A chi viola il fermo triennale multe fino a 12mila euro. A gennaio la Consulta potrebbe cancellare la norma.
La legge pugliese che vieta per tre anni la pesca dei ricci è stata impugnata dal governo, e il 9 gennaio il ricorso verrà discusso davanti alla Consulta dove (inizialmente) la Regione non si era nemmeno costituita. La dichiarazione di incostituzionalità appare scontata, eppure ieri la giunta ha approvato il regolamento per le sanzioni a chi non osserva il divieto: i trasgressori rischiano multe da 2mila a 12mila euro, la revoca delle autorizzazioni per i pescatori subacquei professionali e l’eventuale denuncia, mentre in caso di prelievo accidentale sarà sufficiente ributtare i ricci in mare.
Il testo approvato all’unanimità in aprile (con la sola astensione di Fabiano Amati e Donato Pentassuglia) è in vigore dal 5 maggio, ma nei fatti non c’erano conseguenze proprio perché la giunta aveva dimenticato di emanare (entro i previsti 30 giorni) il regolamento con le sanzioni. A sottolinearlo ieri è stato il consigliere di opposizione Paolo Pagliaro, che aveva proposto il disegno di legge: «Le sanzioni – ha detto – danno finalmente una bussola e ribadiscono la gravità del prelievo di ricci di mare durante tutto il periodo di fermo triennale».
L’iniziativa è stata varata con ottime intenzioni (quella di salvare il riccio da un prelievo indiscriminato), ma fin da subito l’ufficio legislativo del Consiglio aveva avvertito che esula dalle competenze regionali. E infatti l’impugnazione da parte di Palazzo Chigi, a giugno, ha recepito le osservazioni critiche di tre ministeri (Ambiente, Politiche del mare, Esteri) basate su un principio banale: il mare che bagna la Puglia non è il mare della Regione, perché non esiste «un mare territoriale regionale, appartenente alla Regione Puglia, quale ambito entro il quale la stessa Regione sarebbe abilitata ad esercitare la propria potestà normativa».
E dunque in mare non è possibile applicare disposizioni diverse da quelle dettate dallo Stato. In più, per come è scritta la norma, il divieto non è applicabile né alle «acque interne» (il golfo di Taranto, buona parte del golfo di Manfredonia e le acque tra le Isole Tremiti e il Gargano) né alle aree portuali. Pagliaro però tiene il punto: «Resta impellente -dice – la necessità di cercare di salvare una specie ormai in estinzione, da cui dipende l’equilibrio dell’ecosistema marino. La legge è figlia di un lavoro di concertazione con pescatori e ristoratori, mondo scientifico e ambientalisti.