La mobilitazione, il discorso di Mussolini il duce, la guerra
Nel tardo pomeriggio del 2 ottobre 1935, in tutte le città e paesi d’Italia, urlano le sirene, suonano a distesa le campane. Le piazze sono gremite di folla convocata durante la mattinata per ascoltare il discorso del “Duce”. A Vieste la gente, avvertita dal banditore, che aveva girato per le strade, si aduna in Piazza Vittorio Emanuele che i viestani continuano a chiamare “piazza del Fosso”, in dialetto ‘Mmizz u fuss.
Alle ore 19 Mussolini appare sul balcone di palazzo Venezia. Una lunga ovazione lo accoglie. Sale al cielo il grido du-ce, du-ce, ritmato dalla marea di gente che dilaga da piazza Venezia.
Il cinegiornale documenta la scena che, nei giorni successivi, viene proiettata nelle sale cinematografiche.
Mussolini scorre lo sguardo sulla moltitudine. Dagli altoparlanti esce la sua voce: “Camicie Nere, italiani…, un’ora solenne sta per scoccare nella storia della Patria”. La suspense è elevatissima. Riprende a parlare, esalta l’identità fra Italia e fascismo, poi rimprovera gli Stati ex alleati della grande guerra di voler “soffocare il nostro Paese stringendolo in un cerchio di egoismi”, quindi viene al punto focale del discorso: l’annuncio della guerra contro l’Etiopia. E tuona: “Con l’Etiopia abbiamo pazientato quarant’anni! Ora basta!”. Nelle piazze l’entusiasmo è alle stelle.
Il discorso, sottolineato ad ogni pausa da scroscianti applausi, intercalati a gran voce da parole di consenso, si conclude in un panegirico del popolo italiano, eccitato nell’orgoglio nazionale. Egli declama: “Mai come in questo momento il popolo italiano ha rivelato le qualità del suo spirito e la potenza del suo carattere. Ed è contro questo popolo, un popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi,di navigatori, di trasmigratori, è contro questo popolo che si osa parlare di sanzioni. Italia proletaria e fascista, in piedi”.
Questo peana al popolo di poeti, di artisti, ecc., resterà emblematico del sogno italiano di Mussolini e della sua eloquenza. Verrà scritto poi a grandi lettere sul palazzo chiamato della “cultura” all’EUR di Roma.
Il 3 ottobre cominciano le operazioni di guerra contro l’Etiopia. Comanda le nostre truppe un anziano generale, Emilio De Bono. Forse un premio al merito fascista, essendo stato egli, nel 1922, uno dei quattro comandanti le colonne che avevano fatto la “marcia su Roma”, e/o per sottolineare il carattere fascista della guerra. Ma presto viene sostituito perché l’avanzata procede troppo a rilento. Gli succede nel comando il generale Pietro Badoglio, che di anni ne ha pure 65.
Cronache scolastiche del giorno dopo il discorso del duce
Una brava maestra, signora vicino alla mezza età, il giorno dopo il discorso di Mussolini annota sul registro: “Al primo tocco delle campane a stormo, in perfetta divisa, mi sono recata all’edificio scolastico per l’adunata generale delle Forze del Regime. Perfettamente inquadrate, unitamente alle organizzazioni giovanili ci siamo recati alla sede del Fascio. Piazza Vittorio Emanuele era gremita di un numero straordinario di intervenuti, senza distinzione di età e di condizioni, per ascoltare la parola del Duce. Il discorso del nostro Capo del Governo, che esprime la ferma, incrollabile volontà di tutti gli italiani, anche di quelli che lavorano fuori dei confini della Patria, è stato ascoltato con profondo raccoglimento e con indicibile emozione.
In un altro registro, un collega fornisce altri particolari dell’avvenimento: “Non si esagera – egli scrive – se si afferma che metà della popolazione del paese si è riversata vicino alla casa del fascio per ascoltare la parola del Duce. Le prime parole, secche e precise, sono state accolte con deliranti applausi”.
Un terzo maestro si porta “a monte”, come oggi si usa dire, cioè alforigine delle motivazioni storico-politiche che hanno portato l’Italia alla guerra contro l’Etiopia, appena cominciata. E annota: “Ho letto alla scolaresca le dichiarazioni del Duce sull’Etiopia e ho illustrato le ragioni di espansione, di libertà e di giustizia che hanno mosso il duce a dichiarare la guerra al Negus”.
La signorina supplente, che presta servizio nella scuola rurale di Sagro ed ha 28 alunni di tutte e cinque le classi a cui spezzare il pane del sapere, così esordisce: “Inizio oggi un altro anno scolastico. Che il nuovo anno mi trovi sempre al mio posto nell’adempimento del mio dovere che intendo compiere scrupolosamente, senza rilassatezze e ritardi negligenti, sotto lo sguardo di Dio e sull’esempio del Duce”.
La raccolta dei rottami di ferro
La scarsità di materie prime di cui soffre l’Italia, resa più avvertita dalle esigenze della guerra in corso, richiama in onore e rimette in moto la storica risorsa patriottica delle raccolte fra i cittadini. La più nota delle quali è quella dell’oro. Ora, però, si chiede il ferro, da fondere per fare cannoni.
Ai punti di raccolta arriva di tutto: dagli utensili di casa in disuso ai rottami di ogni genere reperiti nei magazzini e trovati abbandonati sulle spiagge e nelle campagne; dal vecchio cannone austro-ungarico a suo tempo sistemato nel “parco delle rimembranze” al cancello ormai logoro della villa comunale.
La scuola fa la sua parte. Se ne trova notizia in ogni registro. Da uno per tutti: “Il Presidente provinciale dell’Opera Nazionale Balilla raccomanda la raccolta dei rottami di ferro. A tutti i Balilla e Piccole Italiane ha inviato delle cartoline che noi abbiamo distribuito, esortando i nostri piccoli a frugare ovunque. La raccolta fatta dagli alunni della mia classe, sia dei rottami di ferro che di ottone, ha dimostrato chiaramente come sia sentita la necessità di reagire con tutti i mezzi all’iniquo tentativo di affamare la nostra bella Italia”.
Finito il fervorino patriottico, questa brava maestra, che è anche una cattolica osservante, volge la mente a più pii pensieri e li richiama all’attenzione dei suoi scolari, come qui ricorda: “Dato che oggi, 4 ottobre, ricorre la festa di S. Francesco, non ho trascurato di fare la biografia del Santo, chiamato da tutti il fiore della gioventù”.
Registra un altro insegnante: “I miei alunni hanno risposto degnamente e con entusiasmo all’appello della Patria. Stamattina sono venuti a scuola carichi di rottami di metallo. E’ stata una vera gara, gara che certamente continuerà”.
Conclusa la raccolta, apprenderemo da un’altra cronaca che gli alunni delle scuole elementari di Vieste (850 distribuiti in 22 classi) hanno rastrellato complessivamente 41 quintali di ferro. Risorse di un popolo di formiche.
La visita del Podestà – I tre Podestà di Vieste
21 ottobre – Breve mix scolastico-pratico-politico della maestra della scuola rurale: “Alle ore 7, stamattina, è venuto a visitare la scuola il Podestà. Ha voluto constatare de visu le varie necessità della scuola per provvedere in merito. Speriamo che sia fascisticamente fattivo”.
Vai a capire se questo “fascisticamente fattivo” (un’espressione che va di moda negli anni del “regime”) risponde a una convinzione della maestra oppure è un’incensata propiziatoria.
Il podestà – lo dico per chi non l’avesse presente – negli anni andati dal 1927 al 1943, era il capo dell’amministrazione comunale, subentrato alla figura del sindaco, che era stata soppressa insieme con i consigli comunali e le giunte, dei quali aveva assunto tutte le competenze. La differenza fondamentale stava nel fatto che mentre gli organi soppressi erano elettivi, il podestà era un’espressione del governo; nella pratica veniva nominato dal prefetto della provincia.
Come avvenne a Vieste il passaggio dalla carica di sindaco a quella di podestà me lo raccontò anni fa Andrea Medina, che all’epoca del cambiamento, il 1927, era il sindaco in carica, eletto nelle ultime elezioni amministrative.
Molto semplicemente.
Egli venne convocato a Foggia dal prefetto, che in un breve colloquio, dopo avergli ricordato che consigli e giunte comunali erano stati soppressi, nonché di aver ricevuto giudizi favorevoli sul suo nome, gli chiese se era disposto ad accettare la nomina a podestà. Egli accettò. Rimase in carica sino al 1938. Poi, vuoi perché fu il primo podestà di Vieste o perché lo fu per un periodo abbastanza lungo, 11 anni e mesi, egli conservò presso i contemporanei l’appellativo di “il podestà” anche quando, uscito dalla carica, era tornato ad essere soltanto un tranquillo cittadino possidente. Lasciò di sé il ricordo di un garbato signore, amministratore scrupoloso, sensibile alle necessità della gente comune e agli interessi della città.
Gli succedette l’avvocato Giovanni Spadea,
ricordato come uomo di polso, che tenne la carica per due anni, durante i quali cercò di regolamentare i comportamenti cittadini avvicinandoli ai buoni modelli di altri centri urbani. Con speciale riferimento all’igiene pubblica e al decoro della città. Nel privato seppe muoversi anche come imprenditore. Fu l’animatore e poi presidente della società che realizzò lo stabilimento per l’estrazione dell’olio dalla sansa, il cosiddetto “solfuro”, in località Pantanello.
Il terzo podestà fu Carlo Mafrolla, già sindaco nei primi Anni Venti possidente, che dovette vedersela con i giorni difficili della seconda guerra mondiale. I più difficili dei quali furono quelli dell’armistizio. Quando il 16 e 17 settembre 1943 i tedeschi in ritirata vennero a Vieste per catturare i militari italiani sbandati, giunti via mare dalla Dalmazia, egli seppe essere all’altezza della situazione nel momento di grave pericolo che incombeva sulla città. Il fatto. Nel pomeriggio del giorno 16, “Sopra la Rena” – inizio di via XXIV maggio, c’era stata una sparatoria tra soldati tedeschi, giunti con una camionetta, e alcuni italiani. Nello scontro avevano perso la vita un soldato tedesco (qualche altro era rimasto ferito) e un nostro carabiniere. Si temeva la reazione dei tedeschi. Che, infatti, la mattina del 17 tornarono a Vieste in forze, forse un centinaio di uomini con autoblinda e cannone. Il podestà Mafrolla, consapevole del pericolo, scese in piazza e andò ad incontrare il colonnello comandante l’autocolonna al fine di evitare il peggio. E trovò le parole giuste, poiché i tedeschi non fecero rappresaglie e nel pomeriggio lasciarono Vieste.
Di lui si può dire di certo che è stato una figura esemplare di cittadino, con un forte sentire nei doveri e nelle responsabilità. Essendo caduto il fascismo nel luglio del ’43, e poi uscita l’Italia dalla guerra a seguito della disfatta militare sancita dall’armistizio dell’8 settembre, nel mese successivo finiva l’epoca dei podestà e delle istituzioni fasciste. Dopo un breve periodo di gestione dei Comuni mediante commissari prefettizi, si ritornava alle elezioni amministrative (primavera 1946) per eleggere consigli comunali, giunte e sindaci
ludovico ragno 2006
3 – CONTINUA