«Sarà il mio testamento sentimentale. E nei sogni ci porto Mariangela Melato».
Maestro Renzo Arbore, visto quanto successo dopo possiamo dirlo senza più pudori. Negli anni Ottanta siamo stati felici senza saperlo?
«Sono stati gli anni in cui la felicità si percepiva dalle facce della gente, dai modelli delle auto, dagli arredi nelle nostre case e soprattutto dalla creatività. C’era nell’aria una libertà davvero libera, che non avremmo incontrato mai più. Ma allora non potevamo saperlo».
Non a caso due delle sue memorabili trasmissioni sono nate allora?
«Quelli della notte nel 1985, Indietro tutta tra 1987 e 1988. Sentivamo la leggerezza della caducità. Tutto era più semplice, soprattutto ridere di noi stessi».
E adesso tutti quei ricordi, quei cimeli, quelle frattaglie apparentemente insignificanti – migliaia di oggetti che incarnano un ecosistema esistenziale prima ancora che un tempo andato e irripetibile – saranno esposti a Foggia, nella mostra permanente della vita secondo colui che l’ha vissuta fino in fondo. Casa Arbore, così si chiamerà il museo della creatività del maestro dell’intrattenimento intelligente: al secolo Lorenzo Giovanni Arbore, genio agitato, elegantissimo e comunque ineguagliato, nato a Foggia il 24 giugno 1937.
A che punto siamo con l’allestimento?
«Ci siamo quasi, dobbiamo solo superare qualche incertezza burocratica (un modo nobile per dire che adesso è tutto nelle mani della Regione Puglia, giacché Casa Arbore rientra nel sistema museale regionale che ne sta immotivatamente rinviando l’apertura; ndr) e poi potremo finalmente inaugurarla. Vista la complessità dell’operazione, sarà un’occasione per celebrare l’operosità dei pugliesi. Non solo un’occasione di riscatto per la mia città, ma un fiore all’occhiello per tutta la Puglia».
Casa Arbore avrebbe trovato ospitalità in almeno una ventina di città italiane, perché nonostante le difficoltà si ostina a volerla donare a Foggia?
«Perché arriva un momento della vita in cui un uomo che ha avuto la mia fortuna ragiona per restituzione, un momento in cui si avverte il dovere di restituire quello che si è ricevuto. E io devo tutto a Foggia, la mia palestra di vita, di sorriso, di ironia e soprattutto di musica. È a Foggia che Casa Arbore deve stare, l’unico posto al mondo in cui sentirei di averla lasciata in buone mani».
Cosa conterrà?
«Oddio – sorride sornione, come se all’improvviso gli fosse apparso Nino Frassica vestito da bravo presentatore –, tutte le chincagliere, ninnoli, soprammobili e civetterie acquistate in giro per il mondo. Plastica, perlopiù. Modernariato ormai datato, nel senso che quando andavo in giro a comprarli questi oggetti avevano già un discreto valore, che oggi è decuplicato perché non ne fanno più. Specchi, spille, radio, sculture, pupazzi, piccole carezze all’anima prodotte anche negli anni Trenta e Quaranta, tutto ciò che oggi incanta gli ospiti di casa mia e che domani vorrei mettere a disposizione della mia città e dei suoi turisti».
Anche televisione, tanta televisione.
«Grazie alla Rai potremo allestire una specie di archivio permanente della televisione di quegli anni, non solo delle cose che ho fatto io ma di quello che l’intelligenza e l’arte del nostro Paese producevano allora. Da Troisi a Benigni, da Boncompagni alla Carrà. Tutto in Casa Arbore, sotto la regia di Roberta Telesforo (sorella del musicista foggiano e suo discepolo Gegè, ndr), che renderà questo museo interattivo e contemporaneo».
Insomma Casa Arbore sarà il suo testamento sentimentale?
«Questa l’intenzione, però mi faccia trovare un oggetto di ferro da toccare… » si volta a cercarlo, fruscìo dall’altra parte del telefono, poi risata alla sua maniera, seduttiva ma pure un po’ nostalgica.
Lei sarà il primo artista italiano a godere di un museo ancora da vivo.
«Aridaje – si sottrae al cimento –, se è d’accordo soprassiederei sull’argomento. Se tutto dovesse avverarsi prima del mio ultimo viaggio, sarei l’unico artista italiano a vedere il suo museo allestito da vivo. Una bella responsabilità, ma anche un bel modo di sdoganare l’argomento. La bellezza va celebrata quando chi l’ha prodotta può complimentarsi con chi è riuscito a concretizzarla, a metterla insieme. Bisognerebbe farla finita coi musei alla memoria, sarebbe bello se potessi inaugurare la stagione dei musei in favore della memoria».
Chiuda gli occhi, proviamo a immaginarlo.
«Ah, già me lo vedo. Fantastico, pazzesco, da brividi. Con le scenografie di Alida Cappellini e Giovanni Licheri (che hanno firmato anche quelle delle sue trasmissioni; ndr), l’attualizzazione di Roberta Telesforo e la collaborazione dell’Accademia di belle arti di Foggia. Sarà un nucleo orbitante, uno spazio che non celebrerà me ma un momento forse irripetibile delle nostre vite. Ecco, mi sono emozionato, ho una certa età».
Ce la farà a inaugurarla per il suo 87esimo compleanno, il prossimo 24 giugno?
«Lo spero vivamente, c’è già tutto. Mancano dettagli amministrativi come le ho detto, per il resto le idee sono molto chiare. Ed io confido nella concretezza di Michele Emiliano, uno che vuol bene alla Puglia».
Com’è la televisione di oggi?
«Beh, devo dirle… mediocre. Tutta votata all’auditel, senza guizzi di talento puro. Io mi rifugio in Rai Cultura (dove da gennaio tornerà la trasmissione che conduce con Gegè Telesforo, Appresso alla musica; ndr), ma per il resto c’è poco. E il pubblico si sta un po’ rassegnando a un’offerta limitata, alle volte scadente».
C’è un altro Arbore in giro?
«Fiorello è dotato di un talento, di un’ironia e di un’identità proprie, inventandosi un nuovo spazio e un format che prima erano inesplorati. Mi sento di fare il suo nome… ».
Nel 2024 la radio festeggerà i suoi primi 100 anni, si sente di dirle grazie?
«Alla radio devo tutta la mia vita, ma sempre nel 2024 la televisione compirà 60 anni. Ecco perché, se riuscissimo ad aprire Casa Arbore l’anno prossimo, potrebbe diventare un polo di attrazione per tutti quelli che vogliono studiare o semplicemente rendere grazie alla radio e alla televisione italiana».
Dunque, Casa Arbore come il Museo della televisione al Centro di produzione Rai di Torino?
«Se tutto va bene sarà molto di più, una forma d’arte in costante aggiornamento e movimento».
In chiusura due parole sulla sua città natale, ce la farà a rinascere dopo essere stata commissariata per mafia?
«Sono fiducioso. Adesso alla guida c’è una donna (Maria Aida Episcopo, eletta sindaco lo scorso 23 ottobre; ndr), le donne arrivano prima a tutto. Alla scoperta, all’ingegno, alla rinascita e soprattutto alla dignità. La dignità è femmina, confido innanzitutto in una città dignitosa. In cui Casa Arbore sarà la casa di tolleranza, se così posso dire molto ironicamente e senza turbare i lettori del Corriere, del passato radio-televisivo. Un passato che però deve rimanere tale, perché ora bisogna ridare spazio ai sogni. A Foggia, come nel resto d’Italia».
A proposito di sogni quale sarebbe il suo, quello della pacificazione con sé stesso?
«Io e Mariangela (Melato, a lungo legata sentimentalmente ad Arbore; ndr) che passeggiamo lungo il corso a Foggia. E poi, arrivati a palazzo Dogana, entriamo a Casa Arbore. Lei felice come una bambina, io forse un po’ nostalgico» ora si assenta per un po’, come a raccogliere le emozioni di un grande che ancora sa commuoversi».
Grazie maestro per averci reso felici, senza il sospetto di quello che – andando a letto dopo il tiggì dell’umanità – avremmo trovato.
corrieredellasera