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SUPERBONUS/ «MISTER MILIARDO MAURIZIO MATTEO DE MARTINO » SI DIFENDE: «IO A DUBAI? SEMPRE RIMASTO A SAN SEVERO». INDAGINI PARTITE DAI COMUNI DI VIESTE E SAN SEVERO PER LAVORI DI RISTRUTTURAZIONE PER 1.300 IMMOBILI E 17 TERRENI.

È l’inchiesta più clamorosa emersa finora dalle indagini avviate in tutta Italia sui bonus edilizi: un miliardo di euro a una sola famiglia. Ma «Mister Miliardo» — così definito da un articolo di Repubblica dei giorni scorsi che riprendeva il caso scoppiato a febbraio 2022 agganciandosi all’attualità di una sua presunta fuga a Dubai — ovvero Maurizio Matteo De Martino, si difende attraverso una lettera indirizzata al quotidiano l’Attacco di Foggia.

«Non mi sono rifugiato a Dubai, risiedo e lavoro in Italia». Per la precisione a San Severo, dove è nato, vive e ha anche sponsorizzato una rotatoria all’ingresso della città. E dove accoglie la cronista del quotidiano inviata a fare un’intervista, dopo la lettera ricevuta in redazione, con un ironico «Benvenuti a Dubai».

Maurizio Matteo De Martino è da tempo oggetto di un’inchiesta della Guardia di finanza: è indagato con un centinaio di persone in una delle più grandi inchieste sulle truffe di superbonus e altri bonus.

E la Cassazione ha confermato il lavoro svolto dai finanzieri, confermando il sequestro ottenuto dalla Procura. Negli scorsi mesi i legali di De Martino hanno sempre smentito ogni ipotesi di irregolarità. Adesso lo ribadisce lo stesso imprenditore, legale rappresentante nonché titolare del 50% della Mama International Business s.r.l. e della Sviluppo Immobiliare Vallè srl (il restante 50% fa capo alla sorella Marisa Maria De Martino): «Non abbiamo mai utilizzato il Superbonus 110%».

Fino al 2020 la Mama International Business fatturava 19 milioni di euro. Nel giro di 12 mesi, però, il business si è allargato in maniera esponenziale fino a un miliardo e 38 milioni.

Come è stato possibile? Lo spiega la Cassazione in una sentenza che conferma il lavoro della Guardia di Finanza di Foggia. In sostanza, tra i comuni di Vieste e San Severo sono stati predisposti lavori di ristrutturazione per 1.300 immobili e 17 terreni.

Per ognuno di questi, «come prevedeva la legge», la società ha sviluppato «un credito di 96 mila euro». Nella sentenza della Cassazione, però, si legge che «l’87% di questi immobili sono di categoria C/6, ossia stalle, scuderie, rimesse e autorimesse con rendita catastale media di 50 euro». E grazie al meccanismo dei bonus fiscali che permetteva di «pagare solo il 15% mentre il restante 85% aveva titolo per richiedere il bonus fiscale». Così, del miliardo sul bilancio come credito, la società è arrivata a incassare 300 milioni (in parte finiti sotto sequestro preventivo).

Sequestro preventivo di cui si lamenta, nella lettera al quotidiano l’Attacco, Maurizio Matteo De Martino: «Le nostre società, a causa del sequestro preventivo, non possono ancora disporre di somme sui conti correnti — perché ad oggi sono state integralmente trasferite al FUG (Fondo Unico Giustizia) — malgrado la revoca dell’incarico all’amministratore giudiziario. Questo ha creato notevoli ostacoli nella gestione delle attività e nei rapporti con i nostri clienti». De Martino si lamenta anche della definizione di «Mister Miliardo», perché «usare queste definizioni improprie può distorcere la realtà». Poi contesta il merito delle inchieste giornalistiche che fanno riferimento a una sentenza della Cassazione ma omettono «deliberatamente di menzionare la successiva legge di interpretazione autentica n. 38/23. Lart. 2 ter di tale legge sottolinea espressamente che: “Per le spese relative agli interventi diversi dal 110%, la cessione del credito e lo sconto in fattura sono subordinati esclusivamente al solo presupposto del sostenimento della spesa nella finestra temporale agevolata”, e quindi non serve aver eseguito i lavori prima della “nascita” del credito d’imposta. Certo, i lavori, come era ed è nelle nostre intenzioni e nei fatti, bisogna comunque farli, ma non necessariamente prima della generazione del credito, il contrario di quanto ci viene contestato».

Anche per la vicenda delle stalle De Martino ha pronta una replica: «Continuiamo con un’erronea rappresentazione: i cosiddetti box sono stati descritti come stalle o scuderie. Questa rappresentazione induce in errore. La definizione catastale dei box, classificati come C6, fa riferimento a garage e posto auto. La menzione di stalle o scuderie è semplicemente un’espressione tradizionale utilizzata dal Catasto e non ha alcuna correlazione con strutture agricole». Resta, però, il fatto di come sia stato possibile generare un business del genere con rendite catastali così basse. E sui dipendenti, solo 3 nel 2020 secondo la Cassazione? «Il cuore pulsante del nostro business risiede nella nostra operatività come General Contractor, affidandoci a professionisti esterni e studi associati. Il numero di dipendenti non riflette l’ampiezza e la complessità dei progetti che gestiamo. La nostra rete di professionisti e collaboratori esterni garantisce l’efficienza operativa, permettendoci di soddisfare le esigenze dei nostri clienti». Come finirà? «Le indagini sono ancora in corso ma non esiste né una sentenza di condanna né alcun processo», chiosa De Martino. Che aggiunge: «Ripongo piena fiducia nel lavoro della Guardia di Finanza». Come tutti, del resto.

l’attacco

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