……….Infatti, nel Crizia Platone dopo l’accenno a uno sconvolgimento marittimo scrive: 1- “Quel pelago allora era navigabile, da poi che un’isola aveva innanzi alla bocca, la quale chiamate Colonne d’Ercole”: è un riferimento al Mare Ionio con una sottintesa divisione con questa bocca dal Golfo Adriatico segnalata per Vieste come bocca del Mare Adriatico pure dal Vescovo Cimaglia negli anni 1790, mentre secondo Polibio (II sec. a.C.) Vieste col nome Teuthria (Strabone. I sec. a.C.), biancastra per il calcareo Montarone, era considerata la “sorgente e madre del mare”, che è lo stesso del “mare che si è formato un nido sotto la montagna” raccontato da due lavandaie viestane al Beltramelli (Nel Gargano del 1907).
Concetti che partono dal viestano Omero secondo il quale “il mare si è formato dalle visceri della Terra”, considerando le numerose correnti viestane che subito sfociano nel mare, alimentandolo. Ma anche perché le Colonne d’Eracle sono siti viestani facenti parte dell’isolato Montarone come Pizzomunno di cui in seguito si dirà di più. Eracle si sincretizza con Atlante per averlo mitologicamente sostituito nel sostenere per qualche tempo il Mondo perché stanco di tenerlo sulle sue spalle che, quindi e non a caso, è pure il mitologico Vestri, per Vieste chiamata Vestri in due lettere del 1442 e del 1646 scritte da due Vescovi viestani di origine straniera, che è il nome del nano che sorregge la colonna occidentale della volta celeste, mentre quella orientale viene sorretta dal nano Austri. Hera-kles: gloria (cleio, cleos) di Era, altra dea della Terra e moglie di Zeus, per il Sole nel Cielo che secondo Omero tutto vede e tutto ascolta, che col significato di Colonne della Terra cinta, incinta (cleiuo) si collega sia al <sinus incinctus .. nomine uria> del Mela, sia all’indeuropeo ves (= fortificata, cinta, incinta) radice di Ves-ta che con il finale ta porta al Montarone come estremità terrestre, e sia come angolo di un edificio che funge da casa comune (altro significato di Estia e di Vesta) per quella di un territorio che diventa il comune luogo di sbarco dei popoli, meglio identificato con l’architettonico e geografico atlante, sinonimo di pizzo, di angolo come punto di origine e di fine; 2 –“ed era l’isola più grande che la Libia e l’Asia insieme”: è un sottinteso riferimento al Continente Apeira, aperta, con capitale Skeria, che Omero identifica come isolata nel mare grandi flutti e all’estremo del mondo e con altre prove che portano a identificare il Montarone come Pizzomunno, ora Europa: vasta vista, anche se quest’isola è quella del Continente Atlantide ma con specifico riferimento di Platone alla grandezza dell’Asia e la Libia messe insieme.
La maggiore verità si scorge in Erodoto che, dopo avere scritto di non sapere sia chi avesse fatto per prima il nome Europa, sia se l’Europa fosseun’isola, aggiunge che l’Europa è grande quanto Egitto e Libia messi insieme, che con le trascurate, o anticamente inesistenti, coste della Tunisia e del lato corto del Marocco hanno la stessa lunghezza dell’Europa, 3- “donde era passaggio alle altre isole”: l’Ellesponto di Omero, il passaggio stretto del Laurento; lo Stretto Ionico di Polibio; il Ponto Eusino di Cicerone; il passo stretto di Eracle con l’ausilio delle predette isole intermedie ivi comprese le 2000 isole Croate che impediscono un facilitato tragitto marittimo; 4- “a quelli che viaggiavano di quel tempo, e dalle isole a tutto il continente che è a dirimpetto”:la parte costiera della Tracia, poi detta Illyria, nome della cui dipendenza da Vieste si è già riferito; 5- “che inghirlanda quel vero mare”: il Golfo Adriatico coronato da terre da cui il Sinus Urianus come altro suo nome anche se già da tempi remoti venne identificato per buona eufonia con il Lago, dal latino lacus che non è lo stesso di sinus, di Varano insieme con la sprofondata Uria senza la presenza di una benchè minima traccia di residui di questa città (Del Viscio ed altri).
Ma senza sapere che Uria, da ouros è un “alveo con canale per trarre le navi da e per il mare”, quindi il Pantanella con la sua entrata stretta, che con il suo Montarone, da mounaz si identifica con la rupe marinara di Adria, da cui il Golfo Adriatico, che per essere stata identificata come sprofondata isola di dimensioni continentali è la stessa dell’isola del Continente Atlantide anche per l’entrata stretta dei loro porti che parte dall’entrata stretta del principale porto di Skeria capitale del Continente Apeira di Omero, mentre da monios, da monos, il Montarone si identifica legittimamente pure come Troia; 6- “E per fermo: Vieste con il nome greco di Estia, o Istia che da isthemi è fondamento, statua, sisto, lo stesso di atlante e di pizzo di Pizzomunno; 7- ”quel tanto mare che è dentro alla bocca della quale favelliamo”:Vieste come bocca del Golfo Adriatico che come il Mare Ionio aveva origine dal Montarone nell’identità di Colonne d’Eracle, ma che è lo stesso di quanto riferito dal geografo matematico Tolomeo che segnala l’adiacenza di Vieste, col nome Hyrium, con il Golfo Adriatico e posizione espressamente ribadita dal vescovo viestano pure di nascita,N. Cimaglia, il 6 Maggio 1752 quando scrive: “la città ora Vestana .. è situata .. alla bocca del mare Adriatico” e altri fatti già riferiti nel primo punto; 8- “è un porto dall’entrata stretta, a vedere”: il Pantanella, che è il porto dall’entrata stretta principalmente del porto dei Lestrìgoni che con la sua corrente d’acqua dolce chiamata Artachia è alla base di altri tre episodi di Omero ed è un riferimento al porto viestano dall’entrata stretta del Mela e difficile del Rizo; 9- “ma quell’altro assai propriamente dire si può vero mare”:il Mare Ionio poiché, oltre la divisione del vasto, largo e alto mare separato dal sentiero dell’Ellesponto di Omero, Platone fa la stessa divisione di Tolomeo che indica Vieste sia col nome di Apeneste, che chiude il Mare Ionio, detto dai ragazzi viestani di molti anni fa “U Mère Granne”, il Mare Grande, sia col nome di Hyria adiacente, quindi all’origine, del Golfo Adriatico, detto dagli stessi ragazzi viestani “U Mère Picchele” (la e dialettale resta muta), il Mare Piccolo; 10- “e continente la terra che lo ricinge”: è una estensione sia del “sinus incinctus continuo apulo litore nomine uria” del Mela e della gola del Porto Angaso di Plinio ma certamente all’origine di un Continente nella sua accezione letterale.
Comunque un riferimento al Continente Apeira, aperta, di Omero che si riversa in A-pulia, senza porta, che si ritrova nei Viestani come gli Uri Aperti del Gargano di Catullo (IV sec. a.C, ep. 36) e nel dio e re del Gargano Pilunno: portone sempre aperto in riferimento al Montarone nell’identità di Pizzomunno anche per la vastità degli orizzonti perennemente visibili da Vieste, ora Europa, vasta vista, sinonimo di aperta, che per Platone diventa il Continente Atlantide, ma sempre con origine dal Pantanella e dal Montarone di Vieste come Pizzo-munno, sinonimo di atlante da cui il mai trovato e tuttora vanamente cercato Continente Atlantide al di sotto del suo omonimo Oceano.
Oltre la sinonimia di pizzo con l’angolo e l’atlante, l’identità di Vieste come Atlantide città viene supportata anche da altre prove. Infatti, non vi è alcuna differenza di identità tra Vieste come Pizzo del Mondo, il limite della greca Uria, il fondamento della greca Istia, l’orlo della latina Oreum altro nome di Vieste, e il fermo, o il ciglione del Continente Atlantide di Platone.
La comune identità di questi luoghi con quelli viestani è supportato anche dal significato letterario dei nomi poiché l’indoaria Urja (= prospera, forte); la greca Atlantide (da a-tlenai = infaticabile); la romana Adria (greco adros = forte) derivano dall’indeuropea Ves-ta (fortificata di rupi – estremità) e della possanza del Montarone nell’identità di Pizzomunno.
E poiché Uria condivide con Atlantide la leggenda dello sprofondamento in una notte e un giorno per volontà divina (del Viscio e altri) che parte dallo sprofondamento in una notte e un giorno della Troia di Omero deliberata dagli dèi, non resta che da interpretare alla lettera le indicazioni di Dicearco (347-285 a.C.) quando scrive: “dal Peloponneso è più lontana la fine dell’Adriatico di quanto non lo siano le colonne d’Eracle. Da capo Malea alle colonne vi sono 10.000 stadi”.
Tuttora il Continente Atlantide viene vanamente cercato nell’Oceano Atlantico, senza considerarlo sinonimo di Adriatico, oltre le Colonne d’Eracle che, invece di essere colonne viestane, che oltre le due rupi turrite (Virgilio) del Montarone, stanno ad identificarsi da una parte con il Puz-mume, toponimo greco che da pougx (leggi punxi)-momos conduce a un “bastione della vergogna”, minacciato di essere vomitato da Poseidone sul fianco della città per ammonire gli abitanti di Skeria a non accompagnare più nessuno dopo averlo fatto con Odisseo a Itaca, sempre Vieste, come si vedrà.
Al quale bastione di pietra, in realtà vomitato dal vendicativo Poseidone, poiché sempre secondo Omero, in due episodi separati si attaccano sia Eracle, da cui una delle sue colonne, e sia Odisseo per salvarsi; l’altra Colonna d’Eracle è la limitrofa Rupe che è la Ripa del Montarone che Omero descrive alta fino al cielo, come pare vista dalla sua base, che pare levigata e che nessun mortale avrebbe potuto scalare neppure se avesse avuto 20 mani e 20 piedi.
Ma Colonne d’Ercole da tempo individuati erroneamente con lo Stretto di Gibilterra perché immaginate tra il Mare Mediterraneo, scambiato erroneamente per “quel tanto mare che è dentro alla bocca della quale favelliamo”, che vale per il Golfo Adriatico detto da Omero esperion, occidentale a Vieste e da cui l’Italia come Esperia, e “quell’altro assai propriamente dire si può vero mare” scambiato altrettanto erroneamente con l’Oceano Atlantico, mentre si tratta del Mare Ionio detto da Omero eonion, orientale, a Vieste.
Per avvalorare questa errata realtà, un’altura del Marocco è stata identificata come Monte Atlante situato a poca distanza dallo Stretto di Gibilterra che mette in comunicazione il Mare Mediterraneo con l’Oceano Atlantico che, come è avvenuto per il Golfo Adriatico, il Mare Ionio e il Mare Thyrreno, derivante da Vieste come thura: porta, della Terra, diventa un altro mare originario sempre da questa città Pizzomunno.
Ma l’identità del Montarone viestano con il locus/isola/porto che secondo Seneca viene raggiunto con una via stretta, o un corridoio, che Enea percorre per approdare, ma al Pantanella; lo Stretto Ionico che Polibio fa partire dall’angolo dell’Italia che si piega a oriente verso il mare; la personificazione del passo stretto di Eracle = gloria della Terra, sono solo alcuni degli elementi che consentono di affermare che trattasi di riferimenti al <sentiero del vasto, largo e alto mare> che Omero chiama Ellespontos, o Ellaspontos, o Hellaispontos.
Sentiero che l’indispettito Achille avrebbe voluto percorrere con tre giorni di navigazione verso l’Aurora (Eòs), cioè verso il punto in cui nasce il disco del Sole durante la tarda primavera in cui si combattono gli ultimi 51 giorni della guerra di Troia. Ciò non solo perché il significato degli etimi Hel-lais-pontos è vaso-rupe-sentiero del vasto, largo e alto mare, in cui il Gargano si immerge per 300 stadi verso oriente di Strabone, km 48, ricavabili pure dalla differenza tra le coordinate geografiche di Tolomeo, km 49, ma anche perchè i suffissi hel-lais di una diversa versione del Pantanella diventano prefissi di Hellais-pontos.
L’identità dell’Ellesponto con lo Stretto Ionico e il Laurento, cioè un passaggio stretto, di Polibio è ancora più vera se si considerano anche i fatti seguenti: 1- per Omero l’Ellesponto ha come capo Troia, individuata come città frontale alla Tracia e di nessun altro luogo. Troia è in realtà (Iliade IX,360; XIX, 1; XXIII, 226) situata a occidente del mare detto Bora, vento esclusivo dell’Adriatico che a Vieste giunge da 0° latitudine Nord, non da una superficie terrestre come avviene sia per Hissarlik, localita di Troia erroneamente imposta negli anni 1870 dal commerciante d’oro di seconda mano Schliemann, che in realtà ha comprato una collina destinata a remota cremazione di cadaveri, modificandola a suo piacimento e venendo creduto da tutto l’ignaro genere umano, scrivendo un libro “Alla Scoperta di Troia” in cui racconta la sorte del dissenziente capitano Boetticher, costretto a rientrare in patria a sue spese, e dando il suo benestare alle già individuate dalle autorità culturali dell’attuale Grecia per le omeriche Skeria con l’isola di Corfu e per l’isola di Itaca con l’attuale isola di Thiaki, avendo come contropartita la smentita primitiva falsa Troia situata a Burnabashi.
Ma località entrambe situate sul canale marittimo stretto da due terre del Bosforo che sfocia nel Mar Nero econ un’inclinazione verso l’Equatore, che non è lo stesso del sentiero del vasto, largo e alto mare che procede verso l’Aurora, cioè verso dove si vede nascere il disco del Sole, che Achille avrebbe voluto percorrere in tre giorni di navigazione verso l’Aurora nel vasto, largo e alto mare nel pescoso Ellesponto, che pure etimologicamente è il contrario dell’attuale stretto tra due terre; 2– Troia che nei versi omerici il mare lo guarda verso l’occidente e verso l’oriente, dove a chiuderlo è la Tracia, l’attuale penisola balcanica (Iliade II,845); 3- alcuni già sospettano che Troia sia Atlantide, anche se per il solo comune sprofondamento in una notte e un giorno deliberato dagli dèi; 4- a: i tanti particolari del sacrario di Myrina, ora e da sempre primitivo altare di (S.) Maria di Merino, per il viestano Munduncidde: una minuta, o monade, unica dunetta da cui scaturisce il nome della Ia-pyga Mes-apia, cioè un’unica, o monade troia – centro dell’antichità, poi esteso all’intera Puglia, che fa parte dell’Italia e non dell’attuale Grecia.
Ma collinetta bassa e piatta situata davanti alla rovinata città di Troia, ora Merino, che Omero identifica come tomba, altare, sacrario (gr. sema) di Myrina, di cui per opportunità lo scrivente non aggiunge altro, la cui processione, in realtà un’anfizionia per il concorso dei cittadini di luoghi convicini (Giuliani), che secondo la testimonianza rilasciata nel 1680 dai priori di due diverse congreghe, si teneva da tempi immemorabili, ma in modo laicopoiché per intercessione del Vescovo viestano pure di nascita, N. Cimaglia, impressionato dalla intensa venerazione e dalla particolare cura dei Viestani per il suo simulacro si rivolse al Papa in carica nel 1797, riuscendo a farla diventare pure una festa religiosa, ma a determinate condizioni ancora attuate anche se da tutti obliterate; b: per la presenza del viestano Muntincidde: un monte piccolo e bello che equivale alla Bellacollina di Omero.
Ma rilievi collinari tuttora esistenti nel Piano della Battaglia di Vieste sul quale c’è il letto del torrente chiamato Canale della Macchia, che dal greco make è battaglia, luogo di battaglia, che coincidono in tutto e per tutto con l’omerica piana del sacrario di Myrina (Iliade II,812), sul quale canale in piena è ambientata la più cruenta battaglia della guerra di Troia.
La cui reale presenza si trova sulla sovrastante rocca avente il toponimo di Caprareza, che dal greco capra(ina)-rezò significa una Troia sacrificata, o data in sacrificio cioè sacrificata come capro espiatorio, concetto presente in Omero e come di fatto è avvenuto nella realtà poiché da questa distruzione sono nate diverse città europee.
Vedi Trojanova, primitivo nome di Londra, Parigi da Paris, nome del troiano Paride, e Roma generata dal troiano Enea e da suo fglio Iulo, da Ilio per Troia. Su Caprareza esisteva una sola Torre, della grande Troia dalla quale Priamo dirigeva le schiere, secondo Seneca (IV sec. a.C.) dai cui pressi, secondo Omero, affacciati a metà strada di un muro protettivo di una comoda strada per salire, Elena indicava a Priamo i principali eroi Achei. Quivi nel 1400 c’era un Castellum Marini che fungeva da uno dei punti di confine dei territori di Vieste e Peschici (A. Russi).
Mentre le rovine di un grande fabbricato unitamente a una comoda strada per salire su questa rocca di Caprareza sono state integralmente tramandate, insieme con cisterne comunicanti, dal Giuliani nel 1680. Reperti che fanno capo al Pergamo di Priamo, re di Troia, dalla cui sola esistenza tocca il diritto di essere identificata come una Polis: città, qualunque sia l’estensione dei ruderi della tuttora sepolta dal fango città di Merino; 5- Enea e suo padre Anchise al loro approdo vedono una piccola risorta Troia (Virgilio), o fondano una nuova Troia (Livio), mentre Diomede sul luogo del suo sbarco fonda la città di Argos Ippion (Virgilio), cioè atta ai cavalli, con i sassi portati da Troia (S. Ferri) sul porto del loro sbarco in Italia (Livio) che non può essere altro che il Pantanella; 6- Vieste, oltre che “nata da Uria”, è pure “nata da Troia” per l’analogia dei verbi latini uro e tero con i greci titrosco e teiro, che nascono dall’indeuropeo tr: rovina, all’origine di Troas, o Troo di Troia.
Ma presente pure in Vestice, altro antico nome di Vieste che dal latino vesticula conduce a una piccola veste, mentre da vestigium conduce a una serie di significati come traccia, postazione, ma soprattutto orbita, dei corpi celesti tra i quali principalmente il Sole, da cui il nome Vieste, figlia dell’Oriente, lo stesso di Aurora, di Mattino e del Greco ed altri. Ma che pure come traccia, orbita di vestigium, sottintende la ferma posizione e funzione di Vieste nella qualità di città Pizzomunno che, oltre li pizzo, l’atlante e l’angolo, come punto orbitale diventa sinonimo di centro del Mondo antico, come è stato nella realtà per la nascita di Omero e per le testimonianze quivi presenti e altre seguitanti; 7: a- lo sprofondamento per volontà divina di Uria come pure quello di altre grandi isole del Mediterraneo come: b- l’isola di Megaride, che dal gr. megas sta per grande, anche di età, situata nel mare Tirreno e in adiacenza di Partenope, l’antica Napoli; c- l’isola scomparsa adiacente la Sardegna di cui allo scrivente ora sfugge il nome; d- il mitologico sprofondamento dell’isola, o terra di dimensioni continentali di Adria, forte, nel mare in cui si trovava e da cui il Golfo Adriatico che aveva origine dal Montarone, che fatto pervenire da monios di monos, conduce al latino singularis che diventa automaticamente un cinghiale (Diz. Gr. Rocci, v. monios e monos) e nel nostro caso la sua femmina detta troia, all’origine della Troo, o Troas di Omero.
Tutte località che si sincretizzano legittimamente con Vieste col nome della sprofondata nell’arco di una notte e un giorno Uria, ma identità con Troia che si ricava analogamente per la presenza a Vieste dell’isolato Scoglio del Faro, avente come toponimi (S.) Eufemia, la bene famosa per la sua storia da Omero in poi, e (S.) Eugenia appartenente pure alla frontale punta piccola (ma per età) del Montarone, col significato di una buona genia che sta per un Pizzomunno in senso demografico.
Ma scoglio che per la sua forma, oltre ad essere la nave dei Feaci affondata e pietrificata da una manata dell’incollerito Poseidone davanti a Skeria al ritorno dall’accompagno di Odisseo a Itaca, sempre Vieste, o l’omerica nave degli Argonauti, o l’omerica Arca di Deucalione e Pirra approdati dopo il Diluvio Greco sul Parnaso che, andando oltre l’usurpazione dell’attuale Grecia, è un’altura viestana, ovviamente il Montarone, sul quale Odisseo viene ferito al ginocchio dalla zanna di un cinghiale durante una battuta di caccia e da cui il nome Ulisse: ferito.
Ma identità di Vieste con Troia anche perché anticamente gli scogli appena affioranti sul mare venivano paragonati a un delfino che automaticamente diventavano un capros, un cinghiale, e in questo caso la sua femmina, in calore (capraò) chiamata Troia, presente nella viestana Caprareza, sovrastante Merino, e nella attuale isola di Capri. Oltretutto sulla punta marinara dello scoglio di (S.) Eugenia per il Corno Piccolo (ma di età) del Montarone c’è un Crepaccio con all’interno un’ampia grotta detta “U Spacche Rusenèlle”, toponimo greco che da spaò-rous o roos-nele(uò) conduce a un “crepaccio con flusso e riflusso di ventre inesorabile, o che non perdona”, laddove le acque di alcune ondate in entrata dopo aver raggiunto un maggiore livello del mare uscivano con una rumorosa violenza tanto da fare vedere la sabbia sul fondo del mare.
Che è quanto racconta Omero per l’avvicinamento di Odisseo a questo crepaccio detto Cariddi con all’interno un albero selvatico di fichi esistente fino agli anni 1960 perché tagliato periodicamente per farne legna da ardere, ma attaccato a un suo ramo e alla fuoriuscita dell’acqua dei resti della zattera, Odisseo balza sull’albero maestro riuscendo a salvarsi. Mentre sul Corno Grande (ma per età per essere sede dell’antica Vieste) del Montarone, approssimativamente distante un tiro di freccia con l’arco, come scrive Omero, c’è la “Grotte i Trève”, toponimo di origine greca che da treò significa “fuggire atterriti” che è quanto avvenuto per Odisseo dopo che il mostro marino con sei bocche Scilla aveva prelevato altrettanto suoi compagni dalla nave, secondo Omero. Ma un fuggire atterriti che valeva pure per gli sfaccendati ragazzi viestani, ivi compreso lo scrivente, che una volta entrati dall’unico punto utilizzabile per entrare in questa grotta si veniva spaventati dal grido al mostro fatto da qualcuno più grande di età, ragione per la quale tutti fuggivamo letteralmente atterriti anche perché costretti a utilizzare a turno l’unico punto di accesso; e- lo sprofondamento in una notte e un giorno del Continente Atlantide, infaticabile, tuttora cercato vanamente nell’Oceano Atlantico, ignorando la sua sinonimia con la forza di Adriatico, la possanza del Montarone e il pizzo di Pizzomunno; f- nel Mare del Nord c’è la sprofondata nello stesso arco di tempo isola continentale di Thule ricordato dal conta frottole scrittore Pitea, ignorando che etimologicamente l’indeuropeo tla di Atlantide è sinonimo di thel, thul e thule da cui la sua Thule, ma comune infaticabilità derivante dalla potenza del Montarone, o dalla forza di ves di Vesta in quanto città Pizzomunno.
Sprofondamenti in una notte e un giorno che hanno avuto origine dal racconto di Omero per quello di Troia che dopo il Diluvio, poi detto Greco, di nove giorni di pioggia, per volere degli dèi a causa di un muro realizzato dagli Achei senza fare i dovuti sacrifizi in loro onore, dopo che la città era stata bruciata dagli Achei, cui va aggiunta la distruzione della piana e della spiaggia troiana (Iliade XII, 13-35). Sprofondamenti di cui i Viestani continuano a trovarsi nella leggenda della figlia di un locandiere e fanciulla di nome Uria, personificazione del gorgogliare (oureò) delle storiche, mitiche e poetiche correnti viestane delle quali due lavandaie raccontano al Beltramelli (Nel capitolo sulla “sperduta” Vieste, nel Gargano del 1907) di come il “mare si sia formato un nido sotto la montagna”; Polibio in Strabone (Italia) che per l’esistenza di queste correnti promuove Vieste come “sorgente e madre del mare”, mentre Omero scrive che “il mare sgorga dalle visceri della Terra” e che “tutte le sorgenti, le correnti e i fiumi venivano traboccati dalla forza di Oceano”, che è pure il padre di Calypso. Giovane fanciulla di nome Uria bella come il Sole che viene trascinata e incatenata sul fondo del mare, quindi sprofondata, dalle sirene invidiose del suo amore per il totalmente contraccambiato in amore bel pescatore viestano chiamato Pizzomunno, che è la personificazione del Montarone e giammai del bastione chiamato Puzmume, simboleggiante un biasimo, o un rimprovero di cui vergognarsi. Queste sirene che, nel racconto di Omero, in un primo momento tentano di trattenere Odisseo, sono di casa a Vieste in località affrontata dalla nave di Odisseo e chiamata Lamicane, toponimo che proviene dal greco lamie: “un mostro marino avente il volto di donna e la coda di pescecane”; cane, dal greco canakeo, latino cano: canto, una sirena come tuttora appare il più piccolo dei due esistenti scogli visti da dietro il Ponte, nome che deriva dal greco ponhto, che significa la pena (vedi Mappe del Magini e di Iohannes Blaeu), per quella sofferta dal nostalgico di casa Odisseo quivi trattenuto per sette lunghi anni come ostaggio da Calypso.
Altri fatti dimostrano che il mito di Atlantide cela un’altra verità storica e letteraria per davvero madornale: la funzione del territorio di Vieste come unità di luogo, di tempo e di azione dei poemi omerici che non è il solo frutto della individuazione del Piano della Battaglia viestano con la pianura di Troia, luogo centrale dell’Iliade, ma la conclusione a cui si arriva dai fatti riguardanti l’Odissea ancora seguenti: 1- oltre la presenza di due corni marini e dell’istmo del Montarone, poichè da sopra l’istmo di Skeria, città centrale dell’Odissea, sono visibili ai lati due bei porti, di cui uno ha l’entrata stretta che vale pure per l’istmo della città che era protetta da alte mura nella stessa identica maniera dell’istmo di Vieste detta per lungo tempo Uria, polivalente nome greco che da ouros tra l’altro contempla il significato di “alveo con canale per trarre le navi da e per il mare”.
Infatti, Omero all’arrivo di Odisseo a Skeria, per bocca di Nausica, scrive: “Ma come in vista della città arriveremo – un muro alto, e bello ai lati della città s’apre un porto, ma stretta è l’entrata”, che oltre il porto potrebbe valere anche per l’istmo del Montarone. Omero aggiunge: “Guardava ammirato Odisseo i porti, le navi equilibrate, le lunghe mura, eccelse, munite di palizzata, meraviglia a vederle”: mura, palizzata e porta principale della città dalla quale certamente entrano Nausica e Odisseo provenienti dalla località viestana detta la Scanzatore, toponimo che dal greco scan(aò)-za-tore(uò) conduce a un “palcoscenico per mezzo del quale far sentire la voce alta”che è quella fatta da Nausica e dalle sue ancelle perchè la palla con la quale stavano giocando in attesa che i panni stesi al Sole sulla sabbia si asciugassero era accidentalmente caduta nella prima corrente viestana. Grida tanto alte da svegliare il tramortito Odisseo sballottato dall’ultima ondata di Poseidone e sbattuto davanti a questa corrente: Ma ruderi e mura che sono venute fuori per piogge e scavi in diversi secoli e già evidenziati, in particolare quelli segnalati dal Giuliani per la ritrovata palizzata e porta principale della città; 2- il nome di Skerìa nasce dall’indeuropeo sker, come puntello anche di navi che viene integrato in parte dal greco skeros, per. un porto generato dalla continuità delle rupi qual’è il porto del Monte Gargano come “seno incinto dalla continuità del litorale apulo, di nome Uria, con un’entrata stretta e per lo piùtormentata” citata da Omero, da Polibio, da P. Mela e dal Rizo per il Pantanella, e come è d’obbligo pure nel caso degli abitanti di Skeria chiamati Feaci (Faiaces), che sono Viestani che prendono il nome dalla luminosita (gr. fai) delle punte (gr. acis) del Montarone da cui derivano pure gli omerici Achei avversari dei Troiani e dal cui porto ha origine la remota potenza “anco nel mare” dei Vestani descritta da E. Bacco.
Premesso che il puntello (di navi) di sker e skeros è lo stesso di cles di Eracles di Platone, dell’angolo di Polibio, del limite di Uria, del sisto di Estia per Vieste, del fermo, o ciglione di Atlantide di Platone, che altri hanno già associato all’omerica Skeria, ma città mai prima e da nessuno individuata con Vieste, c’è da aggiungere che a ritroso nel tempo il porto più ricco di particolari analoghi alla realtà del Pantanella, che per la sua entrata stretta vale per uno dei porti di Skeria, capitale del Continente Apeira, comprendendo la bocca stretta e difficoltosa con la spinta a mano delle navi nel porto tramandata dal Rizo, è principalmente quello del porto dei Lestrigoni descritto da Omero. Infatti, se si aggiunge la presenza in questo porto di una sorgente di acqua buona detta Artachia, dove i Lestrigoni facevano provviste di acqua proprio come gli acquaioli Viestani che la prelevavano dal Pozzo della Chiatà fino al 1950, Omero scrive: “Qui, come entrammo nel bel porto, che roccia inaccessibile cinge, ininterrotta da una parte e dall’altra, e due promontori sporgenti, correndosi incontro sulla bocca s’avanzano, stretta è l’entrata; qui, dunque, gli altri tutti spinsero dentro le navi ben manovrabili e quelle nel porto profondo stavan legate vicine, che mai si gonfiava flutto là dentro, né grande né piccolo, ma v’era candida bonaccia“. Oltre l’assoluta analogia con lo skeros per la naturale conformazione del Pantanella, nel Gargano le tracce dei Lestrigoni sopravvivono nella Valle delli Rigòni (Giuliani) o dei Rigoni (Masanotti), nel Monte e nella spaventevole Valle degli Oreoni (il vichese Del Viscio), nel Monte degli Origoni (mappe del Magini nel 1620 e del Marzolla nel 1851), nel Monte e Valle degli Origoni (mappa militare tedesca del 1700) e nell’attuale Monte Strione che tuttora si trova quasi di fronte all’abitato di Peschici, anche se i Lestrigoni restano in Italia dislocati nella Sicilia settentrionale e in Sardegna. Resta il fatto che per Omero la città dei Lestrìgoni situata su una rupe marinara, il Montarone, è Telepilo Lestrìgonia: la lontana porta dei Lestrìgoni, per Vieste come thura e pulhe, porta, dalla quale origina pure la mai trovata città all’origine di Roma chiamata Albalonga: alba lontana, che è quella vista sorgere a Vieste, che anche per altri fatti è la città di origine di Roma, che dal greco rome indica la forza presa dal possente Montarone e dalla forza di ves di Vesta, poi prima dea protettrice dei Romani.
Qualcosa si ricava da quanto tra l’altro Strabone scrive: “Fra la quinta e la sesta pietra miliaria c’è un luogo chiamato Festi(gr. Festoi, quindi anche Vesti) che indicano come confine della terra (l’identità del Montarone come Pizzomunno) che allora era dei Romani. I sacerdoti celebrano qui e in diversi altri luoghi considerati confini un sacrificio, dappertutto nello stesso giorno, che chiamano Ambarvalia (.) Poichè però non poteva ottenere per essi il diritto di contrarre matrimonio con i popoli vicini, fece annunciare la celebrazione di una gara ippica consagrata a Poseidone che ha ancora luogo ai giorni nostri (tuttora nel giorno di S. Giorgio) (.) Essendosi riuniti in molti, la maggior parte Sabini (= uomini forti), ordinò a quelli che volevano sposarsi di rapire le vergini quì convenute“.
Omero, del porto dei Ciclopi in cui Odisseo non entra con la nave per precauzionale esigenza poetica, scrive: “qui all’estrema punta una grotta vedemmo, sul mare … qui un uomo aveva tana, un mostro, che greggi pasceva”, “un’isola piatta davanti al porto si stende … c’è un porto comodo, dove non c’è bisogno di fune, o di gettar l’ancora o di legare le gomene, ma basta approdare e restare a piacere, fino a che l’animo dei marinai non fa fretta o non spirino i venti. In capo al porto scorre acqua limpida, una sorgente sotto le grotte: pioppi crescono intorno” Il mostro è Polifemo che certamente veniva immaginato nella grotta all’estrema punta, ora Grotta di (S.) Nicola che ancora nel 1600 si trovava iuxta (adiacente) il mare (Mascio Ferracuti) ed è ubicata all’estremità di una delle due punte collinari del Pantanella.
L’isola piatta che si stende davanti al porto da una parte è la Chianghe de l’Orne, roccia levigata dalle onde, ora in parte smussata per esigenze abitative, sulla quale c’è tuttora la grotta di (S.) Nicola, che dal greco nike-laàs diventa la Grotta della Vittoria, quindi certamente sede del mostro Polifemo, che viene accecato da Odisseo e compagni; dall’altra parte e in sbieca contrapposizione si trova tuttora la già citata e più avanzata Chianghe de l’Onne, che insieme determinavano l’entrata stretta del porto avente come toponimo soltanto verbale di Tagghia du Pantanidde, cioè Stretto Passaggio, o meglio Tagliata del Pantanella. Quest’interrotta isola bassa e piatta, che vale pure per quella con la bocca e l’entrata stretta del porto di Skeria e dei Lestrìgoni, chiudeva il Pantanella, rendendo quiete le sue acque interne esaltate da Omero.
Tra questi due rialti tuttora scorre, ora canalizzato sotto via della Repubblica, via Pertini e zone retrostanti, l’unica corrente di acqua buona del Pantanella, chiamata Canale della Chiatà, già individuato da Omero come Artachia.
Omero, dopo aver scritto che il porto di Itaca è sacro al signore del mare, Forchi, o Forches, la cui presenza è tuttora testimoniata dagli scogli sottomarini detti <i Forche> che qualche anno fa erano raggiunti quotidianamente dai pescatori viestani (e peschiciani) nei mesi che vanno dalla tarda primavera a quelli del primo autunno, per la pesca del pesce azzurro attirato dalle lampare, ma ora italianizzato in Forti, situati sott’acqua a sei miglia a nord di Vieste, di questo porto Omero scrive: “due punte s’avanzano e sporgendo a picco proteggono la baia, chiudendo fuori l’onde immani dei venti violenti e dentro senza ormeggio rimangono le navi buoni scalmi, quando alla fonda sian giunte. In capo alla baia c’è un ulivo frondoso, e li vicino un antro amabile, oscuro, sacro alle ninfe che si chiamano Naiadi (.) e vi sono acque perenni”, quelle della fonte che questa volta Omero, per ovvie ragioni poetiche, chiama Aretusa, che è la stessa di Artachìa dei Lestrìgoni e della anonima sorgente d’acqua limpida del porto dei Ciclopi.
A questi si aggiunge il porto dell’Isola di Trinachia o delle Vacche del Sole che, secondo Omero, “veniva traboccato d’acqua dolce” sul cui letto Odisseo e compagni trascinano, similmente a quanto ha poi scritto il Rizo e indirettamente nell’ouros di Uria, la loro nave in una grotta situata nella sua profondità.
Tutti questi fatti trovano perfetta coincidenza con un’altra miriade di altre prove che a trattarli dilaterebbero il discorso a dismisura. Perciò ci si ferma ai porti Viestani.
Ora lo scrivente accoratamente chiede alla più volte informata, ma finora del tutto taciturna, Assessora alla Cultura di Vieste, e implicitamente al Sindaco e ai componenti la Giunta Municipale dell’ora traboccante di denaro Comune di Vieste, parzialmente informati da alcune precedenti lettere/relazioni, il perché continuare a sottacere questa realtà, emersa dopo circa 30 secoli grazie agli studi dello scrivente che ha già pubblicato due libri, il primo in cui dimostra la cittadinanza viestana di Omero in intense pagg. 420 pubblicato nel 1994, il secondo in cui dimostra che il Continente Atlantide è lo stesso dell’attuale Europa nascenti da Vieste come Pizzomunno in intense pagg. 368 pubblicato nel 1999, mentre il terzo è in via di realizzazione, che avvantaggerebbero in modo esponenziale e in quantità imprevedibili, invalutabili ma facilmente intuibili, la città di Vieste, per essere fortunatamente e certamente quella nativa di Omero, il più grande poeta di tutti i tempi e del Mondo.
Una cittadinanza che una volta ufficializzata, magari con l’iniziale realizzazione di un monumento bronzeo da dedicare a questo immenso e certamente vedente poeta, con alla base l’iscrizione “Al Poeta Viestano Omero” da situare nella piazza centrale o su una rotatoria e su un importante incrocio stradale, che avvantaggerebbe Vieste, l’intero Gargano e tutta l’Italia qualora tutte queste documentate realtà venissero opportunamente propagandate. Ma soprattutto Vieste per il suo Montarone con l’appellativo di Pizzomunno, che sta per il pizzo, l’angolo, l’atlante che, quindi, la faranno diventare ancora una volta, anche se idealmente, la città capitale dell’attuale Mondo, qual’era ai tempi di Omero col nome di Skeria, capitale del Continente Apeira, aperta, ora Europa, vasta vista, e per Platone la città capitale del Continente Atlantide, sinonimo di Pizzomunno che, oltre le smentite altre ubicazioni, rappresentano sempre la stessa attuale Europa. Ma nel contempo lo scrivente invita pure i tanti cittadini viestani oltremodo acculturati, professionisti, laureati e imprenditori turistici a collaborare strettamente con le predette autorità municipali viestane sollecitandole allo scopo di valorizzare al meglio possibile questa realtà storica di Vieste che, soltanto per questa straordinaria, fortunata e realmente provata cittadinanza di Omero, in futuro si vedrebbe inevitabilmente accontentata in tutte le sue aspirazioni e legittime richieste dagli Enti più centrali. Cui va aggiunta l’ovvia e definitiva destagionalizzazione del turismo per Vieste, per il Gargano e per l’intera Italia.
Prof. Giuseppe CALDERISI nato a Vieste il 01.02.1943