; parlando davanti al Tribunale della libertà disse: «Non sapevo nulla della latitanza, se lui mi chiamava per sentire i bambini non posso negarglieli». Invece sulla scorta delle intercettazioni che dimostrerebbero i contatti tra la Notarangelo e Troiano, l’accusa sostiene che la donna insieme a Scirpoli e Calabrese (il latitante si nascose per un periodo anche a Foggia) «si è adoperata per garantire la latitanza del marito, ostacolando le indagini: si è premurata di sollecitare il coniuge a essere prudente per evitare d’essere catturato; si è attivata per caricare il telefonino da usare per parlare con il latitante; ha ricevuto dal coniuge l’incarico di adottare tecniche di depistaggio per evitare l’individuazione dell’evaso da parte delle forze dell’ordine; si propose di far controllare l’auto per farla bonificare da eventuali micropsie o gps; ha ricevuto indicazioni da Troiano per incontrarlo e rifornirlo di vestiti e probabilmente soldi».
Un familiare non può essere condannato per favoreggiamento quando «commette il delitto – la versione dei difensori -perché costretto dalla necessità di salvare sé o i prossimi congiunti da un nocumento grave che attenti alla libertà o all’onore».
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