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“CRISI FINALE”. I SENTIMENTI OSTILI E IL DECLINO IRREVERSIBILE DELLA CAPITANATA

Ho letto con attenzione, interesse e apprezzamento l’articolo di Nicola Di Bari che avete voluto intitolare “Crisi finale”. Se ho ben capito, lo studio che tende ad individuare il punto di non ritorno della società di Capitanata si basa su un algoritmo. Com’è noto, gli algoritmi servono ad adattare le ricette al numero dei commensali, a redigere interrogazioni parlamentari con l’intelligenza artificiale e a prevedere l’insorgenza di una neoplasia polmonare in base ai numero di sigarette fumate, a quello dei pranzi subiti in compagnia di persone nefaste e alla saturazione da gas umani per disturbi peristaltici di giornalisti imposti nelle stessa stanza dove viene costretta giornalista del Tg stolcherata.

Con un algoritmo da me concepito nel 1996 e preparato da Corrado Villani, allora studente informatico e poi alto funzionario presso la sezione cibernetica di prestigioso istituto bancario, vinsi sedici milioni al lotto presso la ricevitoria 333 di Antonio Mennella a San Severo. Si tratta dello stesso algoritmo che mi ha procurato diversi vaffa da un prefetto amico, nativo proprio di San Severo, convinto che io abbia avuto culo senza essere aiutato dalla tecnica computazionale. A seguito del trauma psicologico derivatomi dalla crisi amicale, a lotto non ho più giocato. Ammetto che sulla decisione abbia influito il metus publicae potestatis anche se entrambi in pensione da tempo. Come è facile dedurre, i numeri che danno i prefetti valgono sicuramente più di quelli che da un questore.

Ma intanto il digitale è andato avanti e qui non è il caso di revocare in dubbio i calcoli di Nicola Di Bari, anche per i prestigiosi risultati conseguiti dal suo noto omonimo in ambito discografico, pur se trattavasi di nome d’arte, quello del cantautore dico.

Ma lo studio pubblicato su “ L’Attacco” non si limita a formulare una previsione basata su proiezioni, progressioni, coincidenze, incroci, allineamenti, intersezioni, bensì estende l’analisi alle cause del declino e, una volta giunto alla diagnosi, questa volta rocambolescamente partendo dalla funerea prognosi, afferma anche la terapia.

Ammetto che un po’ dì invidia ho provato durante la lettura del pezzo perché pur riconoscendo nelle parole di Di Bari gli stessi concetti espressi in diversi miei articoli generosamente pubblicati da Paciello con immeritato rilievo, ho trovato nel quid pluris della previsione cronologica un elemento differenziatore che colloca l’articolo in questione diverse spanne sopra il livello dei miei interventi dedicati alle cause della disfatta sociale, vuolsi, secondo il Lecci, anche e soprattutto per la scarsa sicurezza di cui gode il territorio, e mi si passi la licenza poetica.

Per questa ragione, come umanamente accade quando scatta la positiva emulazione, mi sono dedicato a cercare, tra le righe del Di Bari e quelle mie, possibile bug da colmare con qualche precisazione che incentivi il dibattito per alzare l’attenzione, sperando chissà in un sussulto emotivo che possa giovare all’inversione della tendenza per la sconfitta dell’algoritmo.

E mi sembra di averlo trovato nel 321 a. C. quando i Sanniti, per aver vinto i Romani, li umiliarono costringendoli a piegarsi sotto le forche caudine.

Era il tempo, allora, durante il quale la vittoria di un popolo passava attraverso la fisica prostrazione, più o meno come quella confermata nelle grottesche scene de “La preferita del re”. Nelle gole beneventane i romani persero la dignità piegandosi sotto i gioghi dei vincitori; a Versailles sì camminava con piccoli passi all’indietro per non voltare le spalle al re, salvo che nei momenti topici di certe prestazioni delle cortigiane elette a frequentatrici dello scannatoio.

Al Sud, e quindi anche in Capitanata, sarà difficilissimo superare le frustrazioni, i complessi di inferiorità, lo spirito di rivalsa, il familismo che si fa tribale: lo spirito di squadra dei migliori per il governo del bene comune sarà ancora per molto tempo fagocitato dalla necessità di pubblicare sul social il selfie della senatrice che torna da Roma ed esalta il suo “autista” che l’accompagnerà a comprare il pesce fresco, e capirai che interessante novella politica ci ha portato dal Parlamento la nostra ! Credo nella prognosi di Di Bari e rivendico la condivisione della diagnosi ma aggiungo la speranza che le frustrazioni provinciali delle espressioni apicali, responsabili o almeno corresponsabili dello sfacelo, possano cessare appena dovremo prendere atto che l’America non è più qui, semplicemente perché è arrivata l’Africa. Anche.

claudio lecci (ex questore)

l’attacco