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VIESTE ANNI TRENTA – CRONACHE DI SCUOLA E DI VITA TRA LA PACE E LA GUERRA D’AFRICA (8)

L’autarchia

Per ridurre l’acquisto di grano all’estero il regime fa propaganda a favore del consumo del riso, del quale in Italia c’è una notevole produzione.

Nella scuola arriva la consueta circolare. Una maestra scrive. “In se­guito alla circolare del R. Direttore didattico per la propaganda del riso ho parlato lungamente di questa pianta.”

E’ una delle iniziative messe in atto dal governo per fronteggiare la scarsità dei prodotti abitualmente importati, non più facilmente reperibili a causa delle sanzioni applicate all’Italia; una politica che va sotto il nome di autarchia,

che in breve verrà estesa a tutta l’economia nazionale. Oltre che per il riso, in questo periodo si fa molta propaganda per incrementare il consumo dell’uva. E’ stata istituita persino la festa annuale dell’uva. Non mancano le attenzioni per l’ulivo e dunque per l’olio. Più fugace è l’interesse verso l’orticoltura e la frutticoltura.

Ma su tutte le colture prevale il favore per quelle granarie. Di esse, tipiche delle aree pianeggianti, si incoraggia l’estensione anche alle zone collina­ri. Il governo vuole conseguire “l’indipendenza granaria”. In questo quadro, ogni anno si celebra “la battaglia del grano”, detta anche “Vittoria del grano”, con premi e attestati di merito agli agricoltori che hanno raggiunto i migliori risultati. Da Vieste partecipa Biagio Mafrolla, proprietario attento alle novità, agricoltore di successo, come dimostrano i premi assegnatigli (Si vedano i diplomi in appendice).

In campo alimentare l’autarchia non cambia la vita della gente, che quasi non l’avverte. Gli italiani si accontentano. Si tira avanti più o meno come prima. In altri settori, invece, l’autarchia si fa sentire. Per importare meno carbone e petrolio si cercano combustibili alternativi, reperibili in casa. Da poco è stato scoperto il metano, ma può supplire solo in minima parte alla scarsità di nafta e benzina. Necessitano altri combustibili. E qualcosa si trova. Sulle strade della penisola compaiono autoveicoli a combustione di legna, carbone di legna, coke, antracite, lignite. Sono dotati di un apparecchio detto gassogeno. Procedono sbuffanti e sfavillanti che sembrano le prime locomotive come venivano raffigurate nelle stampe d’epoca.

A Vieste ne circola uno, un camion che brucia legna, adibito al trasporto dei tronchi d’albero esboscati dalla foresta Umbra, che fa la spola con la segheria statale sita a Mandrione, nove chilometri dal nostro centro abitato. Lo guida e ne cura la manutenzione uno dei più provetti meccanici di Vieste, Sante Raduano.

I negozi tengono bene in vista le locandine con la scritta in tricolore “Acquistate prodotti italiani”. Nelle vetrine di quelli di abbigliamento, su alcuni capi è in evidenza un cartellino che dice: “lana di vetro”. Un impensato surrogato della lana di pecora, mai sentito nominare prima, né mai più lo sentiremo negli anni che verranno.

Alle sanzioni l’Italia risponde sia con le misure economiche (autarchia) che, come è naturale, con la propaganda. All’Inghilterra, promotrice delle sanzioni, gliene vengono cantate di tutti i colori e con tutti i mezzi: coi discorsi, con gli scritti e persino in musica, pur senza nominarla, con un’al­legra canzonetta, “Sanzionami questo”. Cosa? Non c’è da fraintendere. E’ il patrimonio degli italici valori, che la canzone, con un richiamo al proprio tempo e un altro al passato, presenta così: “L’ora di eroismo e di virtù che il nostro Paese vive; l’Italia degli artisti e dei poeti, luce della vita e del pensiero, specchio della civiltà; l’Italia che vittoria avrà. Sanzionami questo, se tu sei capace”, ripete il ritornello tra una citazione e l’altra. Tutta retorica, si dirà, ed è vero, ma nel suo tempo è prosa corrente.

La raccolta dell’oro – Il dono della fede nuziale

Dopo quella dei rottami di ferro, quella della lana e quella della carta da macero, viene lanciata la campagna per la raccolta dell’oro, il “metallo maledetto”, come taluni lo chiamano, ma pur sempre necessario per acquistare le materie prime sui mercati stranieri che, nonostante le sanzioni, trafficano con l’Italia. La scuola, come sempre, è in prima linea. Ecco due note. Manie­rata e propiziatrice la prima: “Continuano le offerte di oggetti d’oro. Con che grazia le piccole offerenti li donano! Esse dicono: Signorina, per la Patria, per il Duce e per il Re. Si, o piccole, il Duce vi vede e sarà contento di voi”. Concisa la seconda: “Ho consegnato al Presidente dell’Opera Nazionale Balilla l’oro e l’argento donato alla Patria dalle mie alunne: oro grammi 33,50, argento grammi 760”.

La raccolta dell’oro ha il suo momento culminante nella Giornata della fede, il 18 dicembre, giorno in cui gli italiani si sfilano l’anello nuziale e lo donano alla Patria. In cambio ne ricevono uno d’acciaio.

Comincia la regina, e data la pubblicità che ne viene fatta gli insegnanti non possono fare a meno di parlarne alle scolaresche, come fa appunto questa maestra che scrive: “Oggi ho letto in classe la lettera della Regina al Duce. Mi sono soffermata a spiegare le parole della Regina: “Il mio anello rappre­senta quanto ho di più caro, perché mi ricorda il giorno in cui ebbi la fortuna di diventare italiana”.

Altre cronache della giornata: “Un lunghissimo corteo è sfilato per le vie principali, poi si è raccolto intorno alla lapide dei Caduti vicino alla quale vi era un tavolo ammantato del tricolore su cui troneggiava un elmetto di guerra. La cerimonia è iniziata con la benedizione delle fedi d’acciaio. Ogni sposa ha offerto la sua fede. Anch’io e tutte le maestre abbiamo offerto la nostra fede alla Patria, tra la commozione generale della popolazione”. E ancora: “Con la fede ho donato alla Patria parte del mio cuore”. E’ una dichiarazione di amor patrio portata sull’onda di una evidente sincerità, che, peraltro, affiora in ogni cronaca di questo registro.

Un’altra maestra vede nella giornata della fede “l’Italia su una vetta di luce, intorno la bassezza degli assedianti”. La stessa maestra, qualche giorno dopo appunta una notizia, diciamo, più terra terra, ma emblematica della situazione del momento. “Ho parlato alle bambine dei provvedimenti antisanzionisti, fra i quali vi è la necessità di incrementare la produzione di galline, colombi, conigli”.

La giornata della madre e del fanciullo    

“23 dicembre. E’ l’ultimo giorno di scuola dell’anno 1935. Ho illustra­to alle mie alunne la festa che ricorre domani, 24 dicembre, cioè la Giornata della madre e del fanciullo. Il Governo Fascista celebra in tutti i comuni d’Italia la sua festa più dolce, più intima; quella che fa sorridere i bimbi e rende serene le madri, che non tremano più per il loro avvenire, perché sanno che il Fascio Littorio non abbandona nessuno dei suoi fanciulli, ma si china su tutti assistendoli. La donna viene difesa nella sua essenza sacra: la maternità, ed in tal modo sono difesi anche il bimbo e l’avvenire della nostra razza”.

Alla intenerita e felice autrice di questa nota sono presenti l’Opera Nazionale Maternità e Infanzia, istituita dal regime, che “manifesta la sua attività in varie e gentili maniere, quali la distribuzione di corredini, di premi di natalità e altri doni”; e poi le colonie estive, la refezione scolastica, il cucchiaio di olio di fegato di merluzzo che gli alunni prendono ogni mattina a scuola, la distribuzione di indumenti a favore degli scolari meno abbienti, che va sotto il nome di befana fascista. In breve,la summa delle iniziative di carattere sociale attuate dal governo a favore dei bambini.

Qualche giorno dopo viene illustrata ai ragazzi delle scuole l’importanza della “Giornata del risparmio”. Dice una maestra: “Ho fatto comprendere a tutti i miei alunni la grande utilità del risparmio, dal salvadanaio alla Mutualità scolastica, alle casse di risparmio”.

ludovico ragno 2006

8 – CONTINUA