La nuova legge consente ristrutturazioni edilizie per la «rigenerazione urbana». È stata approvata anche una mozione per chiedere alla giunta interventi contro la violenza di genere.
Due votazioni all’unanimità. Con la prima viene archiviata la stagione del Piano casa per dare vita a una nuova legge che consente ristrutturazioni edilizie per la «rigenerazione urbana». Con la seconda si approva una mozione per chiedere alla giunta interventi contro la violenza di genere.
Il primo provvedimento era molto atteso: dai proprietari di immobili, dalle imprese, dai sindacati. Dal 2009 il cosiddetto Piano casa veniva rinnovato di anno in anno. L’ultima proroga è stata travolta dalla Corte costituzionale. Il testo approvato ieri – frutto del lavoro svolto dal consigliere delegato all’urbanistica Stefano Lacatena – sembra far tesoro delle censure della Corte e prova a metter riparo alle distorsioni precedenti.
I commenti sono esultanti e arrivano da tutti i gruppi. Solo i 5 Stelle esprimono qualche riserva. I consiglieri Galante, Casili e Di Bari (ma non l’assessora Rosa Barone) criticano l’estensione delle norme alle zone agricole. Che però era già presente nella legge precedente. La novità specifica del nuovo testo, piuttosto, è l’applicazione delle disposizioni alle zone urbanistiche F (dedicate ai servizi).
Ma vediamo le regole principali. Nelle zone B (completamento), C (espansione) ed E (rurale) vengono incentivati interventi di ristrutturazione con bonus consistenti in aumenti di volumetria.
Per le zone B e C l’incremento è del 20%, entro il limite dei 300 metri cubi. Nelle zone E l’aumento è del 20%, fino a 200 metri cubi: qui però non sono consentiti cambi di destinazione d’uso. Ossia: l’intervento potrà riguardare solo edifici residenziali (e non stalle o stabilimenti) che restino tali, perché il fine della norma è l’intervento sul patrimonio edilizio. In caso di demolizione e ricostruzione, sarà possibile aumentare le volumetrie del 35% (con un limite di 200 metri cubi nelle zone rurali).
Veniamo ad alcune novità. Sono previsti interventi anche nelle zone D (artigianali) ed F (per servizi collettivi, come le scuole). Ma solo se tali aree sono «intercluse» nel tessuto urbano. In passato l’intervento in zona D era consentito sempre, quello in area F non lo era per nulla.
Un’altra novità: le entrate comunali ottenute con gli interventi in zona D e F andranno in parte al recupero di edifici in zona A (centro storico) e in parte all’edilizia residenziale sociale per fasce economicamente deboli.
È consentito, inoltre, «delocalizzare» le volumetrie (quelle esistenti più l’aumento del 35%) in caso di demolizione di immobili che si trovino in aree interessate da vincoli paesaggistici o ambientali: per esempio una casa in zona a rischio idraulico o a meno di 300 metri dal mare.
Saranno i consigli comunali a definire, con variante urbanistica semplificata, gli «ambiti» (nelle zone B, C, D, F) dove consentire gli interventi. «Oltre questi parametri – commenta Lacatena – non sono previste altre deroghe e ogni intervento dovrà essere coerente con il Piano paesaggistico. Questa legge darà un contributo vitale all’economia della Puglia».
I commenti sono entusiastici. «Finalmente certezze per operatori, Comuni e cittadini: la legge è un manifesto della visione che abbiamo per la Puglia» sottolinea il Pd. Il movimento Con plaude al lavoro svolto dal suo iscritto Lacatena. Dal centrodestra plaude la Lega, Forza Italia e FdI sottolineando il «senso di responsabilità» e il «contributo» offerto dall’opposizione per l’approvazione del testo.
«Meno pianificazione e più possibilità di realizzare per i cittadini – commenta il gruppo di FdI – e del resto il Piano casa è stata la vera operazione urbanistica nella città di Bari, altro che i programmi elettorali di Decaro».
Il Consiglio ha pure approvato una mozione, prima firmataria la presidente Loredana Capone, per sollecitare la giunta regionale a mettere in atto tutte le azioni utili per contrastare la violenza di genere. A cominciare dal reperimento, già con il Bilancio di previsione per il 2024, di tutte le risorse necessarie alle attività di prevenzione e contrasto alla violenza di genere.
Si chiede, inoltre, di «convocare la task force» prevista in un’apposita legge regionale approvata nel 2014. «Questo nuovo impegno – dice Capone – ci permetterà di sostenere maggiormente i centri antiviolenza e anche tutte le attività collaterali con laboratori e percorsi di formazioni che incideranno sulla prevenzione».