Gli attuali concessionari delle spiagge demaniali non solo potranno contare su una proroga per tutto il 2024 delle concessioni balneari, decisa da moltissimi comuni e contro la quale si annuncia un’ondata di ricorsi da parte di chi vorrebbe entrare nel mercato. Ma le imprese potranno beneficiare nel 2024 anche di un taglio del 4,5% dei canoni annuali versati allo Stato, proprietario delle stesse spiagge. Lo dispone il consueto decreto del ministero delle Infrastrutture che alla fine di ogni anno aggiorna i canoni. Come si legge nella circolare dello stesso ministero, guidato da Matteo Salvini (Lega) in prima fila nella difesa dei balneari, «con decreto n.389 in data 18 dicembre è stato fissato nella misura di -4,5% l’adeguamento delle misure unitarie dei canoni» per il 2024. Di conseguenza, «la misura minima di canone» scende quest’anno a 3.225,50 euro per tutto il 2024 contro i 3.377,50 euro dovuti nel 2023. Un risparmio di 152 euro, nonostante i forti aumenti dei prezzi di ombrelloni e lettini riscontrati la scorsa estate.
REDDITIVITÀ
Questo accade perché il meccanismo di adeguamento dei canoni previsto dalla legge non ha nulla a che fare con la redditività degli stabilimenti, ma avviene in base a un meccanismo che risale agli anni Novanta basato su diversi indici Istat di inflazione al dettaglio e all’ingrosso (quest’ultimo dal 1998 non viene più calcolato e i governi lo hanno di volta in volta sostituito con indici come quello dei prezzi alla produzione industriale, che nel 2023 è sceso parecchio) e al dettaglio. Risultato, appunto, i canoni, sia quelli al metro quadro sia quello minimo, scendono tutti del 4,5%. Secondo l’ultimo rapporto della Corte dei conti, lo Stato ha incassato nel 2020 appena 92,5 milioni da 12.166 concessioni, per una media 7.603 euro a canone, contro un fatturato medio per ogni stabilimento stimato da Nomisma in 260mila euro. Canoni irrisori oggi e ancora di più in passato. Fino al 2020 il canone minimo era di soli 362 euro l’anno, salito a 2.500 euro nel 2021 con un decreto del governo Conte 2. Flavio Briatore, proprietario del Twiga di Forte dei Marmi, lo scorso marzo, intervistato da Gian Antonio Stella, ha ammesso: «Al demanio abbiamo sempre pagato poco o niente».
DIECI GIORNI PER DECIDERE
Sulla mancata messa a gara delle concessioni l’Italia sta affrontando una seconda procedura di infrazione europea (dopo quella del 2016) e Bruxelles, il 16 novembre, ha dato due mesi al governo per adeguarsi alla direttiva Bolkestein del 2006, pena il deferimento alla Corte di giustizia Ue. L’esecutivo ha quindi 10 giorni per evitare lo scontro. Ma prima deve trovare un accordo tra chi, come Salvini, vorrebbe andare avanti con la proroga delle attuali concessioni (il ministro ha tentato di farla passare con una norma nell’ultimo consiglio dei ministri del 2023, ma è stato bloccato dal ministro degli Affari europei, Raffaele Fitto) e la parte più moderata della coalizione che vuole l’accordo con Bruxelles. L’accordo, sul quale sembra puntare anche Palazzo Chigi, prevede che il governo, con un provvedimento di legge, metta finalmente a gara le concessioni, valorizzando però gli investimenti fatti dagli attuali concessionari, che avrebbero diritto anche a congrui indennizzi nel caso perdessero la gara. Per tentare l’intesa, nei prossimi giorni, dovrebbe tenersi un vertice tra maggioranza e governo ai massimi livelli. Intanto, la partita rischia di spostarsi nelle aule di tribunale. Sono infatti già diverse le sentenze dei Tar che hanno annullato le proroghe delle concessioni disposte nel 2023 dai comuni, perché in contrasto con le norme Ue. E altre ne arriveranno nel 2024.
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