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MAFIA/ L’OMICIDIO DI NOTARANGELO SVELATO DAI COLLABORATORI DI GIUSTIZIA

Tre collaboratori di giustizia tra i cinque arrestati per l’omicidio di Giambattista Notarangelo, il viestano ucciso brutalmente a colpi d’arma da fuoco il 6 aprile 2018 mentre badava agli animali nelle campagne della città del Pizzomunno.

Disposto il carcere per Marco Raduano detto “Pallone”, 40enne ex boss di Vieste, oggi collaboratore di giustizia e per i compaesani Michele Notarangelo alias “lo psicopatico” o “Cristoforo”, 28 anni e Michele Lapacciana detto “il Marinaio”, 28 anni.

Domiciliari per altri due collaboratori di giustizia, Danilo Della Malva detto “Il meticcio”, 38 anni e Orazio Coda detto “Balboa”, 35 anni. Tutti un tempo fedelissimi di Raduano.

Secondo l’impianto accusatorio ricostruito nell’ordinanza di 74 pagine della gip Cafagna, “Pallone” sarebbe stato il mandante mentre tra gli esecutori materiali ci sarebbe stato anche Antonio Fabbiano ucciso il 25 aprile 2018 nell’ambito della guerra di mafia tra il clan Raduano e il clan Iannoli-Perna, scissionisti dei Notarangelo di cui faceva parte Giambattista, cugino del boss Angelo Notarangelo alias “Cintaridd”, vittima di un agguato nel 2015, episodio che scatenò il conflitto a Vieste.

Gli indagati, escluso Lapacciana, avrebbero agito in concorso con il deceduto Fabbiano “con premeditazione e per abietti motivi”. Si sarebbe trattato, in sintesi, di una ritorsione: la vittima aveva importunato gli spacciatori del gruppo sottraendo loro la droga e parlando male proprio di Raduano di cui non riconosceva la supremazia criminale. Ma non è tutto, Notarangelo, sempre stando alla convinzione degli indagati, avrebbe contrastato la relazione sentimentale intrapresa da Della Malva con una donna in precedenza sposata con il cognato della vittima. Ma il clan avrebbe eliminato Notarangelo anche per acquisire nel territorio “un incontrastato controllo criminale”.

Stando alle carte dell’inchiesta, Notarangelo, Della Malva e Fabbiano avrebbero fatto fuoco sparando 16 colpi con due pistole e un fucile, “azione commessa su mandato e con l’assenso di Raduano” che aveva fornito le armi e l’auto usata per commettere l’agguato”. Lapacciana avrebbe invece occultato e in parte distrutto le armi utilizzate.

A riferire dell’omicidio sono stati Della Malva e Coda che si sono autoaccusati. Ma ne ha parlato anche il pentito Giovanni Surano detto “Lupin”, riferendo confidenze ricevute da Della Malva, Fabbiano e Notarangelo. Ulteriori dettagli sono emersi dalle indicazioni del collaboratore di giustizia Andrea Quitadamo detto “Baffino junior” di Mattinata.

Della Malva ha anche indicato i nomi del clan Raduano. “Anthony Azzarone, nipote del capo Marco Raduano; Orazio Coda, Michele Notarangelo, Michele Gala, Gianluigi Troiano, Michele Murgo, Stefano ed Enzo Langi detti ‘i falchi’, Antonello Scirpoli detto ‘musullin’, Giovanni Surano e Giovanni Cristalli detto ‘il malato’”. Ha poi indicato tra i “partecipi” Gianpiero ed Enzo Vescera e Antonio Fabbiano, vittime di agguato mortale da parte del sodalizio mafioso rivale.

Questo uno dei passaggi dell’ordinanza cautelare con i virgolettati di Della Malva: “Raduano, alcuni giorni prima (21 marzo 2018, ndr) era stato vittima di un tentato omicidio (“era successo che a lui lo avevano sparato”); aveva perciò commissionato ai propri accoliti di vendicare tale azione criminosa, mettendo nel mirino i fratelli lannoli o, in alternativa, Notarangelo, esponenti, tutti, della consorteria rivale (“lui mi ha detto che… noi dovevamo trovare i due lannoli, però non beccavamo, non trovavamo mai il… dove riuscire a prenderli diciamo, allora ha detto: se non riusciamo a prenderli c’è anche Giambattista”). L’intenzione sarebbe stata anche quella di “evitare che Fabbiano, Coda e Michele Notarangelo transitassero nell’opposta consorteria”. Raduano quindi aveva voluto “farli sporcare” macchiandoli di un fatto di sangue a danno di componenti della stessa”.

Coda, invece, ha spiegato che l’agguato fu un’iniziativa estemporanea di Della Malva, conseguente ad una minaccia rivolta alla compagna da parte di Notarangelo (che le aveva detto: “tu e il tuo nuovo ragazzo brutta fine dovete fare”). Dunque, una vendetta personale, nella quale aveva coinvolto maldestramente altri sodali, “sporcando” anche le armi del clan.

Queste invece le recenti parole di Raduano in persona dopo la sua decisione di collaborare: “In seguito al mio tentativo di omicidio, a causa del quale avevo riportato diverse ferite, per il quale ritenevamo autori lannoli Claudio, Gianni e Gianmarco Pecorelli, nel mio gruppo avevamo l’obiettivo di individuarli per vendicarci. Della Malva Danilo, Michele Notarangelo e Coda Orazio Lucio avevano questo compito. Giravano con un’auto rubata ed erano sempre armati. Hanno girato a vuoto senza riuscire ad individuarli. Tra loro la persona più autorevole era Della Malva. Un giorno sono arrivati i carabinieri a casa, dove c’era anche mio nipote Azzarone Liberantonio che è stato portato in caserma per fargli lo stub. Abbiamo pensato che avessero trovato e colpito uno degli lannoli. Poi, anche io sono stato portato in caserma e lì ho scoperto che era stato ucciso Notarangelo Giambattista”.

L’ormai ex boss “si è detto, in definitiva, estraneo all’omicidio spiegando in modo circostanziato quale fosse il suo grado di coinvolgimento rispetto agli atti preparatori e successivi ad esso, confessando che la commissione di questo crimine si dovesse comunque inscrivere nel solco dell’attuazione del progetto omicidiario ipotizzato nei confronti dei cugini lannoli e/o di Pecorelli”.