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DALLA REMOTA CITTÀ DI VIESTE, INCONTESTABILE PATRIA DI OMERO, IL PIÙ GRANDE POETA DI TUTTI I TEMPI E DEL MONDO, IL SIGNIFICATO E FESTEGGIAMENTI DEL NOME MARIA E DI MARIO ALL’ORIGINE DEL MARE

Contrariamente a quanto finora negata derivazione del nome Mario come maschile di Maria, questa stretta parentela viene dimostrata da quanto segue. Il nome Maria, secondo l’Enciclopedia Rizzoli-Larousse (v. Maria) deriva dal greco Mirinna. Myrinna secondo due enciclopedie (Dei e Miti di A. Morelli e Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana di O. Pianigiani) deriva dall’indeuropeo  Mari-an-ne, Mari-am-ne, o Ay-Mari, nelle cui regioni affaccianti sul Mare Mediterraneo orientale questa divinità veniva venerata da almeno 10.000 anni fa, venendo identificata come la Grande Madre Fertile. Da Myrinna nasce pure la più precisata molto balzante Myrina di Omero, il cui altare, sacrario, tomba (gr. sema) è tuttora situato su una bassa collina accessibile da ogni lato, pure secondo Omero, che tuttora svolge le stesse funzioni in località viestana di Merino col nome di “Munduncidde”, una piccola duna, sinonimo di una bassa collina. L’omerica molto balzante Myrina indica direttamente la Luna che, come è del tutto evidente, nel Cielo si muove più del Sole apparendo anche 2 volte nello stesso giorno. Sole, dio del Cielo, che già per Omero tutto vede e tutto ascolta col nome di Zeus, sinonimo di Dieus (A. Morelli. Dei e Miti), poi latino Deus, poi ancora Iovis da cui il romano Iuppiter destinato a Giove sempre in sostituzione di Zeus. Sta di fatto che Zeus appare tuttora scolpito su un luogo religioso di Vieste sia nell’identità di un Putto, in rappresentanza di Zeus Dodoneo, lo stesso di Zeus Bambino, e sia in quella di un adulto dio Sole rappresentato da un’Aquila, che come uccello predatore è innegabilmente il padrone del Cielo.

      Premesso che dal predetto Munduncidde nasce il nome di Ia-pyga Mes-apia, indicante una “unica Troia – centro dell’antichità” che serve a piazzare in modo inequivocabile e definitivo sia la poetica Troia e sia la cittadinanza del tuttora vagante Omero a Vieste, anche se per estensione questo stesso nome è poi passato, come sempre, all’intera Puglia, si aggiunge che è noto il fatto che con i suoi quarti e in fase di plenilunio la Luna con la sua forza gravitazionale genera le maree. Infatti la Luna ruota interamente intorno al suo asse verticale e mostra sempre la stessa faccia nel compiere il percorso del suo intero ellisse in 28 giorni intorno alla Terra. Pianeta Terra che invece compie il suo giro di rotazione in un solo giorno, per sottrarsi alla maggiore forza gravitazionale del fisso Sole. Terra che, trascinando il suo satellite Luna, per evitare questa attrazione compie il giro di rivoluzione sul suo obliquo e irregolare ellisse in poco più di 365 giorni intorno al Sole, quindi un intero anno. Sta di fatto che la Luna con i suoi quarti e in fase di plenilunio con la sua forza gravitazionale contribuisce a generare una maggiore estensione delle acque del mare, o maree, che con il maggiore assorbimento dei sui vapori provocato dal calore del Sole durante il giorno, dà vita alle nuvole che raggiunta una certa densità provocano la pioggia che rende più fertile la Terra, realizzando così il significato di Grande Madre Fertile dell’indeuropeo Myrinna, greca Myrina, riempiendo nel contempo i fiumi le cui acque confluiscono in mare completandone il riciclo e rendendo più ricche le sorgenti delle naturali correnti d’acqua e dei tanti pozzi sorgivi. Ma Terra che come madre di Zeus, greca Gea, latina Gaia, tuttora parte dalla località viestana detta “la Gioia” che inizia da subito dopo la fine della vallata del Pantanella se visto dal mare.

      Oltre la reale presenza sul predetto Munduncidde dell’altare dell’omerica molto balzante Myrina, a Vieste è stata trovata pure una pietra con la scritta in lingua greca arcaica interpretata nei primi anni del 1900 dal dr. Michele Petrone, ma in modo asettico, cioè senza immaginare che si trattasse di un Inno a Vieste nella sua antica funzione di “Divina Porta della Terra Madre (che) fa sgorgare dalla Cinta Acqua Sorgiva”. Divina Porta della Terra Madre che diventa una similitudine del Montarone di Vieste nell’identità di Pizzomunno, indicante il punto estremo del Mondo in tutte le sue direzioni, quindi pure centro del Mondo, essendo questa Madre Terra la stessa dell’antico Mondo, o antico Continente. Divina Porta della Madre Terra che da aperta nasce il Continente Apeira, aperta, con capitale Skeria che, secondo Omero, si trovava isolata (non isola!) in mezzo al mare grandi flutti e all’estremo del mondo, da cui la prima certificazione di nascita, o di prima presa d’atto del Montarone nell’identità di Pizzomunno, del tutto simile alla Divina Porta della Madre Terra. Nome di Skeria che dall’indeuropeo sker (gr. sceriptò) indica l’approdo nei suoi due porti naturali che sono gli stessi viestani che in tempi remoti si trovavano ai lati dell’istmo del Montarone. Mentre dal greco skeros indica che entrambi questi porti di Skeria, gli stessi di Vieste, erano formati dalla continuità delle rupi del Montarone. Il Montarone è un toponimo di origine greca che fatto pervenire dal greco moun(az)-tauros-onem, indica la sua realtà come un “peduncolo isolato ma non distaccato dalla forma di corna di un toro possente”. Mentre dall’iniziale monios, da monos (diz. Greco Rocci), il solitario possente, lo stesso di cornuto dei tempi passati, insiti nel Montarone, conduce tradizionalmente al latino singularis e automaticamente a un cinghiale e in questo caso alla sua femmina detta Troia. Identità di Vieste con la Troia di Omero che viene rafforzata dalla presenza del suo limitrofo isolato Scoglio, poiché tutti i solitari scogli appena affioranti dall’acqua erano paragonati a un delfino che tradizionalmente venivano assimilati a un capros, un cinghiale, ma pure in questo caso nell’identità di una sua femmina detta Troia (v. isola di Capri). Stretta parentela della Troia del poeta Omero con Uria per Vieste, che si convalida per il loro comune sprofondamento in una notte e un giorno per volere degli dèi sempre per colpa degli uomini, ma nella precisa funzione del sacrificio di un capro espiatorio. Lo stesso del sacrificio di una Troia, femmina del cinghiale, che è presente nel significato del toponimo greco della rocca viestana di Caprareza, che dal greco capra(ina)-rezò indica una troia sacrificata, o data in sacrificio,inlocalità dominante la sepolta dal fango Merino. Ma sacrificio avvenuto con l’intento di legittimare la nascita di più civili nuovi popoli e città, distaccandoli dal peccaminoso antico mondo. Continuità delle rupi del Montarone che determinavano l’entrata stretta dell’antico porto del Pantanella, che sempre per Omero diventa l’entrata stretta del porto dei Lestrìgoni e soprattutto per quello più importante di Skeria, città principale dell’Odissea. Pantanella che così diventa pure il porto del Continente Apeira, aperta, lo stesso di un’aperta Divina Porta della Madre Terra anche per altri scopi di cui si dirà. Infatti il Pantanella è un toponimo di origine greca che da panta-ne(a)-el(os)-làas (di làos) diventa un “tutto nave approdo rupe”, mentre da làas, di laurhe, diventa un “tutto nave approdo dall’entrata stretta” che trova la sua realtà nella “tagghie du Pantanidde”, apertura del Pantanella in cui passa tuttora il Canale della Chiatà, utilizzato fino al 1500-1600 per facilitare l’entrata e l’uscita delle navi. Ma mai cercato Continente Apeira, aperta, senza che nessuno si sia accorto che trattasi di un sinonimo dell’attuale Europa, vasta vista. Mentre il pizzo di Pizzomunno per Vieste è sinonimo di atlante, da cui nasce il Continente Atlantide, da a-tlenai, infaticabile, sinonimo del possente Montarone, del filosofo ateniese Platone (Crizia) con l’entrata stretta del suo porto. Dati di fatto che confermano il Pantanella e il possente Montarone, sede della antica Vieste,pure come porto e città capitale del Continente Atlantide nell’identità di Gea, la viestana Gioia. Ma anche perché il Continente Atlantide sprofonda nel giro di una notte e un giorno, similmente alla Troia di Omero  e ad Uria per Vieste, dovuto a un cataclisma provocato dalla vita peccaminosa dei suoi abitanti. Ma ancora perché le sue Colonne d’Eracle, certamente Viestane in quanto Pizzomunno nell’identità di punto fermo sul mare, fungevano da confine tra un “mare che non si può dire vero mare”, il Golfo Adriatico, confuso con il Mare Mediterraneo, e un “mare  che si può dire vero mare”, il Mare Ionio, confuso con l’Oceano Atlantico, sinonimo di Adriatico, facendone un nome derivante dal possente Montarone, con la conferma del geografo Dicearco che scrive: “dal Peloponneso è più lontana la fine dell’Adriatico di quanto non lo siano le colonne d’Eracle”. Infatti, l’Adriatico prende il nome dal greco adros: forte, preso dal possente cornuto Montarone e dalla forza dell’indeuropeo fes, o ves, di Vesta con la conferma del vichese Del Viscio (Uria) che scrive: “La tradizione vuole che Adria sia stata la metropoli di una grande terra, o di una grande isola sprofondata sul fondo del mare che da essa prese il nome, l’Adriatico, e della quale le varie isole si identificano con le sue cime più alte”. Che trova un reale riscontro nel Giuliani che scrive “Nel gettarsi che fa nel seno dell’Adriatico mare il Monte Gargano, prolungandosi in mezzo alle acque circa venti miglia nella sua estremità, lascia la città di Vieste sopra uno scoglio a guisa di una penisola”. Quindi il Montarone chegettatonel seno del mare diventa lo stesso di affondato, sprofondato di Adria pur e nei panni di Uria e di Troia della cui identità si è già riferito. Pizzo e atlante che a loro volta sono sinonimi di angolo da cui pure il Grande Regno dell’Angoloculla che, secondo le previsioni di Nostradamus del 1500, sarebbe dovuto rinascere, o rivivere, dopo inevitabili polemiche, il settimo mese dell’anno 1999. Una previsione ora data per non convalidata, ma perfettamente verificata per tempo e modo perché si tratta della reviviscenza dell’antica funzione dell’omerica Skeria, situata all’estremo del Mondo e città capitale del Continente Apeira, aperta, che quindi passa direttamente al possente, anticamente pure sinonimo di cornuto, Montarone nell’identità di Pizzomunno, il cui pizzo è sinonimo sia di atlante e sia di angolo che sono lo stesso di punto estremo del Mondo nel quale, per Omero, si trova Skeria,ora Vieste nell’identità di Pizzomunno. Il cui territorio, come si può facilmente dedurre anche da questo intero contenuto, ha svolto la funzione di unità di luogo, di tempo e di azione di tutti gli Inni e delle due poesie di grandi dimensioni, o Poemi, l’Iliade e l’Odissea. Tutto questo viene avallato anche dal comune porto con l’entrata stretta sia di Skeria e sia del Continente Atlantide che però parte sempre da quello del Pantanella col nome Uria, che dal greco ouròs (leggi uròs) indica un “alveo con canale per trarre le navi da e per il mare”, un dato di fatto che conferma l’antica funzione del “Canale della Chiatà” che tuttora scorre dentro questa ormai vallata. Inoltre l’Apeira, aperta, è sinonimo dell’attuale Europa, vasta vista, mentre l’essere Vieste la Divina Porta della Terra Madre (che) fa sgorgare dalla Cinta Acqua Sorgiva trova effettivo riscontro sia in Omero, secondo il quale il “mare ha avuto origine dal ventre della Terra”e che con la forza del fiume che circonda la Terra, l’Oceano, tutti i fiumi e tutte le sorgenti venivano traboccati d’acqua; sia dalle sette correnti tutte di acqua salmastra, tranne una di acqua buona tuttora gorgoglianti a Vieste tanto che Polibio (in Strabone. Italia) promuove Vieste come “sorgente e madre del mare”; sia dal racconto del 1907 al Beltramelli di due lavandaie viestane che gli raccontano di come“il mare si sia formato un nido sotto alla montagna”. Sei sorgenti di acqua salmastra che di fatto hanno origine dalle gole tuttora gorgoglianti ai piedi della bassa altura viestana detta i Masuliane, che dal greco ma(ter)-solayno conduce a una madre dei canali, confermando Vieste come la Divina Porta della Madre Terra (che) fa sgorgare dalla Cinta di Acqua Sorgiva. Evento che trova altri riscontri nei verbi greci oureò (leggi ureo) per l’emissione di urina, lo stesso di acqua, e da cui uno dei tanti altri motivi per identificare Uria come il più duraturo antico nome di Vieste. E soprattutto ombreò, per l’emissione di acqua, da cui ha avuto origine il nome degli Umbri (gr. Ombricoi) che, tra l’altro, avevano per confine Merinum fin dall’Adriatico (Strabone), cioè Vieste, come pure l’origine del nome della Foresta Umbra che così si rivela con certezza originaria dell’antica Vieste col nome di Uria. Ma anche perché gli Umbri scacciarono gli Uriatini, cioè Viestani, venendo a loro volta scacciati dai Lidi che poi furono Thyrreni che a loro volta prendono il nome dall’indeuropeo tyrah, greco thyra, porta, lo stesso di Puglia da pul(he)-ia, porta-unica, e di Apulia, da a-pul(he)-ia, senza porta-unica, sinonimo di aperta di Apeira, e di: vasta vista di Europa che indubbiamente nascono da Vieste nell’identità della Divina Porta della Madre Terra della predetta iscrizione. Madre Terra, o Gea, latino Gaia, che per il restante Continente, ora Europa,partiva sempre dalla località viestana “la Gioia”. Per la cronaca va riferito che da thyra nasce la biblica Tiro che secondo i profeti Ezechiele ed Isaia, al pari di Troia, di Uria e di Adria, viene fatta sprofondare in una notte e un giorno per volere di Dio per la vita superba dei suoi abitanti (Bibbia), sempre Viestani.

     Questo legittima il fatto significativo che dalla molto balzante Myrina, ora italiana Maria (Enc. Rizzoli-Larousse v. Maria), vengono sia pure indirettamente generate per le sue maree le acque dell’Oceano che secondo Omero era un fiume che circondava la Terra e che ora con il nome comune di mare, dei mari, delle acque marine e delle maree necessarie per il riciclo dell’acqua e, quindi, nomi comuni tutti derivanti dal nome Maria che, tradotta in forma umana, con tutti i suoi diminuitivi usati per tenerezza dai genitori con i nomi di Mariuccia, Marietta, Mariella, Mariolina, come pure tempo fa il molto diffuso a Vieste nome di Merina e poi principalmente Marianna e di conseguenza pure Annamaria se nome unico in quanto diretta derivazione dall’indeuropeo Mari-am-ne, o Mari-an-ne, e poi ancora Mariana, Marina, Myriam o Miriam, Marinella, Marilena e nel nord Italia Mara e solo istintivamente Luna. Alla Luna è dedicato pure il primo giorno della settimana col nome di Lunedì. Invece dal maschile di Maria nascono il nome di Mario, Mariano, nome unico del bravo Maestro delli Santi dell’ultimo triennio di Scuola Elementare dello scrivente, e poi Marino e loro diminutivi Marinuccio e Marijttille, quest’ultimo al posto del più logico Mariolino, evitato dai genitori per evitare equivoci. Ma tutti nomi di entrambi i sessi che vengono generati da quello originario di Maria che nel giorno della sua venerazione a Vieste, il 9 Maggio, detto pure Mese Mariano, perché dalla Chiesa viene dedicato interamente a Maria festeggiata dappertutto con tutti i suoi sinonimi, derivati, aggiuntivi, compostivi e talvolta pure pietrificati. Questi ultimi derivanti dal suo attuale epiteto di S. Maria, l’Oreta, ora soltanto pietrificata, ma dalle preghiere dei fedeli e da cui derivano i successivi nomi di Loreta e Loredana. Poi per estensione Madonna di Loreto, venerata nella cittadina di Peschici, limitrofa a Vieste, e per un tentativo di appropriazione indebita nelle Marche. Marche che proprio come tutti gli altri popoli italici ed europei (Seneca. Alla Madre Elvia) prende il nome per essere la più testimoniata regione di origine viestana nell’identità di Divina Porta della Madre Terra. A cominciare dalla falesia calcarea del Monte Conero, simile a quella del Gargano, dalla città di Loreto e dell’interna Repubblica di S. Marino, città indipendente poggiata su bastioni calcarei similmente alla vecchia Vieste anche nell’identità di Marinum, lo stesso di Merinum, e anche per altri motivi che si omettono per opportunità: Basta ricordare che da Iulo unico figlio del troiano Enea nasce la Gente Giulia per i Romani, per dedurre che Giulianova (Marche) è sinonimo di Troianova che è stato pure il primitivo nome di Londra. Anche perché a cominciare dai Celtici europei, che prendono il nome dal greco cellò-ticto, o tico, indicante l’origine di questo nome dal luogo del loro primitivo sbarco, il porto del Pantanella, principalmente i Galli che da pennuti tuttora cantano all’Aurora di cui Vieste è figlia. E continuare con i Cittei che prendono il nome dal greco cytos, indicante sia la cavità del Pantanella e sia dallo Scoglio viestano nell’identità di una carena di nave capovolta quale in effetti sembra una volta spogliato di tutto, ma anche perché per estensione i Cittei vengono identificati come Pugliesi e Italiani. Con il conforto di quanto scrive Seneca secondo il quale tutti i popoli di immigranti che insieme con gli eroi vincitori e vinti della guerra di Troia  sono sbarcati nello stesso luogo, buco, scoglio e poi disseminatisi in tutto il restante Continente, fondando nuove città, ma conservando l’intento di imparentarsi, per nobilitarsi, con questa città Pizzomunno, o Divina Porta della Madre Terra, anche perché ora patria incontestabile del suo cantore Omero, un fatto andato perduto nel tempo ma ora recuperato anche per l’avverata profezia di Nostradamus sulla reviviscenza del Grande Regno dell’Angoloculla, lo stesso di atlante del Continente Atlantide, e di pizzo di Pizzomunno città, ora Vieste, che come si può facilmente immaginare diventa la culla di tutti gli antichi popoli del restante Continente. Anche perché gli abitanti delle Marche in quanto Piceni, sottogruppo degli Umbri, in qualche modo sinonimi di Uriatini per la comune emissione di acqua, derivano direttamente da Pico riconosciuto come divinità italica e pure come uno dei re del Laurento (A. Morelli, Dei e Miti) nome derivante da làas di laurhe del Pantanel-la e della sua successiva via stretta sul mare. Pico, che è lo stesso di Picunno, poi trasformato in un Picchio dalla maga Circe, quindi Piceni di origine postomerica, perché amava soltanto Canente, dal latino cano, canto, dalla voce dolcissima (Virgilio), quindi una ripetizione della leggenda del bel pescatore Pizzomunno che amava soltanto la bella fanciulla Uria venendoentrambi puniti dalle gelose ma dolcissime cantanti sirene. Ma anche perché il Picchio in un secodo momento diventa un uccello marino detto mergo (Diz. Gr. Rocci), in pratica una greca ouria, indicante un’uria, un’anatra dedita alla pesca con una notevole resistenza subacquea (ma vedi Baia dei Mergoli vicino Mattinata). Mergo che si trova nel greco pougx (leggi punxi) primo etimo del viestano Puz-mume (ma vedi pure Monte Pucci vicino Peschici), che con il becco appuntito del Picchio, poiché questo Pico tuttora non riesce a liberarsi dall’incantesimo di Circe, può essere un riferimento allegorico all’appuntito Puzmume, o maggiormente al cornuto possente Montarone nell’identità di bocca appuntita dell’Ellesponto di Omero come punto di primaria divisione del suo fiume Oceano con il Golfo Adriatico e il Mare Ionio di cui si dirà. Ma divino Pico, o Picunno, che potrebbe rappresentare pure il picchetto di guardia situato nella minuta guardiola, o sentinella, della Divina Porta della Madre Terra, ma Pico di certo altro nome del divino Pilunno, portone, personificazione del Montarone nell’identità di Pizzomunno certamente partente da Vieste nei panni di Divina Porta della Terra Madre. Divino Pilunno, portone, poi identificato come re del Gargano e che va logicamente associato per una sua maggiore estensione al romano divino Portuno, o Portunno come divinazione del porto continentale dall’entrata stretta del Pantanella.

      Premesso che l’omerico altare, tomba, sacrario di Myrina nella pianura di Troia si trova pure nell’antico nome greco di Vieste col nome di Estia, significante: altare, sacrario, santuario, pubblico focolare da intendere come casa comune, come lo è tuttora la Cattedrale viestana, il simulacro della Madonna di Merino,che viene tenuta per un intero anno nella Cattedrale Vescovile con l’ovvio Titolo di Maria Assunta in Cielo, viene tuttora portato a mano all’andata verso Merino con il viso rivolto verso il mare, sua indiretta creatura fin dagliantichi tempi per via delle maree provocate dalla Luna eanche perché l’attuale nome comune del mare nasce da Maria, un dato di fatto che trova un più diretto riscontro nell’essere Vieste sia la “Divina Porta della Madre Terra(che) fa sgorgare dalla Cinta Acqua Sorgiva” e sia per altri motivi che seguiranno. Anche se ora questa direzione del simulacro verso il mare viene fatta per invogliarlo a darsi una calmata per far riprendere le attività marinare dei popoli della Terra. Principalmente i Viestani abitanti del Montarone da sempre gettato (Giuliani), affondato, sprofondato anche in molte altre leggende nel mare aperto e alto. Ma significato di maree che è presente pure nel latino aestus dei Vestysane, che diventano “figli dell’aestus più alto”, per il loro stare in mezzo al mare grandi flutti proprio come lo sono gli abitanti di Skeria con l’appellativo di Feaci (Faiaces) che, oltre al trovarsi all’estremo del mondo e con l’entrata stretta del loro porto, e forse pure un riferimento all’istmo della città di Skeria, nella fantasia di Omero prendono il nome dalla luminosità (fai) delle due punte (acis) dei corni del solitario possente Montarone collegato con il suo stretto istmo alla restante Terra, o Continente. Premesso che dallo stare in mezzo al mare grandi flutti che finiscono col mandare in bestia, provocato anche dal conseguente mal di mare, e inzuppando d’acqua marina (greco methyò) i Viestani ricordati da Plinio come i Methymnates ex Gargano, dall’altro nome greco di Vieste e normalmente associato a Estia, Istia, da isthemi, conferma Vieste come un sisto lo stesso del latino aestus come punto fermo, pizzo, atlante, angolo, di un sentiero stretto sia della Terra, perché punto fermo di arrivo di tutti gli antichi immigranti che poi si disseminarono in territorio europeo (Seneca), sia del Mare come principalmente lo sono l’antico sentiero del largo, vasto ed alto mare con tre giorni di navigazione verso l’Aurora dell’Ellesponto di Omero della cui aggiuntiva funzione di divisione del suo Oceano si è già detto. Anche perché navigando da Vieste in direzione verso l’Aurora si va verso l’Illyria che dal greco illò-yria è una regione che avvolge, è stretta da legami con Yria, l’attuale Vieste. Un fatto che viene confermato dal poetico nome di Achille che, avendo come patria Ftia nell’attuale Croazia, da acis-illò significa di fronte alla punta del Montarone e per estensione di fronte alla punta del monte Gargano. Ma soprattutto per la necessaria funzione delle due isole intermedie di Pelagosa, fino al 1600 patrimonio Viestano, e la successiva Lagosta che permettevano due obbligatorie soste, dato il terrore che si aveva a quei tempi di subire naufragi notturni. Aestus, o sisto, da identificare pure con l’entrata stretta sia del Pantanella e siadello via stretta sul maredel Laurento di Livio; lo stesso del ponto Eusino, sentiero del mare diretto verso l’Aurora (gr. Eòs) di Cicerone; e ancora lo stesso delle via maestra, del mare, di Agylla, perché nome associato con l’importante città marinara di Caere come altri due nomi temporanei della polivalente e polifunzionale Vieste, ma sempre in sostituzione dell’Ellesponto di Omero. Ma sisto di Istia presente nel latino aestus che vale anche come punto orbitale del Sole durante il suo percorso sul sentiero solstiziale estivo, cioè sul preciso sentiero percorso dal Sole il giorno del solstizio d’Estate, tuttora presente nell’attuale nome greco di Vieste: figlia dell’eternità, dell’immortalità, dell’antichità, di esclusiva grecità, dell’Aurora, dell’Oriente, del Mattino, del Greco. Giorno solstiziale orbitale, o sisto, o aestus, lo stesso di esclusiva grecità, da cui l’identità di Vieste come la mai identificata città di origine della Megale Ellas, poi Magna (di età) Greca e, per estensione, la Magna Grecia per l’Italia (non solo meridionale!). Giorno solstiziale estivo in cui il Sole spunta di fronte a Vieste esattamente da dietro la punta nord occidentale del suo Scoglio.

      Invece il giorno della venerazione di S. Mario ricade il 19 Gennaio di ogni anno ma che come festività certamente esisteva nel precedente calendario, poi romano, e da cui si evince il distaccamento ufficiale della Chiesa dei nomi di Maria e di Mario. Infatti, oltre il quasi mondiale festeggiamento del Blue Monday, che viene dall’inglese Moon: Luna indicante il malinconico, il deprimente giorno della Luna ricorrente il terzo Lunedì del mese di Gennaio a quanto ora si dice per le feste passate, ma più certamente per essersi resi conto del superamento del triste periodo di minore luce del giorno appena passato, questo mese di Gennaio è volgarmente conosciuto pure come quello “delle secche marine” dovute sia alla progressiva diminuzione della temperatura del mare durante i mesi autunnali e ormai quasi pieno inverno; sia alla maggiore vicinanza della Terra al Sole rispetto al quale nel suo moto di rivoluzione aveva già raggiunto il punto massimo di vicinanza del suo obliquo ellisse; sia della minore inclinazione dell’asse polare della Terra rispetto al fisso Sole il giorno del solstizio invernale ricadente di fatto il 21 Dicembre. Festa di S. Mario che, quindi, nasce da un già iniziato periodo di nuovo allontanamento della Terra dal centrale Sole che, nella iniziale e totale disconoscenza nei tempi antichi di questo naturale avvenimento nello spazio, con la ricorrenza e venerazione di questa festa venivano dal popolo sollecitate con preghiere a cessare questo temuto disseccamento delle acque sulle coste marittime, nell’interesse degli allarmati abitanti della Terra, uno dei sette pianeti del Sole. Come pure il verificarsi del desiderato da tutti allungamento della luce del Sole durante il giorno che di fatto alla fine del mese di Gennaio e dopo oltre un mese dalla ricorrenza del solstizio invernale ha già guadagnato circa un’ora in più di luce al giorno. Quindi una festa nata certamente dai tempi remoti e che veniva osannato con le preghiere dei timorosi primitivi popoli della Terra, anche se per un iniziato evento naturale.

       Ma anche perché il giorno di Natale era fissato in un primo tempo il 21 Dicembre, giorno del Solstizio Invernale, poi passato temporaneamente al 23 ed infine al 25, ma in sostituzione della festa preromana in onore del Sol Invictus: Sole Invitto, poiché imperterrito continua a spuntare ogni giorno ed anche perché, contrariamente alla realtà, fino al 1500 si pensava che il Sole ruotasse intorno alla Terra, disconoscendo la diretta presenza  del Sole, greco e latino Helios diminutivo Helì, nel giorno di Domenica, che prende il nome dal latino dominus: padrone, sinonimo di padre, perché da solo e da sempre in pieno giorno illumina il Cielo. Quindi festa dovuta per il ritorno con questo primitivo 21 Dicembre al naturale allungamento delle ore della luce del Sole durante il giorno e da cui iniziava pure il nuovo anno, poi adeguato nel rispetto dei due giorni fissi degli Equinozi Solari, primaverile il 21 Marzo, ed autunnale il 23 Settembre. Cioè giorni di pari durata delle ore notturne e diurne perché coincidenti con il percorso sull’obliquo ellisse della Terra il cui equatore in questo giro di rivoluzione viene a trovarsi in modo parallelo a quello del fisso Sole. Tra i cui predetti giorni inserire l’Alba Polare e il Giorno Polare di semestrale illuminazione del Polo Nord che di fatto viene determinato anche dall’aumento della progressiva inclinazione dell’asse polare della Terra verso il fisso Sole. Come pure nell’intermedio giorno del Solstizio d’Estate, 21 Giugno, il più illuminato dell’anno dovuto al massimo allontanamento e abbassamento dal fisso Sole del pianeta Terra durante il suo obliquo percorso ellissoidale e raggiungendo pure la massima inclinazione del suo asse polare, da cui dipende pure la progressiva maggiore estensione della luce solare sull’emisfero settentrionale del Globo terrestre. Con il conseguente e progressivo allungamento della luce del giorno in periodo primaverile ed estivo con inizio il 21 Marzo e fine il 23 Settembre. Per naturale inversione del percorso ellissoidale della Terra rispetto al fisso Sole, dal 23 Settembre al 21 Marzo l’emisfero settentrionale della Terra subisce le maggiori ore di buio notturno dovuto pure alla minima inclinazione orbitale dell’asse polare della Terra che durante il suo obliquo ed opposto percorso ellissoidale si pone sulla parte più alta e più vicina al fisso Sole che in quest’ultimo periodo illumina e riscalda in forma maggiorata l’emisfero meridionale della Terra, contribuendo però ad una maggiore desertificazione del suo emisfero meridionale.

Prof. Giuseppe CALDERISI, nato a Vieste il 01.02.1943

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