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RODI – SABATO 12 AGOSTO LA PRESENTAZIONE DEL LIBRO “IL DELITTO MATTEOTTI E I GARGANICI” DI MAURO DEL GIUDICE E FRANCESCO MARATEA

STORIA D’ITALIA NELL’OPERA E NELLE MEMORIE DEL GIUDICE DI RODI E DEL GIORNALISTA DI VICO

Mauro Del Giudice e Francesco Maratea, due eminenti personalità che ebbero ì natali sul Gargano che hanno attraversato il Novecento condividendo stagioni complesse, accadimenti e trasformazioni prima dell’Italia fascista e in seguito della faticosa costruzione dell’architettura unitaria, lasciando profonde e significative tracce del loro passaggio. Il primo, nato a Rodi Garganico, giudice istruttore del Processo Matteotti, trova oggi nel volume curato da Teresa Maria Rauzino una opportuna rivalutazione del suo operato negli scritti inediti recuperati e ordinati in una cornice storica minuziosamente ricomposta.

Vico del Gargano diede invece i natali a Francesco Maratea che fu per circa quarantanni la firma più autorevole del “Messaggero”. Testimoniò contro Mussolini nei “Processo Matteotti” dinanzi alla Sezione d’Accusa presieduta da Mauro del Giudice (1924), dinanzi all’Alta Corte di Giustizia presso il Senato (1925), testimonianze riportate anche nella sentenza della Corte d’Assise di Roma (1977).

Il 12 agosto, a Largo Cairoli, Rodi Garganico ospita la conferenza dal titolo “Il delitto Matteotti e i garganici Mauro del Giudice e Francesco Maratea”, a cui Interverranno, intervistati da Piero Paciello, Vincenzo Russo, già Capo della Procura di Foggia, Teresa Maria Rauzino e Giuseppe Maratea, curatore del libro “Una vita per il giornalismo – Francesco Maratea tra Aventino, Liberazione e tempi nuovi”.

Antonio Motta ha intervistato Giuseppe Maratea, nipote di Francesco e depositario scrupoloso e appassionato della sua biografia umana e intellettuale. Come lo stesso Motta annota il volume che sarà presentato a Rodi “è un libro importante, perché raccoglie per la prima volta gli scritti di questo giornalista sconosciuto al grande pubblico garganico e pugliese fino a qualche anno fa”. L’intervista qui pubblicata, aggiunge dettagli inediti della vita del giornalista venuto a contatto con grandi letterati e artisti, appassionato d’arte e di musica.

L’INTERVISTA

 UN FORMICONE “GARGANICO”: FRANCESCO MARATEA, PARABOLA DI UN INTELLETTUALE CHE DALLA PROVINCIA APPRODÒ A ROMA

Francesco Maratea è stato un importante giornalista di pensiero liberale, ma soprattutto un intellettuale che dalla provincia arrivò a Roma in uno dei momenti più difficili e tormentati. Studiò al Ruggero Bon­ghi di Lucera, dove studiavano i rampolli delle famiglie borghesi della Capitanata, ma anche i figli dei piccoli commercianti e dei benestanti agricoltori. Lucera era al­lora una cittadina vivace, si stampava “Il Foglietto, diret­to da Gaetano Pitta. Alla scuola del “Foglietto”imparò i ferri del mestiere. La sua fede politica fu messa a dura prova dal delitto Matteotti e dalla resistenza “aventiniana”. Il 1926 quando gli “aventiniani” furono disciolti dal regime passò al “Messaggero”, divenendo di questo giornale la memoria storica. Non rinunciò mai a fare be­ne il suo mestiere, e per questo si scontrò col fascismo. Si può dire che fu controllato e tollerato dal regime. Per tutti gli anni Trenta il minculpop sapeva bene chi era Ma­ratea e che in via del Tritone, al “Messaggero”, sedeva un antifascista. Nel 1943 con la caduta dì Mussolini, il suo nome, insieme al fior fiore degli scrittori da Alba De Cespedes (che dirigeva Radio-Bari) a Sibilla Aleramo, da Mario Soldati a Corrado Alvaro, da Antonio Bal­dini a Indro Montanelli, da Virgilio Lilli a Guido Piovene , figurava negli elenchi speciali dei giornalisti ra­diati dagli albi nazionali “per indegnità ” a causa dei loro comportamento durante il periodo 25 luglio – 8 settem­bre 1943.

Il dossier Francesco Maratea tra Aventìno, liberazione e “tempi nuovi” (Vico del Gargano edizioni, 2022) curato da Giuseppe Maratea, è un libro importante, perché raccoglie per la prima volta gli scritti di questo giornalista sconosciuto al grande pubblico garganico e pugliese fi­no a qualche anno fa. C’è un libro pubblicato nei 1966 (proprio l’anno in cui Maratea riceveva dalle mani del Presidente della Repubblica il premio Saint Vincent) in­titolato “I grandi garganici” di Michele Capuano che lo ignora. Questo per dire che la sua conoscenza è piutto­sto recente. E si deve a Giuseppe Maratea la riscoperta di questo “formicone ” garganico. A lui ho chiesto di rac­contarmi da vicino alcuni aspetti della biografia umana e intellettuale dello zio.

Come è nata questa tua passione per FrancescoMaratea giornalista, che ti ha portato a documentare tutti i suoi scritti apparsi sul “Messaggero” e su altre testate e periodici?

Francesco Maratea, nato a Vico del Gargano, era fratel­lo di mio padre. Fin dalla fanciullezza avevo appreso va­gamente dai miei genitori che questo mio zio era giorna­lista, viveva a Roma ed era una persona molto colta e importante. Cominciai, all’incirca, nel 1951 a leggere “il Messaggero”, a cui la mia famiglia era abbonata. Avevo quindici anni, e del giornale mi appassionavano la cro­naca nera e una rubrica, “Le avventure in città”, affidata alla penna prima dì Guglielmo Ceroni, e poi di Giancarlo Del Re, due “raccontatori” di razza. E, poi, Trento, Trie­ste. .. con le immancabili sfilate per le strade, le figure egemoni di De Gasperi, Togliatti, Nenni, Saragat. E, il lu­nedì , le cronache calcistiche. A ogni festività mi giunge­vano da Roma i “biglietti” augurali di mio zio Francesco, naturalmente con la raccomandazione dì “studiare, stu­diare”. Francesco Maratea aveva alle spalle – me ne parlavano i miei familiari, nei rari abbandoni alle confi­denze, una grande esperienza nei quotidiani nazionali – e, dal 1926, era l’eminenza grigia”del “Messaggero”. E, così, “Il Messaggero” diventò la mia preghiera del mattino per circa un settantennio.

Maratea non è stato solo un giornalista ma anche un intellettuale colto, che frequentava una cerchia im­portante di letterati e artisti. Ricordo che lavorando con Tommaso Nardella ad una mostra sul brigan­taggio mi imbattei in un disegno di Franco Gentilini ( un pittore notevole attivo a Roma soprattutto nel dopoguerra) sui brigante Pezzente, che con la sua banda mise a ferro e a fuoco Vico e i paesi vicini. Mi vuol parlare di Maratea raffinato collezionista?

La sua villa sull’Aventino, dai vetri istoriati – la si sarebbe detta un sacrario – era disseminata di libri rari e di quadri di valore, raccolti o avuti in dono, in tanti anni dì “mestieraccio”, come diceva sorridendo (la prima edizione nu­merata dell’Enciclopedia Britannica, dipinti di Carrà, Morandì, De Pisìs, De Nìttis, De Chirico, e poi disegni e acqueforti dell’amico e collega al “Bonghi”di Lucera, Al­fredo Petrucci, storico dell’arte ed elzevirista apprezza­to, negli anni Cinquanta e Sessanta della terza pagina del” Messaggero” (molti libri e dipinti furono distrutti dal­le soldataglie dei repubblichini, quando lo cercano inva­no a casa, essendosi nascosto a Vitorchiano, nel fienile di un colono). Oltre che finissimo intenditore di arte, era appassionato di musica. Frequentava il cenacolo del “Caffè Latour”, dove incontrava Toscanini, Casavola, Mascagni, Giordano, oltre a Nicola d’Atri e Renzo Rossellini.

Dalla lettura del racconto Vecchio Gargano si capi­sce che Maratea era molto legato alla sua terra, ep­pure vi ritornava raramente. Quali ricordi hai?

Era rimasto legato al Gargano, anche se vi tornava di ra­do. “Mi rattrista – diceva – vedere i miei fratelli che escono all’alba a dorso di mulo… E io, invece, qui poltrisco”.Ave­va cercato dì ricreare a Vìtochiano la tenuta di famiglia: gli ulivi di Catenella, gli arancieti del Mulibno di Mare, le mandrie di Sfilzi, tenera e inutile finzione. Si illudeva di ritrovare, così, la pace, l’aria”, i pensieri perduti del Gar­gano. E, al ritorno dai viaggi nelle capitali europee, la pri­ma telefonata era per le sorelle.

Quali furono i rapporti di Maratea con lo scrittore Al­fredo Petrucci di San Nicandro Garganico? Trovo strano che non abbia ricordato nei suoi sritti II Gar­gano, che Petrucci pubblicò nel 1932 in occasione dell’inaugurazione della ferrovia garganica, alla quale Maratea era presente.

Maratea e Alfredo Petrucci erano stati compagni al glo­rioso liceo lucerino “Ruggero Bonghi”. Lì avevano fatto le prime entusiasmanti esperienze giornalistiche sul “Foglietto” che, allora, aveva risonanza nazionale. D’estate si ritrovavano alla marina di San Menaio e si ab­bandonavano a “favolose” pescate e a “sognanti vigilie”. E la fraterna amicizia è durata tutta la vita.

A proposito di Petrucci, di recente hai ricordato in una Lettera al direttore de “l’Attacco” che, cento an­ni fa, Petrucci e Maratea, si incontrano a Roma, il pri­mo proveniente dai polverosi depositi delle Belle Arti di Siena, il secondo da Como, dove era capo re­dattore del quotidiano “La Provincia”. Rievocano il Gargano, il “Bonghi” e l’esperienza al “Foglietto” di Lucera. Poi, come afferrati dalla nostalgia, decido­no di immortalare quell’incontro con un rondò.

L’ho trovato tra gli articoli di Petrucci che mio zio conser­vava. il testo fu scritto a quattro mani improvvisando co­me dettava il cuore. Lo trascivo ad futuram rei memoriarn: “Se facessimo un rondò/ da stampare nel Foglietto?/ Caro Alfredo aiuta un po’./ / Se facessimo – che sol una saffica, un sonetto,/ un bisticio o un rispetto/ da stampare nel Foglietto? / Da stampare a pagamento/se non spiace al Frattarolo/ (allo sbafo non consento):/die­ci lire, o venti, o cento, / sia venduto o dato a nolo,/ ma pagato sul momento, / poiché al tirchio Frattarolo / io lo sbafo non consento. //E direbbe il “professore”:/ “ Guar­da un po’ chi si rivede! / Quell’ Algion! Che scocciatore! / Ma che vuole? Ma che chiede?// “ Dieci lire o venti… ho fede / da spillare all’Editore.. .”//‘Toh! Direbbe “il professore”. / Guarda un po’ che cosa chiede. ..”il “ Se fa­cessimo un rondò/da stampare nel Fogiietto?/Caro AIfredo, aiuta un po’”.

Che cosa mi puoi dire del suo rapporto con Luigi Pirandello, collaboratore del “Messaggero”?

Luigi Pirandello, che coordinava “Il Messaggero Verde”, l’inserto letterario domenicale del giornale, lo segnalò ai Perrone, la proprietà del giornale, e, così, Maratea lasciò “Il Giornale d’Italia” “fascistizzato” e varcò il portone di via del Bufalo, portando il suo prezioso contributo della sua cultura umanistica e di esperto di politica internazio­nale.

Altro scrittore garganico che Maratea conobbe e frequentò fu Giuseppe Cassieri. Me ne vuoi parla­re?

Giuseppe Cassieri di Rodi Garganico collaborò alla ter­za pagina dei “Messaggero” per circa ventanni, dopo essere stato licenziato dalla RAI, a seguito di una sca­brosa vicenda giudiziaria dovuta al suo romanzo d’esor­dio Aria Cupa. Lo incontrai la prima volta, in via del Trito­ne, al “Messaggero”, nella stanza di mio zio, al primo pia­no. C’erano – ricordo-anche Ruggero Guarini, Andrea Barbato, Costanzo Costantini… “Il Messaggero” era ancora un giornale tradizionalista di moderata conser­vazione. Ma la presenza in redazione di alcuni giovani intellettuali – come dicevo innanzi – di sicuro talento ( e, per giunta, “liberi pensatori”) lasciava presagire che pre­sto la “rivoluzione” grafica del quotidiano e l’entusia­smante stagione dei diritti civili sarebbero esplose. “Ma­ratea’’- mi diceva Cassieri – al quale sono stato legato per circa un cinquantennio da affettuosa amicizia – è stato con la sua autorevolezza l’artefice principale di questa transizione. Poi, ahimè, con la morte di Maratea, i Per­rone vendettero il giornale, arrivarono i petrolieri, “fu la fine di un’illusione…”

C’è un episodio curioso degli ultimi annidi vita di Maratea – doveva essere il 1974, in occasione delle elezioni politiche che videro il sorpasso del PCI sul­la DC. Maratea era ricoverato con sua moglie nella clinica del doti. Spallone, medico personale di To­gliatti, fervente comunista. Questo incontro tra un liberale e un comunista è significativo. Me lo vuoi raccontare?

Ricordo perfettamente l’episodio. Mio zio era in perfetta condizione di salute. Si era fatto ricoverare nella clinica del prof. Spallone, per tenere compagnia alla moglie, che aveva subito una brutta frattura, a causa dì una ca­duta. La clinica era nota per la qualità e l’efficienza dei servizi e peri i valore del personale sanitario. Ma era an­che famosa perché il prof. Spallone aveva salvato, con un intervento chirurgico decisivo, la vita a Togliatti, dopo l’attentato, che aveva fatto temere per un momento per le sortì del nostro Paese. Torniamo alla domanda. Ero in quei giorni a Roma per il disbrigo di alcune pratiche alla Cassa per il Mezzoggiorno, legate alla mia attività di am­ministratore del mio Comune. Feci visita a mio zio in clinica, e lo trovai in gran forma, anche la moglie era di buon umore. La stanza era ampia, luminosa, l’arredamento di elegante sobrietà, sul comodino il telefono sempre collegato con “Il Messaggero” e qualche libro, La Re­pubblica di Platone,il Canzoniere dì Petrarca, Il viaggio in Italia di Goethe. A ogni elezione – inutile ricordarlo – nella clinica, mai un voto andava a un partito diverso dal PCI. Gli chiesi: “Che tipo è il prof. Spallone?” Pensò un poco, e rispose: “Un clinico di grande valore, una perso­na colta e civile, ci colma di mille premure, un vero signo­re. .. E, abbassando la voce, quasi sillabando aggiunse, sorridendo, “più comunista di Togliatti’”’ E riprese, sem­pre a bassa voce: “ Caro Commendatore”, mi ha detto ieri il professore, “domenica prossima ci sono le elezioni politiche, e i degenti possono votare in clinica. Ho pen­sato dì evitare a lei e alla sua signora il trambusto della giornata elettorale e il fastidio di riempire i moduli… ac­compagnandovi personalmente al vostro seggio all’Aventino con una nostra ambulanza attrezzata di tutto punto. Solo qualche ora e, al ritorno, la clinica ritornerà alla tranquillità di sempre”. La risposta di mio zio fu gen­tile ma ferma: “Caro Professore, la ringrazio tanto delle sue premure, ma la curiosità giornalistica mi offre l’ìrrepetibile occasione dì verificare de visu se il consenso al Partito comunista è ancora incredibilmente “totale”. Noi voteremo nella sua splendida clinica..Le votazioni si tennero e dopo qualche giorno, lessi nel “Messaggero” un gustoso corsivo. “Tramonta nella clinica del prof. Spallone il mito del PCI, il PCI non ha fatto il pieno: due voti sono andati al PSU e al PRI”. Immaginai il sorriso compiaciuto di mio zio (e, forse, anche quello del prof Spallone).

antonio motta

l’attacco