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IL LIBRO DELLA SETTIMANA/ “DOVE IL CUORE MI DIMORA”, LE POESIE DI LUCREZIA D’ACCIA IN UN LIBRO

Alle donne, ai bambini a tutte le minoranze vittime di abusi, soprusi e violenze.

Un libro che era nell’aria da tempo, ero quasi certa che prima o poi la nostra Autrice avrebbe varcato il muro del coraggio e dato alle stampe le sue poesie, sì perché serve corag­gio per rendere tangibili i sentimenti, dare forma alle emozioni e ren­dere materia il pensiero, conservarne traccia come un lascito umano, è necessaria quella vena di follia, che mai manca a chi scrive poesia e non ne è certo carente Lucrezia D’Accia, sempre franca, viscerale, fiammante, come il manto dei suoi lunghi capelli sfidanti il vento e le stagioni che sembrano solo sfiorarla e mai intaccarla.

Dove il cuore mi dimora è una silloge poetica pensata nel tempo, un concentrato di ciò che la Nostra ha scritto nel corso degli anni in cui si è svelata in tutta l’onestà di donna in ogni sua sfaccettatura, tra gli eventi gioiosi che ne hanno allietato l’esistenza e quelli dolorosi, lut­tuosi che non le hanno risparmiato la sofferenza che pure è riuscita a forgiare la sua corazza, resistente alle tempeste e alle mareggiate come la sua ridente Vieste, adagiata sul mare, e non si è mai arresa agli accadimenti, sempre aggrappata alla speranza del domani mi­gliore, all’alba nascente e alla misericordia delle stelle:

[…] E come il mare /spesso m’infrango. /E come il cielo /spesso mi rischiaro. /Dopotutto c’è sempre un sole /a irradiare di colori l’aurora.

In questa raccolta poetica è il cuore a parlare vis à vis, mentre la ra­gione si offre a mediatrice, per stilare versi, colmi di emotività, che conciliano le trasparenze dell’anima con le esigenze speculative dell’intelletto, dando vita a una poetica priva di manierismi e orpelli ma genuina e viscerale che attraversa il vissuto dell’Autrice, ne deli­nea sagacemente Yintus, che non sfugge a un attento lettore:

[…] Ho fianchi stanchi /e vago al buio in cerca di stelle /che non rie­sco a prendere…/ e pensare che darei il mio viaggio per poterle ru­bare.

Liriche in versi sciolti che obbediscono a un ritmo interiore, dettato da una naturale inclinazione al dettato poetico e una adeguata padronanza linguistica che spazia attraverso un lirismo intimo, pudico, ge­neroso:

[…] Vorrei… /che fosse di bronzo /questo cuore di burro /perché non vi penetri /ogni crepa del mondo /e possa ancora sperare /di po­terlo portare in petto /e non dolorante in una mano… fino a giungere a tematiche ataviche eppur costantemente attuali di cui L. D’Accia si fa portatrice, avvertendo su di sé l’angosciante pre­senza dei mali che affliggono l’umanità e ne denuncia gli orrori, qua­li la violenza verso le donne o i bambini, i soprusi verso le fasce più deboli della società, lo sfruttamento delle minoranze:

[…] Il mio mondo lo voglio con iponti, /senza dogana e una sola bandiera, /sopra vorrei scriverci solo “razza umana ” /per non con­fonderci con gli alieni, /dei quali sembra questo pianeta sia infestato.

Un tracciato esistenziale, con sussulti di marcata spiritualità in cui spesso i versi divengono preghiera, il sostegno, l’appiglio per non morire da vivi e continuare a rinascere come le spighe e i papaveri: […]

Teniamo al caldo quello in cui crediamo /… facciamo che il freddo non vi penetri…

E quando salgono in cattedra gli affetti, con le mancanze, le partenze, a cui il destino ha strappato lembi di pelle, non si può evitare la sosta meditativa, la commozione che invade nella dolorosa rassegnazione di un presente che non può mutare il passato. Qui la nostra Autrice è figlia, madre, nonna, sorella e la sua poesia aleggia come una carezza per mutare il dolore in un amore che non muore, oltre ogni inevitabi­lità della morte che ruba crudelmente i giorni alla vita:

[…] Ti aspetto dove da sempre arrivi /senza deludermi mai. /Ti aspetto al nostro muretto / difronte a quel balcone che tanto amiamo. È così che questa silloge dipana l’incedere del tempo, vissuto morso a morso, senza sconti mentre Lucrezia D’Accia, ancora una volta, mi ha coinvolta nel suo universo in cui il giorno e la notte, il buio e la luce cementano l’antica alleanza della vita con sorella morte:

[…] Arriva un tempo in cui impari /a bastarti. /Il giorno insegue la notte /… e al tramonto la vede arrivare. /Che sia buona!

Maria Teresa Infante La Marca

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Lucrezia D’Accia, nasce e vive a Vieste. Ultima di cinque figli, oggi rimasti in tre. Ha amato la poesia fin da piccola, e negli anni della maturità le ha dedicato più tempo, iniziando a mettere su carta i suoi pensieri.

Scrive spesso soprattutto per metabolizzare il dolore e la sofferenza, infatti tante sue poesie sono incentrate sulla violenza di genere e i soprusi sui bambini e gli emarginati, nonché sugli affetti personali e la famiglia, a cui e molto legata.