UNIVERSO, UN DISEGNO POCO INTELLIGENTE: LA SCIENZA NON PUÒ DIMOSTRARE L’ESISTENZA DI DIO
Riemerge l’idea che i risultati della ricerca possano avvalorare l’ipotesi di una divinità artefice dell’universo. Ma non è così: un fisico e un teologo spiegano perché.
Quando a metà del secolo scorso cominciò a essere chiaro che l’universo che vediamo è emerso da una grande esplosione circa 14 miliardi di anni fa, ci fu chi cercò di leggere in questa scoperta di carattere prettamente scientifico una conferma dei racconti della Genesi. Dopo una breve tentazione iniziale, la Chiesa cattolica resistette saggiamente alla tentazione di cadere in questo sciocco equivoco.
Oggi la scienza esplora la possibilità che l’Universo possa essere esistito anche prima del Big Bang. Se teologi o papi avessero preso sul serio l’idea che il Big Bang fosse la Creazione della Genesi, si troverebbero ora in grande imbarazzo, nel dover rendere conto di un universo fisico prima della Creazione.
Come ci ripetono all’unisono i migliori scienziati e i migliori teologi, cercare prove per le verità della Fede nella scienza è una sciocchezza. Su ben altri livelli può svolgersi un dialogo proficuo fra le diverse forme del nostro pensiero o della nostra spiritualità.
Ma le sciocchezze tendono a ripetersi. Recentemente, va di moda un presunto argomento scientifico che intenderebbe fornire le prove dell’esistenza di Dio. A detta di alcuni, certi risultati in fisica e cosmologia mostrano che l’universo che vediamo debba emergere da un «disegno intelligente». Proviamo a riassumere alcuni passi di questo argomento.
L’argomento parte da un’osservazione corretta. La descrizione del mondo fisico elaborata durante gli ultimi due secoli si basa su alcune equazioni, dove compaiono certi numeri, chiamati «costanti fisiche», come la massa delle particelle elementari o la costante cosmologica.
Queste costanti sono state misurate sperimentalmente, e fanno parte della attuale descrizione fisica di base del mondo. Non sappiamo perché abbiano i valori che hanno. Forse un domani la scienza permetterà di calcolarle a partire da qualche teoria più fondamentale, come è successo per esempio per le costanti che descrivono le proprietà degli elementi chimici, che ora sappiamo dedurre dalla meccanica quantistica, ma per ora le prendiamo come fatti del mondo.
Ora, diversi lavori scientifici hanno mostrato che se queste costanti avessero valori diversi da quelli che hanno, il mondo come lo conosciamo non esisterebbe. Fenomeni molto generali, come la nascita e la vita delle stelle, o la possibilità della biosfera come la conosciamo, o addirittura l’espansione stessa dell’universo, non sarebbero potuti avvenire se queste costanti avessero avuto un valore diverso da quello che hanno.
In alcuni casi, si può mostrare che basterebbe una minutissima variazione di queste costanti per rendere impossibili i fenomeni che conosciamo. Non abbiamo idea di come sarebbe l’universo se queste costanti avessero un valore diverso. L’universo è di gran lunga troppo complicato per poterlo «prevedere» sulla base delle sole equazioni fondamentali. Anche con le costanti come sono, nessuno sarebbe capace di dedurne che nell’universo ci sono stelle, montagne, alberi, persone e poesie, guardando solo le equazioni fondamentali.
Ma siamo certi che stelle, montagne, alberi, persone e poesie, così come le conosciamo, non esisterebbero se le costanti fisiche avessero un valore diverso da quello che hanno. Il termine che si usa comunemente per descrivere questo fatto è il termine inglese fine tuning, che significa «regolazione fine». Le costanti fisiche fondamentali, si dice, sono «finemente regolate» per dare l’universo come lo conosciamo. Fin qui, è tutto corretto.
Ora viene l’argomento sbagliato. È sorprendente — secondo questo argomento — che le costanti siano così finemente regolate proprio per dare l’universo come lo conosciamo, che include noi stessi: ne segue che ci deve essere stato qualcuno che le ha regolate a questo scopo.
Qualcuno con un disegno estremamente intelligente, che ha lanciato il mondo proprio con queste costanti, finissimamente regolate affinché il mondo sia quello che è, noi compresi. Questo è l’argomento del disegno intelligente.
Qualcuno scrive che molti scienziati prendono l’argomento del disegno intelligente sul serio. Non è vero. C’è qualche scienziato che dà credito a simili argomenti, ma rispetto alle decine di migliaia di scienziati nel mondo si tratta di sparute eccezioni, spesso motivate da un sincero — ma maldestro — tentativo di difendere le rispettive lealtà religiose. La pressoché totalità degli scienziati considera l’argomento del disegno intelligente sbagliato.
E in effetti, l’argomento è sbagliato. Vediamo perché. Immaginate di sfogliare un vecchio vocabolario, fermarvi su una pagina qualunque e leggere la prima parola che vedete. Supponiamo che questa parola sia «cerbiatto». Poniamoci la domanda di capire quali esatte condizioni del mondo sono state necessarie affinché fosse esattamente la parola «cerbiatto» e non un’altra ad apparirci.
Ovviamente se il nostro dito fosse stato una minuta frazione di millimetro più in su o più in giù non avremmo letto «cerbiatto». Se avessimo esitato un istante di più o di meno, mentre sfogliavamo le pagine, non sarebbe apparso «cerbiatto». Una straordinariamente precisa coincidenza di condizioni finissimamente regolate è stata necessaria affinché apparisse proprio la parola «cerbiatto».
Se queste fossero state anche minimamente diverse, non sarebbe apparsa la parola «cerbiatto». Possiamo dedurne che qualcuno abbia organizzato tutte queste condizioni proprio con lo specifico scopo di fare apparire la parola «cerbiatto» e non un’altra?
Vediamo un esempio più articolato. Il nonno paterno e la nonna paterna di Carlo si sono visti per la prima volta, giovanissimi, in una festa di paese in una cittadina delle Marche, la Pergola. Si sono subito piaciuti, e da questo evento ne è seguita la nascita del padre di Carlo e poi di Carlo stesso.
Ora immaginiamo che la nonna di Carlo, ragazzina, avesse posato lo sguardo, quel giorno, su un altro bel giovanotto del paese, magari perché il nonno di Carlo era stato chiamato un istante prima da qualcuno che gli chiedesse di aiutarlo ad andare a prendere qualcosa.
Una minutissima differenza di eventi di allora avrebbe determinato un corso delle cose per Carlo profondamente diverso: Carlo non esisterebbe. Invece di Carlo ci sarebbe qualcun altro, con ogni probabilità, ad avere per nonna quella ragazzina. Ora chiediamoci se questi fatti implicano che debba esistere un disegno intelligente che ha fatto sì che la parola apparsa fosse proprio «cerbiatto», o che nascesse Carlo invece che qualcun altro.
Evidentemente non lo implicano: qualunque evento è sempre tale che, se il passato fosse stato diverso, questo evento in generale non sarebbe avvenuto. Il secondo esempio dei due è diverso dal primo per un dettaglio importante. Poco ci importa, se invece di «cerbiatto» leggevamo «montagna» sul vocabolario. Ma l’idea di non esistere ci tocca molto da vicino. Per il mondo, non sarebbe poi molto diverso se io non esistessi, ma per me la differenza è enorme, perché rispetto alla mia scala di valori la mia esistenza è molto significativa.
Torniamo all’universo. Se le costanti della fisica fondamentale fossero diverse, come sarebbe il mondo? Non lo sappiamo. Ma sappiamo che noi non ci saremmo, perché il mondo che ci ha generato è quello di queste costanti, non di altre. Questo per noi ha un enorme valore. Quindi ci sembra, rispetto a ciò a cui noi diamo valore, che le costanti siano fissate «stranamente» proprio per generare ciò a cui noi diamo valore, cioè noi stessi.
L’errore che stiamo commettendo è di non vedere che noi abbiamo ovviamente valore, siamo ovviamente «speciali», ma lo siamo rispetto a noi stessi. Se l’universo fosse diverso, sarebbe quello che sarebbe. Probabilmente pieno di chissà quali altri ghirigori strani, come questo universo che ci ha generato è pieno di ogni sorta di ghirigori strani, fra i quali ci siamo anche noi.
Nulla, della stretta dipendenza di ciò che esiste dalle costanti, può legittimamente essere interpretato come prodotto da un disegno intelligente. Se la struttura e l’evoluzione dell’universo rispondono all’intenzione di un Dio Creatore, ciò non può essere dedotto dalle osservazioni e dalle misure proprie del metodo scientifico, ma può essere solo ipotizzato in base ad altre fonti di conoscenza, non strettamente empirica.
Non si può accedere alle intenzioni di una persona solo misurando le tracce lasciate dalle sue scarpe. Per individuare l’esistenza di un assassino a Sherlock Holmes non bastano gli indizi misurabili, ma ha bisogno di ipotizzare un movente, una finalità personale e intenzionale, non accessibile dal piano empirico.
Quanto abbiamo scritto non implica in alcun modo che cercare di capire perché le costanti dell’universo abbiano quel valore e non altri non possa essere un progetto scientifico fruttuoso. Né implica che sia necessariamente sbagliata l’ipotesi molto ardita, formulata da alcuni, secondo la quale potrebbero esistere universi con costanti diverse e noi saremmo (ovviamente) in quello con le costanti giuste che hanno dato origine alla nostra vita.
Infine, soprattutto, tutto ciò non è una critica a chi desidera leggere il mondo come l’espressione di un Dio Creatore. A nostro giudizio, questa lettura del mondo esiste su un altro piano, estetico, esistenziale, teologico, che può essere profondamente significativo e importante nella nostra interiorità. È la sciocca commistione di religione e scienza, che qui critichiamo, da scienziato e da teologo. Ci sembra tradisca tanto la razionalità scientifica, quanto la profondità e la ricchezza dell’esperienza religiosa.
Gli autori
Carlo Rovelli, fisico teorico e divulgatore, firma del «Corriere», ha insegnato in diverse università italiane e internazionali. Il suo libro più recente è «Buchi bianchi» (Adelphi, 2023). Giuseppe Tanzella-Nitti è professore ordinario di Teologia fondamentale presso la Pontificia Università della Santa Croce a Roma ed Adjunct Scholar presso il Vatican Observatory.
Il saggio
La tesi secondo cui l’esistenza di Dio può essere provata attraverso gli strumenti della scienza moderna è sostenuta nel volume di Michel-Yves Bolloré e Olivier Bonnassies «Dio. La scienza, le prove», edito in Italia da Sonda nella traduzione di Elisabetta Craveri.
carlo rovelli e giuseppe tanzella-nitti
corrieredellasera