Intorno agli anni Cinquanta, la Torre di Montepucci divenne, per qualche anno, la residenza di Manlio Guberti Helfrich. Pittore, incisore e poeta, era un uomo coltissimo, curioso di tutto, che amava molto la solitudine del selvaggio Gargano, e di Montepucci in particolare.
Manlio era capace di contemplare un’onda, intuendo l’ordine nell’apparente disordine e leggendovi armonie “frattali”. Scrive nel suo epistolario dal Monte Orcius: «In questi giorni ho fatto diversi studi di onde, specialmente vedendole dall’alto capisco perché gli antichi aggiogarono al carro di Poséidon i cavalli, che sono forse gli animali più belli della terra…».
Manlio Guberti, nato nel 1917 a Ravenna, è morto nel 2003, a 86 anni, nella sua amata campagna a Castelnuovo di Porto, in località Monte d’Arca, nei pressi di Roma, conducendo una vita da eremita, una vita tranquilla, lontano da rumori, odori e “trastulli” del mondo moderno. Aveva studiato musica e giurisprudenza, laureandosi nel 1939 all’Università di Bologna. Dopo la guerra, era entrato all’Accademia di Belle Arti di Roma, diplomandosi nel 1944. Nello stesso anno partecipava alla Biennale di Venezia, la prima di più di 50 esposizioni personali in Italia e nel mondo. Negli Usa, Guberti incontrò il regista George Cukor e divenne amico dei famosi attori Spencer Tracy e Katherine Hepburn. Ritrasse Frances Rich, una grande scultrice americana amica della Hepburn.
In particolare merita di essere ricordato che, durante la sua fortunata esperienza americana, la particolare lettura artistica del deserto valse a Manlio Guberti l’onorificenza di Sindaco onorario di Tombstone, nonché la citazione del quotidiano “Arizona Daily Star” per la sua capacità, unica, di “dipingere veramente il fascino del deserto”.
Ma “Nemo propheta in patria”… nemmeno Manlio. Per consolarlo, l’amico astronomo Paolo Maffei gli scrisse: “Nulla di quanto è prodotto dal pensiero va perduto… Non capiranno i tuoi dipinti né i tuoi versi né quelli di Omero o la Divina Commedia. E tuttavia, se sapranno progredire su una strada migliore della nostra, sarà merito anche di quanto hanno fatto Omero, Dante, Guberti”.
Nella pittura di Manlio Guberti possiamo cogliere le influenze del cubismo e del futurismo, che, con il passare degli anni, rielaborò attraverso una lettura personale ed incontaminata.
“Nessuno è profeta nel suo paese”, ribadì nel 2003 Jean-Louis Gaudet, ricordando che il museo statale russo di Yaroslav, città sul Volga a nord di Mosca, aveva acquisito molti suoi dipinti e incisioni, e annunciato l’imminente apertura di una galleria dedicata ai dipinti dell’artista. Conosciuto in tutto il mondo, Manlio fuggiva dalla notorietà. Mentre molti dei suoi colleghi corteggiavano gallerie e mostre dell’Italia del dopoguerra, Manlio rimaneva fedele ai propri principi, manteneva la propria libertà.
Manlio scrisse il primo manuale di “serigrafia” per artisti e nella prestigiosa collana dei Manuali Hoepli pubblicò «La Vela», un vero classico del genere. Il poeta e pittore, appassionato di vela, progettò e costruì particolari attrezzature che ancora oggi sono alla base di questo sport. “Le sue invenzioni – scrive Franco Gàbici – non conobbero mai l’albo dei brevetti perché i poeti sono candidi e non pensano a queste cose. Lui guarda il mondo coi suoi occhi poeta e di tanto in tanto gratifica gli amici con un volume di versi”.
E’ sempre Franco Gàbici che ne annuncia la morte: “Ho ricevuto proprio ieri, una lettera di Manlio di ringraziamento per tutti i pensieri degli amici nei suoi confronti e dentro c’era un bigliettino con su scritto “A cremazione avvenuta, vi comunico di essere morto il 12.XII.2003 – ore 17.30 c.”. Segue la sua inconfondibile firma. Manlio ha voluto essere vivo anche nel momento doloroso della morte …Oggi il mare era bellissimo, e mi è parso di vedere la vela di Manlio attorcigliata attorno all’albero maestro della vita, come un ombrellone chiuso per sempre in faccia al sole, e ho pensato con dolore a quanti hanno già sparso sulla grande spiaggia dell’eternità la sabbia delle loro clessidre e mi sono ricordato dell’eterno e delle morte stagioni, ma questo per la verità lo aveva già pensato il grande Giacomo, il poeta della Luna e della notte”.
Per celebrare il centenario della nascita, la galleria d’arte Medina, operante nel quartiere Esquilino a Roma, ospitò nel dicembre 2017 una personale dal titolo: “Manlio. Viaggio nella Memoria”. La mostra fu realizzata in collaborazione con la famiglia del pittore e con il patrocinio del Comune di Roma. Sarebbe auspicabile che le suggestive tele di Manlio tornassero in Capitanata, per una retrospettiva da ospitare alla Fondazione Monti Uniti di Foggia, da sempre sensibile alle avanguardie artistiche contemporanee, o a Peschici e a San Menaio, luoghi dell’anima dell’artista ravennate, che oltre a soggiornare nella Torre di Montepucci abitò, con la scrittrice svizzera Anna Keel, sua compagna di vita, in un villino di Calenella.
Teresa M. Rauzino
su L’Edicola del sud 30 luglio 2022