Una modifica ai regolamenti regionali permetterà (ufficialmente) l’ingresso delle società di capitali nella gestione delle strutture odontoiatriche in Puglia, e aumenterà il fabbisogno (il parametro che fissa il numero di strutture) consentendo l’apertura di nuovi centri.
La novità, che deriva anche dall’attuazione delle norme europee sulla concorrenza, ha però aperto un fronte di scontro con i presidenti degli Albi odontoiatrici della Puglia: «Se la logica del profitto prevale sulla tutela della salute, si rischia di non fare l’interesse dei cittadini».
Il tema sono le cliniche low-cost, che già esistono, e che – dicono gli odontoiatri – spesso sono soltanto uno specchietto per le allodole. «Non si può mandare la gente a curarsi nei supermercati – dice Belinda Guerra, presidente dell’Albo di Bari -. Le società devono essere tra professionisti e non tra imprenditori. Ai cittadini dobbiamo spiegare bene i rischi che corrono rivolgendosi a chi sottrae loro soldi con l’illusione di pagare poco per volta. Chi va in Albania per gli impianti a volte subisce vere e proprie mutilazioni».
I rappresentanti degli odontoiatri hanno chiesto un nuovo incontro alla Regione, che – nel frattempo – non procederà con l’approvazione definitiva delle modifiche già discusse in commissione Salute.
Ma l’assessore Rocco Palese non ci sta a passare per il difensore degli studi odontoiatrici low-cost. «Il mio interesse – dice – è salvaguardare la qualità delle cure. Anche le case di cura sono gestite da società di capitali, a volte pure da fondi, quindi è un falso problema. Noi non vogliamo aprire agli studi low-cost, ma vogliamo dire sì a chi fa le cose seriamente indipendentemente dalla forma societaria».
E in questo senso si spiega la proposta di alzare sensibilmente l’attuale fabbisogno, da una struttura ogni 500mila abitanti (cioè otto in tutta la Puglia) a una ogni 60mila abitanti. «Trovo scandaloso – dice Palese – che i cittadini, per trovare una struttura odontoiatrica specialistica in cui c’è anche l’anestesia, debbano fare cento chilometri.
E non si tratta di forma societaria. Vorrei evitare che per ottenere una prestazione odontoiatrica il cittadino sia costretto ad andare in Albania visti i costi elevatissimi che ci sono sul territorio. Vorrei che si generi una sana concorrenza».
Da anni gli studi low-cost sono ormai una moda, come lo è il turismo odontoiatrico sia in Ue (Malta, Romania) che fuori dall’Unione (Albania): un sistema che tenta di rendersi attrattivo con tariffe più basse rispetto agli studi tradizionali, offrendo a volte anche la vacanza.
Le catene low-cost possono già aprire in Puglia anche senza il nuovo regolamento (ottengono l’ok sanitario dalla Asl e operano come se fossero studi associati), ma d’altro canto una delle modifiche predisposte dalla Regione è pensata proprio per evitare che gli studi odontoiatrici facciano capo alle società di capitali.
Gli odontoiatri vorrebbero ancora di più: limitare il via libera alle sole società tra professionisti (quindi non alle «srl»). Ma la Regione non può farlo: violerebbe le norme in materia di concorrenza e rischierebbe un procedimento davanti all’Antitrust.
La questione è insomma complicata, come è complicato pure il problema dei titoli di studio. Gli ispettori del Nirs stanno approfondendo il caso di otto odontoiatri laureati in Romania che operano in Puglia in regime di libera circolazione, con titoli di studio su cui l’Università di Bari ha già espresso molti dubbi (ha respinto la richiesta di riconoscimento, rilevando la mancanza di esami ritenuti fondamentali). Anche in questo caso, per il cittadino non è semplice orientarsi.
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