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STORIA DELLO SCOGLIO E ALTRE NUMEROSE PROVE SULLA REMOTA CITTÀ DI VIESTE QUALE INCONTESTABILE PATRIA DI OMERO, IL PIÙ GRANDE POETA DI TUTTI I TEMPI E DEL MONDO. (4)

(…) A dimostrazione dell’identità di Vieste come prima città della terra qual é sia nel suo toponimo di Pizzomunno pure come entità demografica, insito nella punta di (S.) Eugenia, come buona genia che ha anche altri risvolti tra cui: il significato geografico, riferito alla posizione più avanzata di questo Scoglio sul mare verso oriente, lo stesso di aurora, di città greca, presenti tuttora nel nome Vieste; il significato cronologico, collegato al fatto che l’oriente è il punto di perenne origine del sole e della vita, a cominciare da quella divina come l’eternità e l’immortalità presente in Eòs da cui este di Vieste e particolarità presenti nei titoli dei due libri esuberanti di notizie storiche pubblicati dallo scrivente; il significato demografico, poiché dalla regione chiamata Mesopotamia provenivano per mare tutti i popoli che dopo lo sbarco e la temporanea permanenza a Vieste si disseminarono per tutto il resto del Continente, ora Europa, venendo talvolta scacciati dalle successive ondate migratorie (Seneca). Ma Vieste come prima città della nuova Terra anche col nome di Licosura (??) fondata mitologicamente dagli omerici Argonauti imbarcati sulla nave Argo alla ricerca del Vello d’Oro e già identificata con lo Scoglio pure nell’identità della loro mitica nave affondata con la chiglia all’insù quale in effetti sembra questo Scoglio una volta spogliato di tutto; per l’individuazione del Parnaso, altura accaparrata come tutto il resto riguardante Omero dall’attuale Grecia, ivi compresa la sua nascita di cui ben sette città tuttora si vantano vanamente di averla data, ma che è sempre il viestano Montarone a ridosso dello Scoglio nell’identità di Arca, sia per quella degli omerici Deucalione e Pirra che dopo il Diluvio Greco di nove giorni di pioggia, gli stessi necessari per fare sprofondare Troia, viene fatta approdare sul Parnaso, ora generico monte greco, accaparrato dall’attuale Grecia, ma da situare a Vieste come città Magna Greca poiché è lo stesso monte dove Odisseo, secondo Omero, venne ferito dalla zanna di un cinghiale, da cui il nome Ulisse, ferito. Deucalione e Pirra con i loro sassi gettati rigenerarono i primi immacolati nuovi abitanti della Terra, maschi per quelli gettati da Deucalione, e femmine, per quelli gettati da Pirra; sia la documentata biblica Vesta fondata come prima città della nuova Terra da Noè dopo il Diluvio Universale di quaranta giorni di pioggia la cui Arca, secondo la Bibbia, approda sul monte Ararat, che dal gr. ar-arat da ara sta sia per un monte “per davvero funesto” per l’avvenuta fulminea morte di Vesta, moglie di Noè, sia per un monte “per davvero desiderato” come agognato approdo per un altro nome, e soprattutto continuità, del Montarone nell’identità di Pizzomunno sul quale innegabilmente c’è la città di Vesta, anche per le dimensioni bibliche dell’Arca simili a quelle dello Scoglio viestano. Ma anche perché mitologicamente l’ara era genericamente il luogo dove si compiva il sacrificio col fuoco, indeuropeo ur da cui la sacrificata Uria, lo stesso di Troia, ma che diventa pure un pubblico altare presente nel significato del nome Estia, per Vieste in quanto pure altare dell’omerica Myrina, ora S. Maria di Merino.

      Città di Vieste che per quanto appena accennato e nella sua identità come polivalente e polifunzionale Uria è certamente la città nativa degli Urani. Nome che ha origine dall’indeuropeo ur, analogo di pol da cui la greca polis, città, dato per prima alla Troia di Omero, quindi strettamente connessa a Vieste in quanto Pizzomunno. Ma polis di Troia derivante dalla sola presenza del Pergamo di Priamo che, trovandosi su una rocca non poteva essere sprofondata come la sottostante paludosa Ilio, o Troia. Pergamo che viene ricordato storicamente da Seneca come la sola Torre rimasta in piedi della grande Troia; dal Giuliani quando cita i resti di un grande fabbricato, di cisterne comunicanti e di una comoda strada per salire sulla rocca di Caprareza e testimoniata più recentemente da A. Russi come il Castellum Marini esistente fino al 1400 con la funzione di uno dei punti di confine dei territori di Vieste e Peschici. Resti riferibili alla rocca viestana di Caprareza, che dal greco capra(ina)-rezò ha il significato di una Troia sacrificata o data in sacrificio. Rocca di Caprareza che per vista domina la spiaggia e il mare di Scialmarino, la sepolta dal fango Merino e l’intero Piano della Battaglia,più conosciuto come Piano Grande, ma per età, quindi pure antico, lo stesso di greco. Con davanti alla sepolta dal fango Troia, ora Merino, “u Munduncidde”, per una piccola duna, che è la collina bassa accessibile da ogni lato che Omero identifica come sacrario, altare, tomba (gr. sema) della molto balzante Myrina, riconosciuta subito dallo scrivente sia perché collinetta visibile dal vigneto di suo padre e sia dalle funzioni religiose che si svolgono tuttora su questa collinetta. Sulla quale, secondo Omero, 11.000 Troiani, Heneti e loro alleati attendevano lo scontro con gli Achei, che prendono il nome dalle punte (gr, acis) dei corni del Montarone, o Argivi, dal gr. argo: bianco, che prendono il nome dalle bianche rupi calcaree del Montarone, o Elleni, che prendono il nome dall’antichità del Montarone che, col nome di Istia, da isthemi, diventa il punto fermo di un passaggio stretto dell’Ellesponto nella poesia di Omero poi identificati da altri e dal VII sec. a.C. come Greci. Ma Greci nativi di Vieste per il percorso del Sole nel giorno del solstizio d’estate presente nel sisto e nell’aestus dei Vest(y)sène che sono da identificare come appartenenti alla Magna, cioè antica, Grecia e non all’attuale Grecia. Dunetta di Myrina attualmente destinata a prioritario altare di S. Maria di Merino da cui per conseguenza nasce il primitivo nome Estia per Vieste. Dalla funzione, poi anche storica, di questa poetica e favolosa dunetta nasce il nome di Ia-pyga Mes-apia poi esteso come sempre a tutta la sola Puglia. Ma che dal greco ia: unica, solitaria, monade che già di per sé conduce a una Troia che diventa univoca pure con un porco o con una scrofa presente nel gr. us-uos anche come abbreviazione di Uios presente in Ui di Vieste già identificata come una affondata Troia che si realizza con l’affondamento di Uria, poi latino sus, suino: pygah, troia, tuttora presente come maiale o scrofa nell’attuale inglese pig; mes, centro; apia, della antichità, conducendo ad un’unica, solitaria, monade Troia centro dell’antichità che vale per la Troia di Omero pure come esclusiva proprietà viestana e nomi che da soli servono ad escludere definitivamente da qualsiasi altra pretesa l’attuale Grecia. Più centralmente a questo Piano della Battaglia ed oltre il Canale della Macchia, identificato da Omero come lo Scamandro, facendolo originare da due sorgenti: l’una fredda, per il ramo proveniente dalla parte interna al Cutino del Rospo, forse in origine un più nobile Cutino del Corvo,presente in Omero come corax petre in quanto sede di Eumeo, fidato porcaro di Odisseo; l’altra calda perché parte del suo letto si trova sulla soleggiata collina della Macchia, da cui il Canale della Macchia, che dal greco make: battaglia, luogo di battaglia, diventando lo stesso sul quale si è combattuto la più cruenta battaglia della guerra di Troia. Ma sorgenti che con queste due opposte identità si conservano storicamente a Vieste laddove per quella calda viene tramandata da Strabone per tutte le sette correnti facenti parte del caldo monumento chiamato Timavo comprendente l’isola abitata col nome Teuthria, biancastra, per il calcareo Montarone, e sette correnti d’acqua salmastra tranne una di acqua buona. Ma Timauon che da timao-auo sta per l’onorare con lamenti che vengono fatti dai compagni di Diomede addolorati per la sua morte, sempre Vieste pure come città di sua nascita, Argo, bianco del calcareo Montarone. Compagni tramutati in uccelli tramite una metamorfosi, tranne uno, che per lo scrivente è certamente l’omerico compagno di Diomede, Teuthrante da cui la falsa isola di Teuthria per il Montarone, il cui istmo Diomede avrebbe voluto tagliare per renderlo una vera isola, ma che non riuscì per sopravvenuta morte. Ma compagno di Diomede che certamente sposa la sirena Uria fondando la città col nome di lei (Tarquinio Maiorino). L’altra fredda viene mitizzata con la sorgente fredda come il ghiaccio che scorre in Cere, latino Caere, altro temporaneo nome di Vieste, figlia del Mattino, che con questo nome ha avuto molta parte nella fondazione e nella formazione marinara di Roma e città che ha rinnegato la pirateria e codificate le regole marinare trascritte nelle famose Tavole Ceretane. Caere viene associato alla greca Agylla: la via maestra in sostituzione dell’Ellesponto di Omero.  E identità di via maestra che si realizza con il nativo viestano poi romano Giano, che prende il nome da Vieste come Divina Porta (ianua) della Madre Terra, e passaggio (ianus) sull’antico sentiero del largo, vasto e alto mare verso l’Aurora dell’Ellesponto di Omero. Giano che da questa derivazione diventa sinonimo del dio del Gargano Pilunno, portone, lo stesso del mitico romano divino Portuno, o Portunno, personificazione del Pantanella come porto dall’entrata stretta di Skeria capitale del Continente Apeira e poi porto con l’entrata stretta del Continente Atlantide di Platone, che come porto fu generato mitologicamente dall’ultima pedata data sulla battigia da Orione, personificazione di Vieste come estremo limite (orion) della Terra e da cui il Monte Orione esteso a tutto il Gargano, quando era alla ricerca di Eòs, l’Aurora, per cercare di recuperare la vista perduta. Ma Giano che con l’epiteto di matutino, o di pater matutinus, si riproduce nel saluto Charie, da cui la latina Caere, italiana Cere, per l’attuale “ciao” equivalente al megale charie, cioè al buon giorno pure dei primitivi Romani. Nome di Cere che dal greco carios e ciarios indica sia il luogo e sia il momento favorevole, poi nato come temporaneo nome di Vieste dalla risposta charie data da una sentinella di origine tessale alla domanda fatta alle prime luci dell’alba in quale luogo erano approdati gli assalitori Lidi che poi furono Thyrreni,che a loro volta prendono il nome dal gr. thura, indeuropeo turah, porta, presente nel Montarone nell’identità di Pizzomunno e di Vieste inneggiata come Divina Porta della Grande Madre Terra sulle iscrizioni su pietra viestana.

      Omerico fiume con due sorgenti d’acqua fredda e calda dello Scamandro, o Canale della Macchia, per il canale sul quale in piena si combatté la più cruenta battaglia della guerra di Troia interamente descritta da Omero nell’Iliade. In adiacenza del quale c’è tuttora pure “u Muntincidde”, un Monte piccolo e bello, che equivale alla Bellacollina di Omero che in realtà si trova sul lato opposto al Canale della Macchia e alla rocca di Caprareza a sua volta situata sopra la sepolta dal fango Merino, territorio viestano che coincide in tutto e per tutto con le indicazioni di Omero. Poeta che, inoltre, situa il luogo di pascolo di 3000 cavalli troiani nei suoi Paduli (sic!), che sono le viestane “Paduli Mezzène”, Paludi Mezzane, laddove è tuttora presente la più lunga e larga corrente viestana che viene alimentata gradualmente con le acque delle sorgenti sgorganti in diversi punti al suo interno. Ma Paludi Mezzane che prendono il nome dal greco meizon (dal gr. megas) identificanti come le Paludi Antiche. Cavalli di Troia che trovavano il loro riparo nel Piano della Battaglia precisamente località detta il Mandrione, nome che sta per l’essere stato un ampio recinto di grandi animali, in questo caso di famosi veloci cavalli quali sono quelli di Troia, per Omero, poi definiti più veloci che belli da Strabone. Veloci cavalli che secondo Omero erano stati generati da Poseidone che con il suo alito rese pregne 12 giovani giumente che con altri numerosi cavalli stavano lavandosi gioiosamente nel mare di Scialmarino. A proposito dei discendenti di questi cavalli Strabone (Italia) che, senza conoscere Vieste, racconta molti altri fatti che la riguardano e di cui tra l’altro scrive: “Fra la quinta e la sesta pietra miliaria c’è un luogo chiamato Festi(Festoi, quindi anche Vesti per la permuta dell’iniziale digamma)) che indicano come confine della terra che allora era dei Romani. I sacerdoti celebrano qui e in diversi altri luoghi considerati confini un sacrificio, dappertutto nello stesso giorno, che chiamano Ambarvalia (.) Poichè però non poteva ottenere per essi (Sabini!) il diritto di contrarre matrimonio con i popoli vicini, fece annunciare la celebrazione di una gara ippica consagrata a Poseidone che ha ancora luogo ai giorni nostri (.) Essendosi riuniti in molti, la maggior parte Sabini (= uomini forti), ordinò a quelli che volevano sposarsi di rapire le vergini quì convenute“. A Vieste nell’identità di Pizzomunno, lo stesso del testè’indicato confine della terra, questa corsa si corre tuttora il 23 Aprile di ogni anno. Dapprima sulla spiaggia di San Lorenzo più vicina al mare dove questi veloci cavalli furono concepiti in un primo tempo da Poseidone, secondo Omero, ora dopo la costruzione dell’attuale porto artificiale si corre sulla spiaggia della Scialara. Ora in onore di S. Giorgio, nome che indica l’orgia, la festa della Terra, remotamente considerata una gigantesca pizza. Ma festa dedicata ai giovani in quanto innovatori della generazione umana e pizza che, preparata dai genitori e messa in un fagotto insieme con un quarto di vino in una piccola bottiglia, viene inevitabilmente tuttora mangiata e bevuto come tacito segno di rinnovamento della Terra, la cui data è la stessa da cui inizia la definitiva maturazione del grano e della definitiva disseccazione delle sue spighe in un primo tempo dedicate a Demetra. Ma Festa della Terra contenuta in georgia, od orghe, che è presente nella località viestana detta “la Gioia”indicante Gea, la Terra. Festa che veniva fatta originariamente in onore di Demetra che veniva onorata con serti di fiori, poi chiamati di S. Giorgio per una specie di piccola margherita, che venivano stesi tra le inferriate di balconi opposti sulle strade di passaggio del suo simulacro e divinità presente in alcune iscrizioni su pietre viestane e nella sua iniziale sillaba De-metra in quanto dea della Madre Terra. Come pure festa per la preparazione del germogliare della vite da cui origina il vino immancabilmente bevuto dai ragazzi e tuttora utilizzato nei riti religiosi. Ma festa di S. Giorgio, che oltre ad essere anticamente fatta in onore di Poseidone con la corsa dei cavalli di sua discendenza (Strabone), veniva fatta originariamente pure in onore del dio del vino Dioniso, o Bacco, che nell’epiteto di liber, derivante dall’essere un dio irrefrenabile anche per l’effetto del vino da costoro patrocinato, che bevuto in una certa quantità libera l’uomo dai mali del mondo. Ma liber che si conserva tuttora nel nome della Chiesa della Madonna della Libera in cui ora viene celebrata la messa in onore di S. Giorgio. Mentre per l’altro suo nome di chiesa di S. Maria delle Grazie c’è da aggiungere che le Grazie sono presenti in Omero e che nelle loro prerogative mitologiche rappresentano le principali fasi della Luna che per le derivanti maree e le conseguenti piogge rendono fertile la Terra, oggetto di questa festa che col nome Ge-orge diventa certamente di origine greca, o antica.

        Per una questione di discordanti interessi economici relativi al commercio di questi famosi e veloci cavalli troiani presenti in Festi, Eracle, secondo Omero, da solo distrusse Dardania, la primitiva Troia, il cui antico sentiero del largo, vasto e alto mare verso l’Aurora, insito tuttora etimologicamente nel significato di Ellespontos è stato situato erroneamente sul canale marittimo stretto tra due terre del Bosforo individuato unitamente agli Elleni da almeno il VII sec. a.C. come lo “Stretto dei Dardanelli”, poiché usurpato dall’attuale Grecia insieme con tutto il resto riguardante la poesia di Omero che, come è evidente da questa relazione, ha tratto ispirazione unicamente da luoghi viestani.

Il nome di Eu-femia, la bene famosa, è quello che presenta maggiori riscontri che superano l’aspetto divino di Eugenia, dei cui Euganei si è riferito, assume una forma più umana a cominciare dall’argonauto Eufemo e il cantore Femio, ma sempre straordinaria.

Sulla base di tutte queste testimonianze, dedotte anche dallo studio di libri di numerosi storici antichi, lo scrivente rivolge ancora una volta un appello alla del tutto informata e finora rimasta muta Assessora alla Cultura del Comune di Vieste, agli altri membri della Giunta Municipale, al Sindaco di Vieste, a tutti i Consiglieri Comunali, a tutti gli impiegati comunali, a tutti i professionisti viestani, agli acculturati imprenditori turistici e a tutta la popolazione viestana, anche se in genere è refrattaria alla lettura di battersi all’unisono per la realizzazione di un grande monumento bronzeo per il viestano e soprattutto vedente del tuttora vagante Omero, il più grande poeta di tutti i tempi e del Mondo che fortunatamente è stato certamente un nativo Viestano poiché certi fatti da lui raccontati, e qui identificati e testimoniati pure dai rispettivi toponimi, rimangono scolpiti nella mente soltanto da quando si è ragazzi. Una cittadinanza scoperta già da 34 anni dal solo scrivente per la prima volta della storia e dopo circa 30 secoli dalla sua approssimativa data di nascita, ricavabile semplicemente da questa relazione contenente tutti i più significativi luoghi dell’Iliade e quelli affrontati da Ulisse nell’Odissea unitamente al significato di Iapyga Mesapia, come la monade Troia al centro dell’antichità che si trova pure sacrificata nel toponimo Caprareza, localitàdominante Merino, l’omerica Myrina altare di Troia, ma nominativi che per estensione sono passati alla sola Puglia. Significati da sventolare come immediata testimonianza per eventuali ed immancabili contestazioni future, sempre per recondite questioni di interesse, e che qualora questo monumento bronzeo venisse realizzato in un luogo ben visibile anche dai molti turisti, aumenterebbe le prospettive delle future generazioni viestane, della futura città di Vieste, del futuro del Gargano e dell’intera Italia i cui abitanti vivrebbero di maggiore nobiltà culturale e migliori rendite economiche.

Un sentito ringraziamento va dato a tutti i lettori, a cominciare da ninì delli Santi, che ha dato allo scrivente la possibilità di divulgare su “retegargano” tutte le mie ultime veritiere relazioni su Vieste, città Pizzomunno in tutte le sue essenze e soprattutto perché, come si può facilmente dedurre, è certamente stata l’incontestabile patria di Omero.

Prof. Giuseppe CALDERISI, nato a Vieste il 01.02 1943