Uno di questi giorni, davanti al bar dove gli amici in mattinata si siedono per prendere il caffè mattiniero è sorto il quesito su quale cittadina pugliese si festeggia la sagra della seppia. Uno di loro ha detto Manfredonia. Da una ricerca su Google è risultato che questa sagra si tiene a Margherita di Savoia. A questo proposito lo scrivente, informato di un fatto precisa quanto segue:
Nel 1° sec. a.C. lo storico Strabone (Italia, cap. VI.3.8), scrive: “Si è parlato a suo tempo anche delle tradizioni relative a Diomede diffuse tra i Veneti e degli onori che vengono resi nei confronti di questo eroe. E’ ritenuta fondazione di Diomede anche la città di Sipuntum che dista da Salapia circa 140 stadi ed era chiamata, con nome greco <sepius> a motivo delle seppie sbalzate qui dalle onde. Fra Salapia e Sipuntum c’è un fiume navigabile (l’Ofanto!) ed una gran laguna attraverso i quali vengono trasportate le merci provenienti da Sipuntum e soprattutto il grano. Presso una collina della Daunia, il cui nome è Drion, si possono vedere due santuari di eroi: quello di Calcante, situato proprio sulla sommità -coloro che consultano l’oracolo sacrificano all’eroe un ariete nero e dormono avvolti nella sua pelle- e quello di Podalirio, situato in basso, ai piedi della collina, a circa 100 stadi dal mare (questo perché si pensava, erroneamente, a cominciare dal coinvolto Posidonio, che le sorgenti delle correnti viestane tutte di acqua salmastra, tranne una d’acqua buona, sorgessero da un luogo distante 100 stadi e che, ignorando la loro origine carsica, dopo un lungo percorso sottoterra riaffioravano e sfociavano con corso largo e profondo subito nel mare!): da esso scorre un piccolo fiume che guarisce tutte le malattie del bestiame (che in un altro capitolo si riferisce all’unico canale d’acqua buona, il viestano Canale della Chiatà, usato pure da Annibale che sostò per due anni a Vieste col nome mitologico di Adria, di cui si dirà, per ritemprare gli elefanti ed altri grandi animali dalla scabbia della fame prima di vincere la battaglia di Canne!). In questo golfo (di Siponto!) c’è un promontorio sul mare, il Gargano, che si protende verso levante per 300 stadi (circa km 50). Doppiando il capo del promontorio si incontra la piccola città di Urium, mentre le isole Diomedee sorgono proprio davanti alla punta (infatti le Isole
Diomedee sono il viestano bianco calcareo ed isolato Montarone, per l’occasione chiamato Teuthria, biancastra, il cui istmo Diomede avrebbe voluto tagliare per renderlo una vera isola, ma che non riuscì per sopravvenuta sua morte, venendo seppellito sull’isola disabitata delle due Diomedee che è lo Scoglio viestano. Due isole poi maldestramente scambiate da almeno due millenni per le 5 Isole Tremiti ma riportate a Vieste dal solo scrivente). Tutta questa terra è fertile e produce ogni genere di prodotti” (da cui il Montarone col nome Italia, che dal greco i-taly(z) conduce ad un isolato territorio lussureggiante, o in fiore, mentre da i-talis conduce ad un’isolata fanciulla pronta per il matrimonio ma non sposata, qual è il greco òria da cui Uria per Vieste. Quindi Italia come terra vergine, lo stesso di fertile.
Il matematico-geografo Tolomeo (7° sec. a.C.) scrive: “Degli Apuli Dauni nel mare Ionio Salapia, Siponto, Apeneste 42,50,40 Monte Gargano 42,20,41. E juxta il mare Adriatico, Hyrium”. Premesso che la gran laguna di Salapia di Strabone indica l’ex lago, tuttora terreno paludoso di Salpi, confinante con il territorio di Siponto, città che per Tolomeo insieme con Apeneste, che dal greco apen(euthe)-este, indica l’estremità orientale del Monte Gargano, doppiando, cioè nel doppiare, il cui capo si incontra la piccola città di Hyrium, l’Urium di Strabone. Cioè sempre Vieste: figlia dell’Oriente. E che da questa precisa descrizione Siponto ed Apeneste messe insieme costituiscono le ultime città del Mare Jonio, mentre Hyrium, sempre Vieste, si trova in adiacenza del Golfo Adriatico. Nome che nasce dalla città che unitamente al suo territorio scompare per un cataclisma nel giro di una notte e un giorno di nome Adria, greco adros, forte, che è un altro nome di Vesta, che dal greco fes, o ves, è una forte estremità, anche se Adria è un nome che nasce pure dalla potenza insita nel nome di origine greca del viestano Montarone. Infatti, le mai da nessun altro storico intese come coordinate geografiche 42,20,41 Mons Garganus, 42,50,40 Apeneste, che indicano la sporgenza sul mare del promontorio del Gargano che parte da Siponto, cioè dai 42°,20′,41” e viceversa. Infatti, la differenza tra 42°,50′,40″ Apeneste, in quanto estremità orientale del Monte Gargano, e 42°,20′,41″, la sua reale radice, Siponto, risulta di 29′,59″, corrispondenti alle circa 30 miglia, pari ai 300 stadi di Strabone, e quindi agli attuali km 50 che costituiscono la reale sporgenza sul mare del Monte Gargano, al cui apice c’è sia Apeneste e sia Uria, sempre l’attuale Vieste in quanto città da sempre situata all’estremità orientale del Gargano davanti la quale vanno situate ora per il solo scrivente ma dopo duemila anni le viestane due isole Diomedee, e non nel mare vicino a Luceria come in un altro momento scrive Strabone, facendole confondere per tutto lo stesso tempo con le cinque isole Tremiti.
La divisione di questi due mari parte da Omero che nel 9° sec. a.C. divide il Golfo Adriatico e il Mare Ionio con l’Ellesponto che dal greco elles è l’antico, pure greco, intendendosi tutto ciò che si trova sul sentiero del Sole durante il giorno del solstizio d’Estate (21 Giugno), tutto il resto era da considerare barbaro. Dall’elles nascono gli omerici Elleni capeggiati da Achille (= di fronte alla punta – del Gargano), mentre gli Achei prendono il nome dalle punte del corni del Montarone su cui poggia il centro storico di Vieste, e gli Argivi e la loro città Argos, bianco, prendono il nome dal biancore delle rupi calcaree del Montarone viestano, poi unitariamente identificati da altri e giustamente come Greci ma soltanto per il motivo anzidetto, poi erroneamente passati dal VII sec. a.C. all’attuale nazione detta Grecia, che difatti si trova al di sotto del percorso del Sole il giorno del solstizio d’estate. A confermare questa realtà viestana si ricorre al predetto significato di greco che si trova pure nel latino aestus: sentiero solstiziale estivo, etimo facente parte dei Viestani che da sempre si autodefiniscono come Vestesène, che da V(i-a)est(u)s-ène (in dialetto le lettere tra parentesi e la e sono mute), diventano “figli dell’aestus più alto, o più antico”, che trova in parte conferma in Vieste, figlia dell’Oriente, lo stesso di Aurora, di Mattino e di tutto il resto dei significati derivanti dal greco Eos, divinificazione dell’Aurora, insito nel suo essere ancora attualmente identificata come la città Pizzomunno. Mentre il greco pontos, etimo finale dell’omerico Ellespontos, indica letteralmente il sentiero del largo, vasto e profondo mare, che secondo Omero è diretto verso l’Aurora. In pratica un’attuale rotta marittima che nell’Iliade l’indispettito Achille minacciò di voler percorrere con tre giorni di navigazione nel pescoso Ellesponto andando verso l’Aurora per tornare a Ftia. Città della frontale Tracia, che è la parte orientale della Penisola Balcanica, e precisamente dell’Illyria, nome che dal greco ille-yria significa di fronte a Yria, cioè regione di fronte a Vieste, anche perché i restanti Traci, che secondo Omero: “Acàmante e Pìroo guidavano i Traci, quelli che l’Ellesponto flutto gagliardo chiude”, erano alleati dei Troiani. Un sentiero marittimo verso l’Aurora estiva che non è lo stesso da fare nè verso l’attuale Grecia, né sull’attuale canale marittimo stretto tra due terre dell’attuale Bosforo sul quale è stato da subito ed erroneamente ubicata la Troia di Omero. In tempi remoti a Burnabashi, a km 5 dal mare, e più recentemente ad Hissarlik, a km 2 dal mare, dall’interessato tedesco commerciante d’oro di seconda mano Schliemann. Il quale in realtà ha comprato una collina destinata a remota cremazione di cadaveri, da cui gli strati di cenere quivi ritrovati, ma spacciati per i resti della bruciata Troia e venendo creduto erroneamente da tutto l’ignaro genere umano dall’anno 1870. Oltretutto, in un viaggio inverso con partenza da Hissarlik, Troia tornerebbe al massimo all’estremità della penisola salentina, quindi sempre in Puglia e non nell’attuale Grecia. Sul Sole che nasce sempre su un mare aperto si trova pure all’arrivo alla spiaggia di Troia della divina Teti, madre di Achille, che in un viaggio di una sola nottata giunge sulla spiaggia di Troia portando le nuove armi a suo figlio, infatti Omero scrive: “L’aurora peplo di croco dalle correnti d’Oceano balzò a portare la luce agli immortali e ai mortali e Teti giunse alle navi“; l’Oceano è il mare aperto. Oltre le altre prove di un orizzonte marittimo aperto, tra le quali la giusta interpretazione dello nuovo scudo di Achille, forgiato da Efesto e quando finisce la bruciatura, cremazione, del corpo di Patroclo, ucciso da Ettore, sulla spiaggia di Troia e sulle quali lo scrivente non si dilunga oltre, si aggiunge che, contrariamente a quanto affermato dalle fonti sull’inesistenza di precise coordinate geografiche riguardanti Troia, forse perché già erroneamente piazzata sul Bosforo, detto erroneamente lo Stretto dei Dardanelli, va da sé che l’Ellesponto come unica rotta marittima di divisione del Golfo Adriatico e il Mare Ionio si conferma nell’Odissea nella presentazione del dubbioso Alcinoo, re di Skeria, indeuropeo sker, uno dei nomi omerici di Vieste, questa volta come luogo di “approdo”, nei porti generati dalla continuità delle rupi, greco skeros, nascenti dall’istmo del Montarone, che nel presentare Odisseo ai Feaci (Faiaces), che prendono il nome dalla luminosità (fai) delle punte (acis) dei suoi due corni, afferma di non sapere se questo naufrago provenisse dalle genti esperion, cioè occidentali, di sinistra, di ponente, il Golfo Adriatico e da cui l’Esperia per la sola Italia, o da quelle eonion, cioè orientali, di destra, di levante da cui il Mare Ionio. Questa divisione da Vieste di questo unico e attuale mare in due appare ancora in due mappe del 1600 del Magini e di Johannes Blaeu,
Tutto questo fa si che Siponto è un nome latino che proviene da si(nus)-ponto, indicante il golfo del vasto mare, che in questo caso vale per il solo Mare Ionio, identificato dai disorientati ragazzi viestani di qualche decennio fa come “u Mare Granne” il Mare Grande, per quello sulla destra del Montarone visto da sopra il luogo avente il toponimo verbale di “Drète u Trione” che dal latino tri(o)-one(m) conduce al “corno di un Toro Forte”, che serve ad individuare questa parte del Montarone come l’origine del Mare Ionio. In contrapposizione con “u Mère Picchele”, il Mare Piccolo, per quello che ha origine dalla sinistra del corno di sinistra del Montarone, il Golfo Adriatico. Golfo detto pure dagli ignari pescatori viestani di qualche tempo fa “Le Acque de Fore”, cioè il Mare di Fuori (mano), cioè di sinistra, o della mano mancina che, non a caso, è pure il toponimo facente parte dell’estremità sinistra del corno di sinistra del Montarone viestano visto da terra e detto “la Mancina”, che è il punto da cui partiva il primitivo molo viestano. Ma anche perché, secondo Tolomeo, Siponto è pure la città di base del Monte Gargano, che, unitamente ad Apeneste diventano pure l’iniziale punto geografico della delimitazione dei due Mari: Golfo Adriatico e Mare Ionio già considerati. A questi autori si aggiunge il filosofo ateniese Platone che nel Crizia a proposito di Atlantide scrive di: “un mare che non si può dire vero mare”, il Golfo Adriatico pure intasato di isole, ora croate, che di fatto impediscono una navigazione diretta, ma scambiato maldestramente con il Mare Mediterraneo, e di un “mare che si può dire vero mare”, il Mare Ionio, scambiato altrettanto erroneamente con l’Oceano Atlantico nel quale si cerca tuttora, vanamente, lo sprofondato in una notte e un giorno, per un cataclisma marittimo, Continente Atlantide che in realtà prende il posto del mai da nessuno cercato Continente Apeira, aperta, di Omero, che per lo scrivente è l’attuale Europa, vasta vista, sinonimo di aperta. Questi due mari, Adriatico e Ionio, già accertati con Vieste come punto di separazione, per Platone avevano come punto di divisione le viestane Colonne d’Eracle, poi indicate come un punto fermo, che è presente sia nel sisto di Istia, antico nome greco di Vieste, cui si aggiunge sia il porto dall’entrata stretta di Atlantide, che è lo stesso dell’entrata stretta del porto viestano del Pantanella, sia soprattutto nella sinonimia di pizzo di Pizzomunno, Pizzo del Mondo, con atlante del Continente Atlantide di Platone il cui “per fermo” è uno specifico riferimento alle viestane Colonne d’Eracle di cui si preciserà subito dopo anche perché un monte Atlante è stato trascinato erroneamente in Marocco sullo Stretto di Gibilterra.
Tra il Golfo Adriatico e il Mare Ionio oltre l’estremità orientale del Gargano, quindi Vieste, pure per via della presenza dell’Ellesponto, c’è pure necessariamente l’omerica Troia, in parte tuttora sepolta dal fango città di Merino per la piena dei fiumi confinanti. Città di Troia che per Omero viene dapprima bruciata dagli Achei e poi fatta sprofondare in una notte e un giorno per la piena di tutti i fiumi della zona e dopo nove giorni di pioggia, il Diluvio Greco mai da nessun altro associato prima, provocata secondo Omero, dagli Dèi per un muro realizzato dagli Achei senza aver fatto i dovuti sacrifizi in loro onore, Infatti sull’attuale viestano Piano Grande, esclusivamente per età, quindi antico, cioè greco, che è lo stesso del meno conosciuto dai Viestani come il Piano della Battaglia, in cui si trova tuttora il Canale della Macchia, che dal greco make-es, indica la battaglia, luogo di battaglia. Quindi l’attuale letto di un torrente che diventa l’omerico fiume Scamandro sul quale in piena si è combattuta la più cruenta battaglia della guerra di Troia. Nome che trova la sua effettiva realtà nel toponimo della dominante rocca di Caprareza, che dal greco capra(ina)-rezò identifica una Troia sacrificata, o data in sacrificio, anche come capro espiatorio, cioè da potersi utilizzare in futuro, perché concetto già presente in Omero, Sulla parte alta di questo Piano della Battaglia e precisamente sulla rocca di Caprareza c’era il Pergamo di Priamo, re di Troia, che unitamente ad un muro di protezione di una comoda strada per salire viene segnalata da Omero perché “dalla metà di questa strada e affacciati a un muro Elena indicava a Priamo i principali eroi Achei”. Pergamo ricordato da Seneca (Storia Naturale. 4° sec. a.C.) come “l’unica Torre rimasta in piedi della grande Troia dalla quale Priamo guidava le schiere”; nel 1600 c’era un Castellum Marini presentato come uno dei punti di confine del territori di Vieste e Peschici (A. Russi) e nel 1750 i “resti di un grande fabbricato e di una comoda strada per salire sulla rocca di Caprarezza” ricordati dal Giuliani. Dalla sola esistenza di questo Pergamo nasce il titolo di Polis, città, dato per prima a Troia, ora Merino, nome che è l’italianizzazione del sacrario della balzane Myrina di Omero. Infatti:
- l’omerica bassa collina accessibile da ogni lato destinata a tomba, altare, sacrario (gr. sema), della balzante Myrina funge tuttora come prioritario altare della Madonna di Merino col nome di “Munduncidde”, una piccola duna, che data la sua importanza poetica e storica si trasferisce, come sempre, alla sola intera Puglia col nome di Ia-pyga Mes-apia indicante un’Unica Troia (al) Centro dell’antichità; Questo altare, sacrario, santuario sono presenti, unitamente a una casa comune, pure nel primitivo e ufficiale nome di Estia per Vieste, dove il simulacro di (S.) Maria di Merino viene tenuto per un intero anno, tranne il giorno di festeggiamento il 9 Maggio di ogni anno.
- l’omerica Bellacollina si trova nel viestano “Muntincidde”, toponimo indicante un monte piccolo e bello, indubbiamente equivalente ad una bella collina;
- la stessa Vieste pure come punto di sbarco di tutti gli eroi omerici vincitori e vinti viene indirettamente rappresentata da Livio ed altri come territorio di Troia, comune identità che si realizza nel solitario Montarone che dal greco monios da monos (voc. gr. Rocci), latino unus, col significato di singularis porta per tradizione a un cinghiale ed in questo caso alla sua femmina detta Troia. Il greco monios da monos insieme con moun(az), sono etimi iniziali del “Montarone”, o “Muntarone” indicante “un peduncolo, o solidungolo, isolato ma non distaccato avente la forma di corna di un toro possente”, peduncolo che Diomede avrebbe voluto tagliare per renderlo una vera isola di cui si è già riferito. Da monos nasce un’altra forma di osmosi, questa volta storica, tra Vieste e Troia perché etimo che si trova all’origine dei popoli Monadi che, oltre la proverbiale città, sempre viestana, di Apina, la lontana, e Trica, divisa in tre parti, simile all’Isola di Trinachia, dalle tre punte, di Omero, secondo Plinio (Storia Naturale, 1 sec. d.C.), furono distrutti unitamente ai Dardani, gli antichi Troiani, da Diomede. L’identità di Vieste con Troia viene pure dallo Scoglio viestano col nome di (S.) Eufemia, la bene famosa, e di (S.) Eugenia, la buona genìa, che per essere un isolato scoglio appena affiorante dall’acqua viene tradizionalmente paragonato a un delfino e quindi associato a un greco capros (vedi isola di Capri), un cinghiale, che pure in questo caso è da riferire alla sua femmina, in calore (greco capraò di Caprareza), detta Troia. Ciò trova conferma nel fatto che l’omerica Troia si concretizza anche miticamente con Vieste poiché nell’identità di Uria, di Adria e altri nomi anche di località continentali, come l’Atlantide di Platone, viene fatta sprofondare sott’acqua per un cataclisma in una notte e un giorno per volere degli Dèi sempre per colpa degli uomini primitivi.
Per l’Odissea c’è da aggiungere che sul lato nord-occidentale dell’adiacente spiaggia di Scialmarino (nome derivante dall’omerica Myrina), lunga km 5 e capace di tenere solo poeticamente ormeggiate le oltre 2000 navi degli Achei per dieci anni consecutivi e sulla quale accadono degli episodi notevoli, ma che ad Hissarlik manca del tutto, c’è tuttora il Regno dei Morti, ora Necropoli della Salata, che viene visitato due volte da Odisseo. La prima con la nave su invito della di lui innamorata maga Circe per conoscere in anticipo la sua sorte finale, la seconda viene raggiunto a piedi da Itaca, sempre Vieste. Anche per i due corni sui quali si estendeva la città e soprattutto per il porto con all’interno una corrente d’acqua buona da bere che è il viestano Canale della Chiatà che in questo caso viene identificato da Omero col nome di Aretusa. Inoltre, secondo Omero, il porto di Itaca è dedicato a Forchi, nome che si trova negli scogli sottomarini, distanti 6 miglia a nord di Vieste, detti tuttora i Forchi dai pescatori viestani e peschiciani, ora italianizzato in Forti. A Itaca il cantore nei panni di Omero si chiama Femio, il quant’altri mai famoso. Il porto dall’entrata stretta del Pantanella si trova in Skeria ed è la stessa di quella che si trova nel porto dei Lestrìgoni con all’interno la corrente d’acqua buona da bere, il viestano Canale della Chiatà, col nome di Artachìa e con la loro città Telepilo: la porta lontana, di cui si dirà. Poi ancora nel porto dei Ciclopi con all’interno una polla d’acqua buona da bere ed infine con il porto dell’Isola di Trinachia, o delle Vacche del Sole, che veniva traboccato d’acqua dolce. Infatti il Pantanella è un nome derivante dagli etimi greci panta.nea-elos-laàs, che con sillaba finale “la” all’origine di laos, porta a una “rupe completamente approdo di nave”, mentre dal “la” all’origine di laàs, di laurhe da laura, conduce ad un “completamente nave approdo dall’entrata stretta”, qual è oltre quello dei Lestrìgoni pure uno dei due porti di Skeria, i cui porti citati da Omero all’arrivo di Odisseo erano realmente presenti archeologicamente a Vieste ai lati dell’istmo del Montarone. Il porto dall’entrata stretta del Pantanella, quellodei Lestrigoni e soprattutto quello di uno dei porti di Skeria, città capitale del Continente Apeira, diventano pure il porto dall’entrata stretta del Continente Atlantide di Platone. Il cui tuttora presente Canale della Chiatà, munito d’acqua buona, veniva utilizzato per l’entrata e l’uscita delle navi da Omero in due circostanze (porto dei Lestrìgoni e di Artachia) e funzione che viene segnalata pure da alcuni portolani del 1400, perché usato per facilitare l’entrata e l’uscita delle navi: greco ouròs, da cui Uria per Vieste. L’entrata stretta del Pantanella era determinata da “la Tagghie du Pantanidde”, la Tagliata del Pantanella, che veniva determinata, in forma sbieca, da una parte dalla Chianghe de L’Orne, per la presenza dell’ornello, dall’altra dalla Chianghe de l’Onne, per una roccia levigata dalle onde, sulla quale è stata ultimamente piantata un’antenna satellitare, Sul lato sud-orientale del mare di Scialmarino, adiacente “i Paduli Mezzène”, le Paludi Mezzane che dalla declinazione del greco megas diventano le omeriche Paduli Antiche, territorio sul quale pascevano i tremila cavalli di Troia che venivano ricoverati nella località Mandrione, un recinto per grandi animali. Omero racconta che durante un festoso bagno di questi cavalli nel mare, ora di Scialmarino in zona Porticello adiacente i suoi Paduli, Poseidone con il suo alito rese pregne dodici giovani giumente, generando i famosi cavalli di Troia. Strabone ricorda che la corsa di questi cavalli, più veloci che belli, si correva nello stesso giorno a Vesti, in quanto città all’estremo della Terra,e in tutte le città di confine in onore di Poseidone durante le feste Ambarvalie, mentre tuttora si corre a Vieste nel giorno di festa del cavaliere S. Giorgio, il 23 Aprile di ogni anno,
Dall’etimo finale <la> del Pantanella, derivante dal troncamento di laàs di laurhe da laura, nasce il nome di Laurento, presente in (S.) Lorenzo, nome della penisola limitrofa alla spiaggia adiacente Vieste, detta pure Spiaggia del Convento, e al porto del Pantanella. Nome di Laurento che si è trovato pure su una pietra viestana scritta in lingua greca arcaica: Lauren si avinas, poi ridotta a Laurensianus, ma regalata dagli ignari Viestani al Comune di Apricena (Giuliani). La via stretta contenuta nel significato del Laurento di Livio sostituisce tacitamente l’antico sentiero del vasto, largo e alto mare dell’omerico Ellesponto. Poi da Polibio individuato pure come lo Stretto Ionico, oltre il quale c’è il Golfo Adriatico. Da Cicerone come il Ponto Eusino, da Eos, cioè diretto verso l’Aurora, ma erroneamente trascinato sul Bosforo e sul Mar Nero (diz. gr. Rocci). Poi ancora con la via maestra di Agylla, che insieme alla famosa Cere (latino Caere) sono nomi temporanei della marinara e famosa Vieste. Poi ancora la via senza via di Dante, il moderno Ponte verso Oriente e altri nomi ancora di altri antichi scrittori che per opportunità si omettono.
Per il resto si aggiungono le mete sui luoghi unicamente viestani in ordine geografico per quelli affrontati poeticamente da Odisseo nelle località seguenti:
- La Punta della Testa del Gargano è il luogo di sepoltura del deceduto accidentalmente compagno di Odisseo, Elpenore, vera speranza, sul cui tumulo viene infine piantato un remo per ricordare a tuttii naviganti di essere mortali;
- la sede di Circe, che aveva la sua casa fatta di pietre lisce si trova in località viestana Mattoni-Calcari, dove in una grotta tuttora sgorga la sorgente d’acqua salmastra denominata Corrente Caruso, situata dietro il Ponte, dove la nave di Odisseo, che dapprima viene ormeggiata sulla lingua di spiaggia esistente tra le due correnti della zona e in un secondo momento condotta, disalberata e ormeggiata in questa grotta per due anni;
- di fronte alla spiaggia della Catharel, ora italianizzata come Gattarella, ci sono due scogli detti i “Scugghie di Lamican”, Scogli di Lamican, nome italianizzato e spostato sulla adiacente vallata detta di Lama le Canne. Ma toponimo di origine greca che da lamie can(akeo), latino cano, conduce a un “mostro marino avente il volto di donna e la coda di pescecane – che canta”. Infatti, lo scoglio più piccolo dei due tuttora presenti ha le sembianze di una sirena. Di questo piccolo scoglio, visto dal mare, Omero scrive pure di un polmone marino, che in un primo tempo dallo scrivente è stato associato a una gabbia toracica. Le sirene diventano parte attiva pure nella leggenda del bel pescatore Pizzomunno innamorato della originaria fanciulla bella come il Sole di nome Uria, sempre qualche particolare di Vieste come è giusto che sia avvenuto nella creazione di una leggenda paesana, che viene dalle gelose sirene incatenata sul fondo del mare, ma consentendo ai due di riamarsi una volta ogni cent’anni in una sola notte di Luna piena.
- in località di “Sotte u Ponde”, Sotto il Ponte, che dal greco ponheto indica la Pena, che è quella sofferta per sette lunghi anni dal nostalgico di casa Odisseo, che si recava ogni giorno su un piccolo scoglio isolato sul mare, tuttora esistente, per soffrire dura pena, versare largo pianto. In quest’andro, che Omero descrive alto fino al cielo, se visto da sotto, abitava Calypso, figlia di Oceano, che ha tenuto in ostaggio Odisseo per sette lunghi anni;
- la Prima Corrente, facente parte delle sette (Strabone), o nove (Virgilio), mitiche e storiche correnti viestane tutte di acqua salmastra, tranne una di acqua buona (quella del Pantanella), greco oureò da cui Uria per Vieste, è quella davanti alla quale finiscono le peripezie del naufrago Odisseo. Adiacente questa corrente, o fiume, andando verso Vieste, inizia la località Scanzatore, toponimo greco che da scan(aò)-za-tore(uò) indica il “palcoscenico (scanaò = scenizò) per mezzo del quale far sentire la voce alta”, che è quella fatta da Nausica e dalle sua ancelle perché la palla, con la quale stavano giocando in attesa che i panni stesi sulla sabbia al Sole si asciugassero, era caduta in questa prima corrente. Da queste grida il tramortito Odisseo viene svegliato e condotto a Skeria, cioè Vieste come approdo (indeur. sker) in un porto generato dalla continuità delle rupi (gr. skeros) del Montarone;
- prima di giungere alla Scanzatore Odisseo, odiato e perseguitato da Poseidone, è costretto ad aggrapparsi a un bastione di pietra, “u Puzmume”, toponimo greco che da pougx-momos (leggi punx-momos) è un “bastione della vergogna” perché, secondo Omero, è stato minacciato di essere vomitato dal vendicativo Poseidone sul fianco della città per ammonire i Feaci, abitanti di Skeria, a non accompagnare più nessuno. Il Puzmume viene da Omero pure glorificato poiché per salvarsi oltre a Odisseo in un capitolo dell’Iliade ad esso si aggrappa pure Eracle, da cui le Colonne d’Eracle di Platone se si considera “u Puzmume” con la limitrofa falesia del Montarone, Rupe che l‘impotente Odisseo vede “alta fino al cielo e che pare levigata e che nessun mortale avrebbe potuto scalare neppure se avesse avuto 20 mani e 20 piedi”. Montarone che in seguito diventa il Monte Atlante di Platone, sinonimo di pizzo del Mondo, o Pizzomunno, poi erroneamente piazzato nel Marocco sullo Stretto di Gibilterra. Infatti, il geografo Dicearco (4° sec. a.C.) scrive che “dal Peloponneso è più lontana la fine dell’Adriatico di quanto non lo siano le Colonne d’Eracle”;
- l’amato Odisseo viene consigliato da Circe di evitare di affrontare le pericolose Rupi Erranti, o Instabili, tenendole alla sua sinistra nella navigazione dalla Catharel, ora Gattarella, verso il Regno dei Morti, la Necropoli della Salata. Questo attuale percorso fa si che le Rupi Erranti, o Instabili, sono le viestane Murge Scuffelète, o Lesionate, che con il semplice movimento del mare tuttora sembrano vaganti, o erranti:
- nell’Iliade all’origine delle Murge Lesionate, o Instabili, c’è la semicircolare rupe detta di Dietro la Ripe, identificata da Omero come le Rupi Ghirèe, circolari, che sono state generate con un violento colpo di tridente di Poseidone, adirato contro Aiace Oileo che, mentre era seduto su uno scoglio, tuttora esistente in questa località in forma di cubo, viene in parte fatto sprofondare unitamente alla parte mancante della falesia perché reo di aver mentito affermando pubblicamente di essersi salvato da un naufragio senza alcun aiuto.
- Odisseo passa davanti a Scilla, mostro marino con sei bocche, che preleva dalla sua nave sei suoi compagni e, data la comune impotenza constatata dall’intero equipaggio, secondo Omero, tutti preferiscono “fuggire atterriti”. La grotta nella quale Omero immagina Scilla è la viestana Grotte i Trève. Toponimo di origine greca che da treò significa “fuggire atterriti”. Un fatto che capitava pure a noi sfaccendati ragazzi di alcuni decenni orsono che una volta scesi e giunti nelle vicinanze di questa grotta venivamo sempre spaventati da qualcuno più grande di età e fuggivamo a turno, letteralmente atterriti, data la situazione ancora attuale dell’esistente unico punto di appoggio sulla roccia di entrata sulla più bassa e piccola spiaggia antistante questa grotta;
- lo Scoglio viestano è, tra l’altro, la nave affondata e pietrificata con una manata di Poseidone quando era già in vista di Skeria, per punire i Feaci per avere accompagnato Odisseo a Itaca, sempre Vieste, senza chiedere alcuna autorizzazione. E, oltre il tanto storico e omerico restante, è pure la biblica Arca di Noè che dopo il Diluvio Universale sul luogo dove approda fonda la prima città della nuova Terra col nome di Vesta, in onore della omonima moglie morta all’approdo. Le dimensioni dell’ispiratore Scoglio viestano sono del tutto simili a quella di questa Arca: alt. m 15; larg. m 25; lung. m. 146 (Bibbia);
- Cariddi, distante un tiro di freccia con l’arco da Scilla, secondo Omero; è il Crepaccio detto “u Spacche Rusnèlle”. Toponimo di origine greca che da spaò-roos, o rous-nele(uò) indica un crepaccio con “flusso e riflusso di ventre inesorabile, o che non perdona”. Da qui si gode tuttora lo spettacolo descritto da Omero con l’acqua marina che passa in questo crepaccio con una certa violenza entrando nell’adiacente grotta e che, uscendo con violenza faceva vedere il fondo sabbioso del mare antistante. Ancora fino agli anni 1980 sull’apice interno destro di questo crepaccio c’era un albero di fico selvatico, certamente perché tagliato di tanto in tanto per farne legna da ardere, al cui ramo si attacca Odisseo in attesa dell’uscita delle acque e dell’albero maestro della frantumata zattera sul quale infine salta per allontanarsi. Questo albero di fico selvatico dopo un lento penare è stato totalmente sradicato recentemente per fare posto a un parcheggio di mezzi nautici;
- dell’importanza storica del porto dall’entrata stretta e della corrente d’acqua buona del Canale della Chiatà facenti parte del porto del Pantanella utilizzato da Omero si è riferito;
- l’omerico Regno dei Morti, visitato due volte da Odisseo, in nave da Circe e a piedi da Itaca, si trova tuttora nella Necropoli della Salata dove ci sono tuttora due anonime sorgenti, da Omero chiamate lo Stige e il Cogito, che fondendosi danno origine a un fiume che a sua volta si fonde con un altro fiume, sempre anonimo, detto da Omero Piriflegetonte, che tuttora sgorga davanti a un’alta rupe, Questi due fiumi, unendosi danno origine a una corrente altrettanto anonima, ma chiamata da Omero Acheronte che tuttora sfocia nel mare di Scialmarino.
- Vieste pure nell’identità di Skeria, “situata isolatamente (non isola qual è la realtà anche letterale del Montarone) nel mare grandi flutti (altro significato del latino aestus dei Vestesène) e all’estremo del Mondo”, prima poetica certificazione di Vieste nell’identità di città Pizzomunno, Pizzo del Mondo. Città di Skeria, in cui Omero assume il nome di Demodoco, il venerato dal popolo, e che viene presentata da Omero come la Capitale del Continente Apeira, aperta, da cui i Viestani come gli Uri Aperti del Gargano e di Apulia, senza porta, ora Europa, vasta vista, sinonimo di aperta. Mentre il pizzo di Pizzomunno è sinonimo di atlante, da cui il Continente Atlantide di Platone che, non a caso, come Troia, Uria e Adria, sprofonda sott’acqua in una notte e un giorno per la vita peccaminosa dei suoi abitanti. Inoltre il pizzo di Pizzomunno è sinonimo pure di angolo, da cui il Regno dell’Angoloculla della profezia di Nostradamus del 1500, secondo il quale dopo inevitabili polemiche avrebbe riavuto il suo giusto riconoscimento di città angolo-culla dei popoli nel settimo mese, settimo giorno dell’anno 1999. Profezia totalmente realizzata anche se ora per il solo scrivente perché si tratta della rivalutazione di Vieste in quanto città Pizzomunno (pizzo = atlante = angolo), che parte dall’omerica Skeria, città isolata nel mare grandi flutti e all’estremo del Mondo e capitale del Continente Apeira, ora Vieste, nel cui porto, in particolare il Pantanella, approdarono, per passaparola, tutti i popoli di migranti indeuropei che, secondo Seneca, trasmigrando successivamente popolarono l’Italia (Cittei per i Pugliesi e gli Italici) e l’Europa (Celtici, per i popoli Europei): si pensi che dopo la distruzione di Troia, di Adria e di Uria per Vieste, unicamente come capro espiatorio di cui si è accennato, nascono Trojanova primitivo nome di Londra, Parigi da Paris, il troiano Paride i cui francesi vennero identificati pure come Galli, nome preso da Vieste, figlia dell’Aurora, orario in cui i pennuti galli cantano, all’Irlanda come Terra di Iria, cioè terra di Vieste, infine Roma, generata dalla discendenza di Iulo, unico figlio del troiano Enea in contrapposizione con Turno, figlio di Dauno, suocero di Diomede. Cittei e Celtici che sono nomi di popoli originati (greco tico da ticto) rispettivamente dai greci cytos e cella che sono particolarità del Pantanella e di Vieste, loro primario porto di sbarco. Ora, per accontentarsi a Vieste basterebbe il riconoscimento di titolo di città Capitale della Cultura Europea, anche se è una riduzione di città Pizzomunno e sconosciuta capitale del Continente, ora Europa;
- per inciso va ricordato che Vieste nell’identità di culla di popoli, presente nel nome di (S.) Eugenia, la buona genìa, dello Scoglio viestano, è pure indirettamente presente in una iscrizione su pietra in lingua greca arcaica: “Diva Dama Tira Agol Zonve Nana”, cioè “Divina Porta della Grande Madre Terra (che) fa sgorgare dalla Cinta Acqua Sorgiva” tradotta dal viestano dr. Michele Petrone senza accorgersi che si tratta di un inno a Vieste. Anche perché come Madre Terra è presente in località viestana la Gioia derivante dal greco Gea, la Terra, e con un po’ di arguzia in Vieste nell’identità di Istia, o Estia, di città Pizzomunno e di Ves-ta, forte estremità, per il Montarone su cui poggia la prima città anche della nuova Terra, perché nata pure subito dopo il Diluvio Universale (Bibbia), cui si aggiungono le numerose correnti di acqua sorgiva tuttora esistenti, da cui oureò, per Uria, ed ombreò per gli Umbri (gr. Ombricoi) che avevano per confine Marinum fin dall’Adriatico. A Vieste come Cinta Acqua Sorgiva si aggiungono i tanti pozzi e cisterne di acque sorgive presenti e funzionanti in Vieste fino a qualche decennio fa;
- Vieste come Divina Porta della Grande Madre Terra si estende come sempre e non solo a tutto il territorio italico, a cominciare dall’attuale Puglia, derivante dal greco pulhe, porta, già presente nell’omerica Telepilo, la lontana porta per la città dei Lestrìgoni, rendendo “portinai” tutti i mai in questo senso identificati Pugliesi, che si consolidano come tali anche come A-puli, senza porta, da cui l’omerico Continente Apeira, aperta, ora Europa, vasta vista e i Viestani come gli Uri Aperti del Gargano. Dal’altra parte la Thyrrenia, da cui il Mare Tirreno pure di origine viestana. Poiché in tempi remoti l’Italia, nome gridato per la prima volta da giovani migranti al loro approdo (Dante) nel porto naturale del Pantanella, era considerata un’isola triangolare che di fatto si trova sia in I-taly(z), isola in fiore, e sia in I-talis, indicante un’isolata fanciulla pronta per il matrimonio ma non sposata, quindi sempre in fiore, che parte dall’isolato ma non distaccato Montarone viestano personificato col nome di questa vergine, greco òria da cui Uria. Polibio (II sec. a.C) infatti scrive: “Dicono che l’Italia è un’isola di forma triangolare” lo stesso di Thyrrenia, aggiungendo: “l’angolo che si piega a oriente è delimitato dallo Stretto Ionico e subito di seguito dal Golfo Adriatico” che, quindi, diventa un’altra conferma dell’origine dell’Ellesponto da Vieste. Infatti il nome Thyrrenia deriva dal greco thura, porta, sinonimo della Puglia da pulhe, porta. Thyrrenia poi identificata comeEtruria, che dal greco eteros-uria conduce ad una regione che si trova dall’altra parte, quindi al confine del territorio di Uria. Nome che si trova pure nella Liguria, indicante il piegamento (golfo) del territorio di Uria. Stesse regioni facenti parte della Magna Grecia, nome che partiva sempre dalla Magna Greca Vieste, in quanto Divina Porta della Grande Madre Terra e punto orbitale del sentiero del Sole percorso nel giorno del solstizio d’Estate, presente nel sisto di Istia, da isthemi, e nel latino aestus dei Vestesène, etimi che portano al significato originario di greco. Sole che tuttora, e pure secondo Omero, si vede nascere frontalmente a Vieste: figlia dell’Aurora, esattamente da dietro la punta Nord-occidentale dello Scoglio viestano. Da thura, indeuropeo turah, nasce il nome italiano di Tiro, che secondo i profeti Ezechiele ed Isaia viene fatta sprofondare in una notte e un giorno per volere di Dio per la vita superba dei suoi abitanti (Bibbia). Fine di Tiro che parte da quella di Troia, di Uria, di Adria, di Atlantide e ancora altre località per Vieste detta la “perduta nel mondo” dal Gregorovius nel 1800, la “sperduta” del Beltramelli nel 1907 e che si trova nella polismation Uria, piccola città di Uria, di Strabone che dal suffisso mation, da mataò e simili, tra l’altro indica alcuni significati che si addicono a Vieste, come città inerte, sperduta, perduta nel mondo, dedita alla vana fatica, e ad Uria come folle, temeraria, lasciva, per l’inutile lotta contro i mari ed i venti ai quali finisce per soccombere, sprofondando mitologicamente.
In virtù di queste conclusioni storiche provate dai luoghi e dai loro toponimi di origine greca classica, lo scrivente propone al Sindaco, alla Giunta Municipale e agli eletti Membri del Consiglio Comunale di Vieste la realizzazione di un monumento bronzeo in onore del viestano e vedente Omero, da situare in una importante piazza cittadina, o in un incrocio stradale molto trafficato per rendere il più possibile nota questa nobile natalità, o certa cittadinanza, del più grande poeta di tutti i tempi e del Mondo, Un fortunato dato di fatto che arrecherebbe a Vieste e, perché no, anche all’intera Italia, ancora altri immensi vantaggi sia poetici, sia culturali, sia storici e sia soprattutto economici.
Prof. Giuseppe CALDERISI, nato a Vieste il 01.02.1943