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IL LIBRO DELLA SETTIMANA/ STORIE E LEGGENDE DEL GARGANO MUSICATE DA MICHELE MAIORANO E ROCCO IOCOLO

Accattivante proposta didattica di due giovani musicisti garganici con nove titoli: “Diomedée”, “Uomo guerriero”, “Uria”, “Bianca Lancia”, “Moham”, “Su e giù per il mar”, “Barbarossa a Kàlena”, “Vesta”, “Cento scalini”. Praticamente le leggende e le storie più suggestive del Gargano…

Giuseppe D’Addetta, fin dagli anni Cinquanta, intuì che anche i centri più sperduti del Gargano avrebbero avuto qualcosa di importante da comunicare a chi avesse avuto la curiosità di conoscerli. Una tradizione folklorica ed etnografica intatta, e sorprendentemente attuale, era ancora da valorizzare. Essa attendeva di essere conosciuta da chi, mosso dal desiderio di conoscere ciò che un tempo, in un’altra vita, siamo stati, si fosse spinto per le balze più scoscese della Montagna del sole, alla ricerca di luoghi della memoria ormai dimenticati.

Le “Storie e leggende del Gargano”, autopubblicate su Amazon (TiramiSound Edition) da  due giovani promettenti musicisti prendono le mosse proprio dall’indimenticabile saggio di d’Addetta. E ne proseguono l’ideale viaggio, alla scoperta di antiche tradizioni etnografiche e narrative. Emergono ricordi altamente suggestivi. Il dato interessante è che, accanto alle leggende di Giuseppe d’Addetta, di Michele Vocino, o ai richiami diomedei, i due autori, partendo da uno spunto ambientale, da un aneddoto, o da una tradizione storica o letteraria, si sono cimentati nell’invenzione artistica, creando delle nuove leggende o delle nuove storie, che resteranno sicuramente impresse nell’immaginario del lettore.

Ma la vera novità è che Michele Maiorano e Rocco Iocolo affrontano le storie e le leggende legate al Gargano con uno spirito didattico-musicale e al tempo stesso giocoso. E’ la musica che rende tutto più bello, accattivante, ludico e piacevole. Da didatti della musica, primario obiettivo dei due autori è stato quello di trascrivere in musica ogni singola narrazione: “Provate a fare imparare una poesia a un bambino, farà fatica a memorizzarla in poco tempo. Tentate invece di farla memorizzare attraverso una melodia o una frase ritmica, il risultato sarà strabiliante” scrivono in prefazione al libro.

Dopo ogni racconto seguono le partiture delle linee melodiche e armoniche, con i testi dei brani. Le canzoni sono state pubblicate sulle varie piattaforme store digitali (YouTube, Spotify, ecc.), ed è possibile ascoltarle inserendo nel motore di ricerca: TiramiSound più il titolo del racconto. Ecco i nove titoli: “Diomedée”, “Uomo guerriero”, “Uria”, “Bianca Lancia”, “Moham”, “Su e giù per il mar”, “Barbarossa a Kàlena”, “Vesta”, “Cento scalini”. Praticamente le leggende e le storie più suggestive del Gargano…

Nel ripercorrere la storia del nostro territorio, Maiorano e Iocolo si sono resi conto di quanto esso sia legato a tradizioni popolari che richiamano altri contesti. La ricerca li ha portati a selezionare storie a loro sconosciute o note soltanto a grandi linee. Lavorando al progetto, hanno constatato come alcune di queste narrazioni siano legate l’un l’altra: “Vi stupirete degli intrighi politici amorosi che questa terra nasconde – scrivono – Vi renderete conto di come la storia, la mitologia e la religione viaggino spesso in simbiosi, intersecandosi tra di loro”.

Come ogni leggenda che si rispetti, i narratori si sono permessi di aggiungere piccoli aneddoti per rendere i racconti più fluidi.

Questo Gargano, raccontato in chiave musicale-narrativa dai due talentuosi giovani musicisti, ho avuto l’onore di presentarlo a Rodi garganico ed è stata un’esperienza decisamente accattivante…

IL PIRATA BARBAROSSA (KAIR AD-DIN) ALL’ABBAZIA DI KALENA

La leggenda del pirata Barbarossa ( Kair ad Din) all’abbazia di Kàlena ( Peschici Fg) ha ispirato una storia e una canzone ai nostri due musicisti.

Fra i più noti corsari che attaccarono il Gargano, Kair ad-din (1475–1546), detto il Barbarossa, era al servizio di Solimano. Insieme ai suoi fratelli, spadroneggiò in tutto il Mediterraneo. Nel 1533 il Solimano affidò a Khair ad-din la ricostruzione della flotta ottomana. Il rientro a Costantinopoli del corsaro fu un vero trionfo: fu acclamato re del mare.

Non mancano suggestioni e leggende su questo corsaro riferibili a Santa Maria di Kàlena, un luogo-simbolo dell’immaginario collettivo di Peschici.

Michele Vocino parla di “un tesoro nascosto a Kàlena insieme con la salma della figlia del corsaro Barbarossa alla fine del 1500”. In realtà Kair ad-din non ebbe mai una figlia: la storia ci documenta che qualche anno prima di morire, a Reggio Calabria rapì un’avvenente fanciulla diciottenne, Dona Maria, figlia del governatore spagnolo, e la sposò. 

La leggenda andrebbe corretta: probabilmente a Kàlena fu questa ragazza ad essere sepolta dal Barbarossa, che come singolare cuscino le pose un vitello d’oro… 

Al di là della leggenda, è certo che dall’abbazia, un camminamento sotterraneo portasse alla “caletta” del Jalillo: il passaggio segreto serviva ai frati per sfuggire alle frequenti scorribande turchesche, permettendo loro di raggiungere il mare, di imbarcarsi e rifugiarsi nella badia fortificata di Tremiti.

DIOMEDE ALLE TREMITI

Diomede, personaggio eroico dell’Iliade di Omero, secondo alcune leggende diede forma al Gargano e al Subappenino dalla pietra ricavata dalla rocca di Pergamo. Per creare, con i massi rimasti, le isole, lanciò i sassi nel mare blu e le cinque isole emersero poco a poco.

Un’altra versione della leggenda vede  Diomede lanciare in mare tre sassi raccolti sull’isola di Troia, che si trasformarono subitaneamente  in isole.

Diomede fu guerriero e viaggiatore, combatté a Troia e si scontrò valorosamente contro Enea, ferendo in questa circostanza Afrodite, che lo proteggeva. Dopo peregrinazioni e battaglie ritornò nella sua terra d’origine, ad Argo, dove ad attenderlo c’era la sua famiglia e sua moglie Egialea. La quale però, per una punizione inflitta da Afrodite, non ricordava più l’identità del suo uomo. Così l’eroe ricominciò le sue avventure e giunse sulla costa italiana del Mar Adriatico. Qui nuove imprese lo attendevano. Sconfisse i Messapi al fianco del Re Dauno, sposò sua figlia e ottenne il dominio di una parte della Puglia.

La leggenda delle Isole Tremiti si lega alla figura di Diomede perché si racconta che è sull’isola di San Nicola che egli morì assassinato per mano del fratello Aleno, lasciando un alone di mistero in questo luogo.

La presenza nell’arcipelago di uccelli caratteristici dell’ecosistema marino, conosciuti come albatros o diomedee, rappresenta un ulteriore rimando alla leggenda. rappresenterebbero i compagni di Diomede trasformati im uccelli da Afrodite.

Passeggiando lungo la costa non sarà difficile sentire il canto notturno delle diomedee che fanno pensare ad un pianto funebre in ricordo dell’eroe,  facendo assaporare il fascino di una terra incontaminata dal grande valore storico e culturale oltre che paesaggistico.

LE MADONNE DEL GARGANO

Legata al culto delle feste mariane della Campania è la leggenda garganica, rievocata da Maiorano e Iocolo, delle 7 sorelle-madonne, filatrici di ogni sorta di tessuto esistente al mondo, uniche superstiti, insieme a un monaco, di una feroce incursione turca nelle isole Diomedee. Sei di esse decidono di fuggire e stanziarsi a Rodi (Madonna Libera); a Vieste (Madonna Merino); a Mattinata (Madonna della Luce); a Manfredonia (Madonna di Siponto); a Rignano (Madonna di Cristo) e a San Marco in Lamis (Madonna di Stignano). La settima resta a Tremiti (Santa Maria a Mare)

Scrive Cosimo Alberti, attore, suonatore di tammorra, cantante, esperto di danze popolari della tradizione campana che anche le Madonne della leggenda popolare napoletana sono sette sorelle: la Madonna di Montevergine, del Carmine, dell’Arco, dell’Annunziata, delle Galline, di Piedigrotta e la Zingarella. Anche il maestro Roberto de Simone menziona una leggenda legata alla Madonna nella sua raccolta Rituali e canti della tradizione in Campania. Esse sono tutte belle, tranne una che è brutta e perciò fugge su di un alto monte 

Montevergine…

si jo song brutta allora loro hanna venì fino è cà ‘n gopp a me truvà!…

se io sono brutta allora loro dovranno venire fin quassù per farmi visita!…

A questa leggenda si affiancano altre credenze popolari, come quella dell’agro nocerino-sarnese, che individua altre 7 Madonne. Nella tradizione popolare vengono festeggiate con il rito pagano della Tammurriata anche altre Madonne come Materdomini, di Montalbino e Santa Maria a Lettere. Questi santuari sono meta ogni anno di migliaia di devoti pellegrini che, dopo le celebrazioni della Messa, si accalcano sul sagrato della chiesa abbandonandosi a musiche e a danze che cambiano di zona in zona proprio come cambia la rappresentazione della Madonna.

MOHAM E IL PONTE DI CUOIO A CASTELPAGANO

Dalla raccolta viene, quindi, fuori un mondo di ieri, sorprendente per chi è abituato a vedere la Capitanata, ed il Gargano, con lo sguardo corto dell’oggi e della contemporaneità. La leggenda de Il ponte di cuoio, ripresa da Giuseppe d’Addetta, ci riporta al tempo lontano in cui la nostra provincia era terra di conquista di popoli diversi per cultura, consuetudini e tradizioni. Popoli come gli Arabi che, contrariamente ai pregiudizi di oggi, erano un popolo mite, rispettoso delle tradizioni locali e religiose delle genti conquistate. Il protagonista della leggenda, Moham, un valoroso condottiero saraceno, si innamora perdutamente della bella castellana, bionda come il sole e dolce come la luna, che vive nella rocca dirimpetto, in località Castelpagano. Ma il suo sogno d’amore incontrerà seri ostacoli. Forti pregiudizi etnici, e soprattutto il timore che, sposando un seguace della religione maomettana, possano esserci ripercussioni negative per i componenti della sua casata, inducono la bella principessa garganica ad avanzare una richiesta decisamente insolita…

URIA E NUNZIA

Altre leggende fioriscono sulle rive del Varano. Temi maliosi e mitici, che i pescatori narravano, durante le lunghe attese delle battute di caccia e di pesca. Come la storia di Nunzia, unica superstite all’ira divina che inabissa la città di Uria. Gli Dei le concedono il dono dell’immortalità, ma la sua è una vita segnata dal rimpianto per la perdita dell’innamorato, scomparso insieme a tutti gli abitanti della città. E la sua voce di pianto, ogni sera, è portata dal vento che spira sullo specchio del lago…

VESTA E PIZZOMUNNO

Quando l’itinerario de La Montagna del sole tocca Vieste, “la sperduta”, il D’Addetta rievoca la suggestiva leggenda di Vesta e Pizzomunno. Maiorano e Iocolo la riprendono. Tragico scenario il bianco faraglione di Pizzomunno. Qui le perfide sirene, invidiose e gelose dell’amore di due giovani, rapiscono la bellissima fanciulla e la tengono legata ad uno scoglio sommerso, una colonna di corallo rosa. Solo ogni cento anni le concederanno di riemergere, in un giorno di sole, per rivedere il suo fedele amante.

CENTO SCALINI 

E’ il luogo di san Menaio in cui dall’alba al tramonto si ritrovano comitive di giovani, muniti di chitarra, per celebrare la vita e la gioventù davanti ad un falò. Un posto che continua ad esercitare un certo magnetismo. Secondo una leggenda, narrata da una vecchina del posto di nome Rosa Rosina, San Menaio deve la sua magia ad un antico amore, di un tempo indefinito, forse il Medioevo, tra due giovani, Rocco di Vico del Gargano (di cui San Menaio è una frazione) e Soccorsa della vicina città di San Severo. La loro unione era  contrastata dalle rispettive famiglie, rivali da sempre per il controllo degli uliveti. I due innamorati si incontravano di nascosto, rifugiandosi sulla spiaggia dei Cento Scalini, baciandosi appassionatamente dall’alba al tramonto, che magicamente li avvolgeva e li proteggeva, nascondendoli agli occhi dei nemici. I due amanti, per non esser più ostacolati, decisero di sposarsi in segreto e vi riuscirono, grazie all’aiuto di Fra Francesco dell’omonima chiesetta che si erge nella zona denominata “San Menaio Vecchia”. Come ha raccontato Rosa Rosina alla giornalista Valeria Russo, “I due giovani sposi, felici di aver coronato il loro sogno, vissero un unico giorno di luna di miele su quella spiaggia, ove consacrarono per sempre il loro amore. Sul far della notte, quando il sole non poteva più nasconderli allo sguardo feroce delle loro famiglie, Rocco fu trafitto dalla lama della spada del padre di Soccorsa ed il suo cuore cadde reciso ai piedi di lei. La giovane donna morì di colpo per il dolore e fu abbandonata sulla spiaggia accanto al suo amante. Soccorsa e Rocco rimasero adagiati con i cuori l’uno sull’altro finchè il Mare Adriatico, commosso da quell’unione indissolubile, agitò le sue acque fino a inghiottire i corpi dei due sposi. E si narra che ogni estate a San Menaio si rinnovi l’incanto d’amore che unisce per sempre “gli amori impossibili o contrastati”. Secondo i sanmenaiesi, i fantasmi dei due innamorati si materializzano ogni 16 di agosto, in prossimità della festa di San Rocco, periodo delle stelle cadenti.

UOMO GUERRIERO

Aner, componente della flotta di Diomede che sbarcherà alle Tremiti, cade in mare e naufraga a Maletta (Torre Mileto). Qui si salva fortunosamente. Dopo un po’ rinuncia a tornare in Grecia, si integra sposando una bella ragazza del luogo. Diventa un eroe, superuomo e strenuo difensore della piccola comunità slava da cui si sarebbe originata la città di san Nicandro, che secondo Maiorano e Iocolo prenderebbe il nome da nic   uomo e andro guerriero. Un’etimologia un po’ azzardata, secondo noi…

BIANCA LANCIA 

Bianca d’Agliano (Agliano Terme, 1210 circa – Gioia del Colle, 1248 circa), fu l’ultima moglie dell’imperatore Federico II di Svevia, che egli forse sposò in articulo mortis. Di ritorno dalla Palestina, Federico II, volendo spiare le mosse della ricostituita Lega Lombarda, soggiornò nell’Italia Settentrionale e proprio ad  Agliano conobbe la bella Bianca Lancia. Innamoratosi perdutamente di lei, le disse di essere vedovo di Iolanda di Brienne, da cui in realtà viveva separato. Dalla loro relazione nacquero Costanza, Manfredi e (forse) Violante.

Una leggenda racconta che presso il castello di Monte Sant’Angelo, Bianca Lancia fosse tenuta prigioniera per la folle e ingiustificata gelosia dell’imperatore. Stessa storia è tramandata a proposito della rocca di Gioia del Colle, dove Bianca sarebbe stata rinchiusa da Federico II per aver commesso adulterio.  La sensibile principessa non poté resistere all’umiliazione; vinta dal dolore, si tagliò i seni e li inviò all’imperatore su di un vassoio assieme al neonato. Dopo di che, conclude il cronista, “passò ad altra vita”. Da quel giorno, ogni notte, nella torre del castello detta ora Torre dell’Imperatrice, si ode un flebile, straziante lamento: il lamento di una donna offesa che protesta all’infinito la propria innocenza. 

Maiorano e Iocolo aggiungono che la leggenda è viva anche tra gli abitanti di Monte Sant’Angelo. I pianti della contessa Bianca Lancia si miscidano coi venti nelle notti di tempesta.  Altri giurano di aver visto il fantasma di Bianca con una lunga tunica bianca. Da quel triste momento iniziò a crescere attorno al castello una pianta selvatica dal fiore bianco. 

teresa maria rauzino