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LA GROTTA DELL’STRICE. SI TRATTA DI UN INSEDIAMENTO PREISTORICO SITUATO LUNGO LA LITORANEA VIESTE-PESCHICI, IN LOCALITÀ SFINALICCHIO

Questo animale è soggetto a bracconaggio per via della sua carne, molto apprezzata dai ghiottoni, i quali la paragonano a quella del maialino da latte (ma il pericolo maggiore per l’istrice è rappresentato dal traffico notturno di autoveicoli).

Al di fuori dell’Africa, l’istrice è presente solo in Italia. Per quanto molto elusivo, da noi questo grosso roditore abbonda sul Gargano, e ciò da tempo immemorabile. Diversamente, una spelonca che si apre lungo la litoranea Vieste – Peschici, in località Sfinalicchio, non sarebbe denominata Grotta dell’Istrice. Si tratta di un insediamento preistorico articolato in due camere, collegate da un corridoio. Sulla parete di fondo dell’ultimo ambiente sono a fatica distinguibili alcuni graffiti ; nello stesso ambiente avvenne il rinvenimento del cranio di istrice da cui la denominazione dell’antro, che non è visitabile a causa della difficoltà d’individuarne l’apertura e di penetrare all’interno.

L’istrice è segnalato pure sull’Alta Murgia. Per quanto appartenente ad una specie protetta – ma a rischio minimo per la Lista Rossa per l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura – questo animale è soggetto a bracconaggio per via della sua carne, molto apprezzata dai ghiottoni i quali la paragonano a quella del maialino da latte (ma il pericolo maggiore per l’istrice è rappresentato dal traffico notturno di autoveicoli). E di carne il povero istrice ne offre abbastanza : venti chili, se l’esemplare è adulto. Per fortuna catturarlo non è facile, essendo un animale dalle abitudini notturne.

E se sorpreso di giorno, sa difendersi bene, disponendo di un dorso fittamente coperto da aculei bianchi e neri, lunghi sino a 30-40 cm, chiamati ‘penne’ e fatti della stessa sostanza delle nostre unghie. Quando impaurito o minacciato, l’istrice drizza gli aculei, che agita l’uno contro l’altro producendo un inquietante tintinnio a scopo dissuasivo. Se ciò non basta, può passare all’attacco. In questo caso carica lateralmente o all’indietro con gli aculei tesi a ‘muro’ : l’effetto, micidiale, ricorda quello della falange macedone. Invece non corrisponde a verità la diceria che l’istrice sia in grado di ‘sparare’ questi armi micidiali (i suoi aculei, erano utilizzati dagli indigeni africani come punte per le frecce ; data poi la loro robustezza, in passato venivano impiegati per incidere le lastre di rame impiegate in calcografia ; trovavano utilizzo anche come asticciole da scrittura da intingere nell’inchiostro).

La diceria nasce dal fatto che, quasi fossero penne, l’istrice rinnova gli aculei, che cadono, per cui è facile rinvenirli a terra, qua e là nell’habitat. A tale leggenda fa cenno Aristotele nel Libro IX della ‘Storia degli animali’. Anche Plinio il Vecchio afferma la stessa cosa  nel Libro VIII di ‘Naturalis historia’ : “E’ simile al ricco, ma gli aculei sono più lunghi e quando tende la pelle li lancia come molti dardi. Con essi perfora la bocca dei cani e ne manda alcuni anche più lontani”.