Al di fuori dei confini regionali ci sono milioni di turisti che sono legati «molto» o «moltissimo» alla Puglia, persone che non devono essere convinte a visitare la bellissima regione perché non vedono l’ora di mettersi in viaggio per raggiungere questo luogo del cuore, e avrebbero bisogno soltanto di una cosa: un po’ di organizzazione. Anzi, per la verità, sono più che turisti, sono milioni di potenziali “ambasciatori”.
È questa una delle conclusioni cui è giunto lo studio «Dai flussi migratori ai flussi turistici: il turismo delle radici in Puglia», a cura di un gruppo di ricerca composto da Vito Roberto Santamato, Nicolaia Iaffaldano e Francesco Domenico d’Ovidio dell’Università “Aldo Moro” di Bari, da Sonia Ferrari dell’Università della Calabria e da Ettore Ruggiero (consulente presso Tecnopolis Novus Or- tus, Valenzano e docente a contratto presso l’Università degli Studi di Bari), e con la collaborazione di Tiziana Nicotera consulente di marketing del turismo e “cultore della materia” presso l’Università degli Studi della Calabria.
I risultati saranno presentati alla Bit, la Borsa internazionale del turismo di Milano, domenica alle 15.30.
Alcune anticipazioni.
Santamato spiega: «La ricerca ce l’hanno commissionata a settembre dell’anno scorso da PugliaPromozione (Agenzia Regionale del Turismo pugliese; ndr) e l’abbiamo svolta attraverso Tecnopolis, società in house di UniBa, arrivando a un elaborato che conta ben 130 pagine».
«È stato sottoposto un questionario a un campione di nostri corregionali che vivono fuori dai confini regionali, si tratti di Milano, Perugia Treviso, o anche di persone che vivono all’estero – continua il professore – perché entrambi sono da considerarsi “turisti delle radici”. E noi ci siamo chiesti e abbiamo chiesto: queste persone possono essere considerate “ambasciatori” della Puglia?
La risposta è stata unanime quasi tutti si sentono “ambasciatori” e possono essere un ponte con le realtà in cui vivono. Non c’è da fare promozione con loro, e lei sa che il turismo vive di promozione, perché la maggior parte di loro vuole tornare, per turismo, per studio, per interessi culturali, per ritrovare le proprie origini».
Quanti sono? «Dal momento che l’Enit, l’Agenzia Nazionale del Turismo, ha stabilito che i nostri connazionali all’estero sono tra i 60 e gli 80 milioni e dal momento che la Puglia è una delle principali regioni che ha contribuito al fenomeno migratorio – ragiona Santamato – possiamo sicuramente dire che siamo nell’ordine di qualche milione di potenziali turisti».
«Altro aspetto scandagliato – illustra l’accademico – attiene a come convogliare questo flusso? La risposta è che devono essere aiutati a organizzarsi a venire e poi devono essere accolti. Anche perché il vero turista delle radici non è l’emigrato, ma il figlio, il nipote, e di solito non parlano italiano. Al massimo parlano un dialetto strettissimo e, siccome il dialetto si evolve, se lo parlano, non li capisce nessuno. Come farli venire?
Secondo me giocano un ruolo fondamentale le Associazioni dei nostri corregionali, sono più di 200 nel mondo. Noi abbiamo intervistato i presidenti di 10 di esse, tre in Italia, tre in Europa e quattro nel mondo. Dai presidenti delle Associazioni è venuto fuori che loro vogliono essere coinvolti. Non per vanità, ma perché possono favorire i rapporti con gli eredi dei nostri emigrati che magari oggi sono il presidente della Fiera o della Camera di commercio locale».
«Io – conclude – sento molto parlare di bike tourism, di cammino lento. Interessante, certamente. Ma di quante persone parliamo? Di 100 mila persone? Qui parliamo di milioni di persone che non devono nemmeno essere convinte a venire. Con loro la promozione non serve. Devi solamente organizzare, che è quello che manca alla nostra regione.
Inoltre, al di là di alcune eccezioni, come l’Argentina che si dibatte in difficoltà economiche, parliamo di gente altospendente, non parliamo solo del saccopelista qui. E i prodotti locali? Loro vogliono tornarsene in Canada, in Australia, con i carichi di olive sottolio e caciocavallo.
Si immagina che business sarebbe per i produttori locali? E ricordiamo che il turista delle radici è diverso dal turista scandinavo. Lui vuole andare a vedere il suo paesino di origine, vuole i profumi della terra dei suoi nonni. E in quei piccoli borghi vogliono tornare, a tutto vantaggio delle economie locali. Vorrei se ne occupasse di più la Regione, tanto più che il 2024 è proprio l’anno del Turismo delle radici».