“Ho ucciso Angelo Notarangelo, Gianmarco Pecorelli e Pasquale Notarangelo, quest’ultimo con lupara bianca”. Nuove ed eclatanti confessioni dell’ex boss di Vieste, Marco Raduano, dal 15 marzo scorso collaboratore di giustizia. Il 41enne garganico detto “Pallone” è stato sentito, in collegamento da una località protetta, durante il processo “Omnia Nostra” che si sta svolgendo a Foggia.
Oltre ad altri efferati omicidi di cui è accusato e che lui stesso ha confermato, ora Raduano ha ammesso di aver ammazzato anche Angelo Notarangelo detto “Cintaridd”, storico boss di Vieste eliminato a gennaio 2015 allo scopo di prenderne il suo posto. Pasquale Notarangelo, nipote di “Cintaridd”, venne invece ucciso e fatto sparire (lupara bianca) nel 2017 sempre con l’intenzione di azzerare la famiglia Notarangelo. Il suo cadavere non è mai stato ritrovato, ma non si esclude che i recenti pentimenti possano fare luce sulle tante misteriose sparizioni avvenute negli anni sul Gargano.
Tra gli omicidi confessati c’è infine quello di Gianmarco Pecorelli, ammazzato nel 2018 nell’ambito della guerra con il clan Iannoli-Perna, gruppo criminale sconfitto proprio dalla compagine di Raduano.
Un fiume in piena l’ex boss, tanto che spesso i pm della Dda, Luciana Silvestris ed Ettore Cardinali gli hanno chiesto di rallentare e scandire meglio nomi e circostanze. “Ero inizialmente vicino ai Li Bergolis-Miucci, ma mentre ero in carcere seppi che avevano ammazzato mio cognato Gianpiero Vescera. Per questo motivo decisi di entrare a far parte del gruppo di Matteo Lombardi, Pasquale Ricucci, Pietro La Torre e Francesco Scirpoli“, tutti imputati in Omnia Nostra ad eccezione di Ricucci, morto in un agguato nel 2019.
“Non ammazzavamo persone innocenti, erano sempre persone che si erano macchiate di delitti di sangue”, ha spiegato Raduano parlando dell’omicidio di Giuseppe Silvestri, l’autista dei Li Bergolis, membro del gruppo di fuoco di Enzo Miucci, reggente del clan dei montanari. Anche Silvestri venne eliminato da Raduano in collaborazione con Matteo Lombardi, già condannato in via definitiva all’ergastolo per questa vicenda.
“Gli omicidi commessi li ho confessati spontaneamente, non ho ricevuto alcun avviso di indagine”, ha precisato in relazione agli agguati nei confronti dei due Notarangelo e di Pecorelli.
Ha ricordato anche la morte di Girolamo Perna detto “Peppa Pig”, ucciso sempre nel 2019. “Un tempo eravamo alleati poi si è avvicinato a Miucci, cercavamo da tempo di ammazzarlo”.
C’è poi l’omicidio di Giambattista Notarangelo del 2016, cugino di “Cintaridd” per cui Raduano è già stato arrestato di recente: “Fornii l’equipaggio, auto e armi”.
“Pallone” ha inoltre confermato il suo ruolo nel tentato omicidio di Giovanni Caterino, basista della strage di San Marco in Lamis condannato all’ergastolo in via definitiva: “Ho partecipato con soggetti foggiani. Caterino era vicino a Miucci e si occupava di azioni omicidiarie. Era un insospettabile che ruotava attorno ai Lombardi ma poi girava informazioni a Miucci. L’avevamo scoperto. Sospettavamo di lui anche per l’omicidio di Vescera, mio cognato. Ed eravamo certi del suo coinvolgimento nella strage di San Marco. Infatti lo cercavamo da mesi. Venni chiamato da Ricucci, Lombardi e La Torre per eliminarlo. Organizzammo un incontro a Macchia, un feudo del clan. Mi dissero dei foggiani spiegandomi che loro sparavano con le pistole e temevano che non riuscissero ad ammazzarlo. Per questo mi chiesero di partecipare con il fucile. Andammo io, Massimo Perdonó, uomo di fiducia del clan Moretti di Foggia (già condannato per questa vicenda, ndr) e un’altra persona”. Caterino, però, riuscì a scappare.
GERARCHIE CRIMINALI
Successivamente, Raduano ha fatto chiarezza sulle gerarchie del clan Lombardi-Scirpoli-Raduano, i cui membri di rilievo sono sotto processo in “Omnia Nostra”: “C’era Mario Romito che dovevo vedere proprio il giorno che l’hanno ucciso (strage di San Marco del 9 agosto 2017, ndr). Poi i principali erano Matteo Lombardi, Francesco Scirpoli, Pietro La Torre e Pasquale Ricucci. Loro erano i più carismatici e portavano avanti gli interessi del clan. Il territorio lo controllavano attraverso gli omicidi. Quelli al vertice che si occupavano di strategie erano tutti killer. Gli altri avevano ruoli più marginali. C’era un controllo militare sullo spaccio di droga. Io ricevevo dal gruppo 15mila euro al mese, poi venni arrestato e me ne davano 5mila. Gli altri 10mila se li dividevano Mattinata e Manfredonia, 5 e 5″.
“Nel gruppo stavano anche i fratelli Antonio e Andrea Quitadamo, Leonardo e Michele D’Ercole di Macchia, Mario Scarabino e soggetti di San Marco. Poi c’erano altre persone ad Apricena, San Giovanni Rotondo e Monte Sant’Angelo. A Mattinata tenevamo le armi, se ne occupavano i fratelli Quitadamo. Avevamo fucili calibro 12, il nostro marchio di fabbrica, ma anche Ak47. Altre armi stavano ad Apricena, poi Scirpoli mi disse che vennero sequestrate. Io incontravo soprattutto Scirpoli, in zone tra Vieste e Mattinata. Si diventava capi soprattutto per prestigio, anzianità e omicidi alle spalle. A dare ordini erano Matteo Lombardi e Pasquale Ricucci, poi Scirpoli e La Torre divennero quelli più di riferimento. Per gli omicidi a Vieste mettevo a conoscenza proprio Scirpoli. Poi lui riferiva al resto del gruppo. Lui aveva potere decisionale. Una volta Francesco Pio Gentile di Mattinata non era d’accordo su un omicidio a Vieste e Scirpoli mi disse che ci pensava lui. Mi diede una sorta di nullaosta“.
Confermate anche le alleanze con i foggiani: “C’era uno scambio di armi, killer e auto tra clan di Vieste, Manfredonia e Foggia. E ci aiutavamo sulle latitanze”.
Sulla droga, invece, “il referente era La Torre – ha aggiunto il pentito -. Con lui stavano Giuseppe Pio Impagnatiello e i D’Ercole. Trattavamo hashish, marijuana e cocaina. Una volta regalai 30 chili di marijuana a La Torre per avermi accolto nel loro gruppo”.
I pm della Dda gli hanno chiesto se qualcuno avesse delle attività ufficiali o un lavoro: “Una zappa in mano non l’ha presa mai nessuno. Non potevamo permetterci di aprire attività. C’era una guerra in corso, non sarebbero durate 24 ore”.
Corrispondenze anche dal carcere. Raduano ha ammesso di aver usato un telefonino che era costantemente in contatto con un unico numero, “diciamo a circuito chiuso”, ha spiegato il pentito. “Inizialmente ero in contatto con mio cognato Vescera, poi con Della Malva e Orazio Coda. Poi c’era anche la corrispondenza tramite lettere. Scambiavo messaggi soprattutto con Scirpoli tramite un soggetto calabrese nel carcere di Agrigento. Il tema era quello della collaborazione di Della Malva (ex sodale di Raduano, ndr). Cercavamo di capire il bagaglio di informazioni di Della Malva. Ci manifestavamo la nostra preoccupazione. Avevamo pensato anche di nascondere un gps sulle auto dei parenti dei pentiti per individuare le località protette”.
Infine, le rapine in giro per l’Italia: “Il gruppo faceva colpi anche da 200-300mila euro con cerignolani e calabresi. Nel mirino soprattutto caveau e blindati, gli assalti avvenivano con tecniche paramilitari. I garganici venivano coinvolti perché ritenuti bravi a sparare. Poi il giorno dopo tornavano sul Gargano e rubavano anche mucche per mille euro a testa. Lo facevano per evidenziare la loro umiltà. Gli animali erano un altro modo per controllare il territorio”.
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