Nel 1914 Giuseppe Nardini scrive una monografia sull’agricoltura del Gargano[1], precisando di non essere stato in grado di raccogliere dati attendibili e in quanto non esistevano statistiche recenti riguardanti l’economia agricola del Gargano:
«Quivi siamo ancora nelle condizioni descritte dal Maestri e dal Correnti[2], di un paese in cui la verità paga dazio e gabella e in cui il silenzio è diritto di difesa e pubblica congiura»[3]. Evidenteil richiamo dell’autore al climareazionario, liberticida e antisociale che il mondo dei contadini, in particolare nell’ultimo decennio del Novecento, aveva subito. Tuttavia,gli scarsi dati statistici non impediscono a Nardini di denunciare lo «stato miserando» dell’agricoltura del Gargano, di individuarne le cause nell’analfabetismo del popolo rurale, nell’esoso sistema fiscale, nella carente rete viaria, nella mancanza di capitali, ma anche nell’assenza di politiche governative a supporto delle attività agricole del Mezzogiorno[4].
Diversamente da Nardini, il dottore in scienze agrarie Raffaele Vittorio Cassitto, patrizio di Ravello, diplomatosi presso l’Istituto Superiore Agricolo Coloniale di Firenze, in una monografia sul Gargano ultimata a Vieste nel giugno del 1914, relazionaanche a livello statistico sull’evoluzione dell’olivicoltura nel Gargano, in particolare tenendo conto delle ampliateestensionicoltivate, delle incrementateproduzioni, nonché delle nuove vie commerciali aperte[5].
Cassitto rileva nel 1914 una superficie olivetata di ettari 8273, quasi tutta condotta in coltura specializzata, ad eccezione di Mattinata e Monte S. Angelodove gli olivi sono quasi sempre consociati con il mandorlo. Soprattutto a Vieste gli olivi risultano di straordinaria grandezza, «simili a quelli di Palmi in Calabria». L’autore viestano afferma che l’incremento della superficie ad oliveto è avvenuto solo da qualche decennio:
«Prima del 1850 gli oliveti nei diversi paesi erano limitatissimi. A Vieste infatti la loro estensione raggiungeva appena 530 Ha., localizzati nella contrada Mattoni e sotto il Ponte ove difatti esistono i più antichi e meravigliosi olivi del Gargano. L’immenso territorio olivetato, che oggi è triplicato, raggiunge la cifra di oltre 1300 Ha. Ed è stato compiuto dal 1859 in poi prendendo il posto della vite. Così pure a Rignano, Mattinata, Vico ove nel 1850 la estensione olivetata non oltrepassava i 200 Ha.»[6]
Cassitto passa poi ad analizzare con dati statistici l’incremento della coltivazione olivicola del Gargano dal 1870 al 1912: 5900 ettari nel 1870; 6700 ettari nel 1880; 7560 ettari nel 1890; 7900 ettari nel 1900; 8250 ettari nel 1912. Il potenziamento dell’olivicoltura, iniziato sotto la dinastia borbonica, risulta quindi consolidatonel nuovo Regno d’Italia, grazie all’azione della Società Economica Dauna che assegnava «venti ducati a chi piantava e assicurava per 3 anni 300 ulivi; 40 ducati a chi ne piantava e assicurava 500. E più tardi la stessa Società distribuiva gratuitamente oltre 4000 piante di ulivi»[7].
Il maggior incremento dell’olivicoltura si ha quando la vite viene colpita da devastanti malattie, circostanza confermata anche da Nardini[8]. Un’occasione in parte sprecata, poichénei nuovi impianti, spesso irregolari, vengono messi a dimora anche semplici polloni, non le ottimali barbatelle dell’olivastro da innestare con la varietà Ogliarola, fortemente richieste nel resto della Puglia e di cui Vieste detiene il monopolio[9]. Nardini, invece, rileva che in coltura specializzata gli alberi sono disposti in filari a una distanza di otto, nove,anche dodici metri e,dalla disordinata disposizione delle piante in tanti oliveti, deduce che siano stati direttamente innestati dagli olivastri della macchia mediterranea[10].
Cassitto, ricordando l’antico detto, «anno di piena, anno di ricchezza, anno di vuoto, anno di miseria», deplora la trascuratezza nella cura degli olivi (potatura ridotta al minimo, concimazione scarsa o inesistente), alberi portatori di ricchezza e di lavoro per tutta la popolazione[11], considerato che la sola attività dei circa 180 trappeti garganici con ben 500 torchi, stimati dall’autore, assicurava lavoro negli anni di carica anche per sei mesi all’anno a circa 700 lavoratori. Il maggior di numero di frantoi era presente a Vico (40), seguita da Vieste (24), Monte S. Angelo (20), San Giovanni Rotondo e Rignano (15)[12].
Cassitto non tralascia di individuare in maniera chiara le aree olivetate del Gargano del primo decennio del Novecento, consentendoci di fare un confronto con le superficie olivetate di fine Settecento richiamate da Giuliani e Manicone. Nel farlo, l’autore mette in evidenza come la superficialità nella coltivazione e alcune pratiche sbagliate si sono conservate intatte nel tempo:
«Vastissimi oliveti coprono intere e fertili pianure di natura alluvionale, come la pianura di Mattinata, gli oliveti di Viesti, quelli delle vallate di Vico e Peschici. Estesa ne è la cultura sulle colline, ove si ha l’olio migliore ma meno abbondante. Vasti oliveti poi coprono terreni del tutto rocciosi o soggetti a vincoli pascolativi, come a S. Nicandro ed a Cagnano, ove l’unica opera dell’agricoltore è quello di raccogliere il prodotto. Vi è poi l’altro grave fatto che si ha da Vico in su ed in tutta la contrada Mattine, di potare allo scopo di ottenere frasca per darla, come mangime agli animali. In generale i lavori son fatti dappertutto superficialmente e, di rado qualcuno pratica la seconda aratura, e, se vi è qualche speciale lavoro al terreno è, perché vi si pratica la consociazione con cereali»[13].
Ai difetti già dichiarati dell’olivicoltura garganica, Cassitto aggiunge l’incapacità dei tanti piccoli produttori di associarsi in cooperative per evitare la «legge nefasta degl’incettatori»[14]. A questo proposito l’autore propone la costituzione in ogni paese garganico di un oleificio sociale.
Nel primo decennio del Novecento, Vieste aveva conservato il primato della superficie olivetata garganica con 1300 ettari, seguita da Vico con 1100, Monte S. Angelo con 1000, Rignano con 898 e Cagnano con 698[15]. La produzione media in olio andava dai 4800 ettolitri di Vieste agli appena 260 di Rodi, mentre Vico (2900 ettolitri) e Monte S. Angelo (2500 ettolitri) erano i soli paesi a superare 2000 ettolitri. Riguardo alla resa in olio per albero e per ettaro, Cassitto scrive:
«[…] le rese in olio per albero varia di molto da paese a paese e ciò o perché gli alberi sono di piccolo sviluppo o perché abbandonati a sé stessi come a S. Nicandro, ove si ha la più bassa produzione, sia anche per tutte le altre cause già enunciate. Mentre abbiamo Viesti, Vico con massima di resa, da 4 a 7 litri ad albero, e ciò appunto perché a Viesti gli alberi sono colossali tanto che, vi sono quelli da cui si ricavano fino a 40 litri. Anche la media ad Ha. varia e ciò dipende dalla foltezza dell’uliveto oltre alla grandezza dell’albero. La media resa ad albero in tutto il Gargano è di 3,51 con un massimo a Viesti ed un minimo a S. Nicandro e, ad ettara è di 2,8[16]»[17].
A eccezione di Rodi e di San Nicandro Garganico,tutti i paesi garganici esportavano l’olio che producevano olio oltre il proprio fabbisogno. L’olio di Monte S. Angelo, Mattinata e San Giovanni Rotondo passava per lo scalo marittimo e ferroviario di Manfredonia per essere spedito generalmente sui mercati di Bari e Brindisi; l’olio di Rignano era richiesto in particolare dalle piazze locali di San Severo e Foggia, mentre l’olio di Ischitella, Vico e Peschici affluiva allo scalo marittimo di Rodi Garganico per essere esportato via mare a Bari, Barletta, Ancona e Trieste. Vieste deteneva l’egemonia dell’olio esportato con circa 4000 ettolitri che prendevano la via di Bari, Ancona, Genova, Brindisi, Ravenna e, in alcune annate del primo decennio del Novecento, anche la direzione perVenezia, Monopoli, Livorno, Oneglia, Porto Maurizio, oltre quella estera via Trieste[18].
Ritornando alla qualità degli oli garganici, Cassitto menziona quelli di Vico, Mattinata, Peschici, Rodi e Ischitella, decantando con una menzioneparticolare quelli prodotti nel territorio di Vieste:
«Bisogna del resto riconoscere la bontà dell’olio di Viesti che ha un bel colore d’ambra, chiaro, di sapore dolce, grato al palato e, non v’è olio che lo sorpassi. Il Dottor Giuliani e Dalla Martora dicono che l’olio di Viesti è stato sempre rinomato anche nell’antichità e che l’olio tanto decantato di Massafra non è superiore all’olio di Viesti»[19].
In conclusione, Cassitto assicurava che una maggior cura degli oliveti, abbinata a metodi moderni di estrazione e di conservazione dell’olio, era assolutamente necessaria per ottenere oli di qualità destinati esclusivamente all’alimentazione, anche perché «gli oli scadenti e puzzolenti» non potevano più essere impiegati come nel passato «sia, come illuminazione sia, come lubrificanti sia, per le saponerie, essendo oggi a questi sostituiti gas, elettricità, oli minerali, ed altri surrogati»[20].
[1]G. Nardini, L’agricoltura e gli agricoltori del Gargano, Napoli, Tip. Luigi Del Giudice, 1914.
[2]Cesare Correnti e Pietro Maestri sono gli autori dei primi due volumi dell’Annuario statistico italiano, il primo del 1858, il secondo pubblicato a Torino nel 1864.
[3]G. Nardini, L’agricoltura e gli agricoltori del Gargano, cit., p. 11.
[4]Ivi, p. 12.
[5] R. V. Cassitto, Estensione e produzione Olearia Garganica e suoi rapporti col commercio, Napoli, Tip. Giaccio e Frezza, 1914.
[6]Ivi, p. 4.
[7]Ivi, p. 5.
[8]G. Nardini, L’agricoltura e gli agricoltori del Gargano, cit., p. 63.
[9]R. V. Cassitto, Estensione e produzione Olearia Garganica e suoi rapporti col commercio, cit., p. 5.
[10]G. Nardini, L’agricoltura e gli agricoltori del Gargano, cit., p. 63.
[11]R. V. Cassitto, Estensione e produzione Olearia Garganica e suoi rapporti col commercio, cit., p. 5.
[13]Ivi, pp. 6-7.
[14]Ivi, p. 7.
[15]Ivi, p. 8.
[16]Ettolitri
[17]R. V. Cassitto, Estensione e produzione Olearia Garganica e suoi rapporti col commercio, cit., p. 12.
[18]Cfr.Ivi, pp. 16-20.
[19]Ivi, p. 22.
[20]Ivi, p. 23.
michele eugenio di carlo