L’impresa romana ha avuto torto su tutta la linea davanti al tribunale civile invocato dall’ente che ha lamentato danni materiali, problemi di immagine e mancati introiti.
Nel porto turistico di Rodi Garganico galleggia da anni un contenzioso tra il Comune e l’impresa Cidonio che prima ha progettato e realizzato l’opera, poi l’ha presa in gestione e poi ha deciso di disimpegnarsi dalla sua manutenzione, provocando la reazione dell’ente in una iniziativa che ha coinvolto anche la Regione Puglia.
La querelle è andata avanti senza che si sia trovata una soluzione negoziale soddisfacente per tutti, e allora l’Amministrazione comunale (rappresentata dagli avvocati Nino Sebastiano Matassa e Lorenzo Derobertis) ha invocato il tribunale civile per far valere le proprie ragioni in materia di inadempimento contrattuale, chiedendo un corposo risarcimento danni che in effetti è stato riconosciuto qualche giorno fa, a seguito della sentenza di primo grado emessa dalla giudice Giovanna Cice che ha condannato il soggetto privato (difeso da Gianluigi Pellegrino e Giovanni Pellegrino) al pagamento della cifra monstre di 15 milioni e 700 mila euro, anche superiore a quanto richiesto dalla controparte che era di 14 milioni perchè già rivalutata fino all’attualità, oltre alle spese perla perizia effettuata, alle spese legali e accessorie per circa 100 mila euro nei confronti sia del Comune che della stessa Regione, rappresentata da Carmela Patrizia Capobianco e Barbara Francesca di Cecco.
La storia è praticamente iniziata nel 2007, quando il Comune aveva aggiudicato a Cidonio spa la progettazione esecutiva, l’esecuzione dei lavori e la gestione per trenta anni del porto turistico. Quest’ultima attività è materialmente iniziata nel 2012 ma dopo qualche anno l’impresa ha ritenuto non fosse più economicamente vantaggiosa, per cui ha chiesto di sottrarsi dall’impegno, interrompendo sia gli interventi di dragaggio e manutenzione che il versamento delle royalties previste.
Da qui è sorta la contrapposizione sempre più evidente con l’ente che da parte sua ha cominciato la trafila di azioni giudiziarie (diffide, atti ingiuntivi, etc.), anche a seguito della richiesta avvenuta nel 2015 di formale rinuncia alla concessione demaniale marittima da parte dell’azienda romana che si era rivolta al Consiglio di Stato per chiedere la nullità degli atti precedenti, deliberando dal canto suo nel 2017 la risoluzione per inadempimento.
“Il contratto non si è risolto e non poteva risolversi per rinuncia unilaterale del privato”, ha scritto la giudice nella sua sentenza che afferma di non ha trovato riscontro ad alcuna delle doglianze avanzate da Cidonio, vale a dire l’erroneità delle previsioni progettuali poste a base di gara, il rifiuto del Comune di rinegoziare il contratto, l’impossibilità di iscrivere ipoteca sulle infrastrutture portuali nonostante l’originaria previsione contrattuale, l’inutilizzabilità del compendio ex Foro Boario (occupato abusivamente da terzi), l’omesso versamento da parte del Comune dell’importo dovuto a titolo di Iva, il rifiuto di eseguire opere infrastrutturali esterne al porto, necessarie ad escludere il fenomeno dell’insabbiamento.
La decisione della giudice, invece, si basa su una perizia tecnica redatta dall’ingegner Gerardo Finelli, i cui esiti sono stati condivisi pienamente nella individuazione e quantificazione dei danni derivanti dai mancati interventi di dragaggio e manutenzione dell’intero complesso affidato, tra edifici e impianti, secondo un piano esplicitamente indicato e prescritto, così da assicurare funzionalità e valore economico nel tempo.
“Non vi è ombra di dubbio – riporta il provvedimento – che l’assenza degli interventi previsti, prima della formale rinuncia alla concessione demaniale marittima e alla gestione da parte dell’impresa, abbia prodotto l’insabbiamento rilevato dall’Ufficio Circondariale Marittimo di Vieste in relazione all’imboccatura del porto, risultando ingiustificatamente violate diverse disposizioni, provocando l’impraticabilità di tutte le imbarcazioni con pescaggio superiore 0,50 metri”.
La quantificazione della cifra deriva dalla considerazione di vari aspetti, come le risorse da impiegare per intervenire con solerzia peri il ripristino delle normali condizioni di fruibilità, di immagine derivanti dal mancato utilizzo del porto secondo le previsioni, di mancato introito nelle casse dell’ente e di costi da sostenere a seguito delle conseguenze dell’abbandono degli impianti.
E c’è una recente buona notizia arrivata da Bari, dove la Giunta regionale ha deliberato, dopo specifica istanza del Comune, lo stanziamento di 300 mila euro come contributo proprio per le operazioni di dragaggio straordinario del canale di accesso al porto turistico, al fine di migliorare l’efficientamento e la navigabilità in sicurezza, secondo un progetto esecutivo poi approvato non più tardi della settimana scorsa dalla Giunta di Carmine d’Anelli,il quale ha salutato con grande soddisfazione la decisione, ritenuta un elemento di evidente sviluppo commerciale, turistico e logistico, garanzia di concreto collegamento anche con le Isole Tremiti.
l’attacco