La consolazione, e non è poco, è che questa volta non c’è scappato il morto nell’incendio di Baia Campi e di Baia San Felice alle porte di Vieste con l’evacuazione di 800 villeggianti e turisti appiccato nello stesso giorno, nelle stesse ore dell’incendio che 17 anni prima – il 24 luglio 2007 – si sviluppò a pochi chilometri da distanza nella zona di Peschici, causando 3 morti e l’evacuazione di 4mila tra turisti e residenti. Furono aperte due inchieste. . L’esito? Nessun colpevole. L’auspicio tra fiducia, sogno o si dovrebbe dire illusione, è che oggi il finale sia diverso.
TRE BRUCIATI VIVI – Nel più grave rogo della storia del Gargano, 17 anni fa morirono Romano e Carmela Fasanella, fratelli peschiciani di 71 e 81 anni, rimasti intrappolati tra le fiamme nell’auto con cui rientravano in paese; e Domenico De Nittis, compaesano di 62 anni, gravemente ustionato mentre le fiamme distruggevano la sua bancarella per la vendita di vasellame: morì in ospedale a Genova dopo 3 giorni di agonia. La Procura di Lucerà competente per territorio (fu soppressa nel settembre 2013 e accorpata a Foggia nell’ambito della riforma sulla nuova geografia giudiziaria con chiusura dei Tribunali minori) annunciò l’apertura di 2 inchieste: omicidio volontario e incendio boschivo doloso rimasto a carico di ignoti; omicidio colposo e incendio colposo, con l’iscrizione nel registro degli indagati di 6 persone, accuse poi archiviate su richiesta dello stesso pm condivisa dal gip nonostante l’opposizione di un gruppo di turisti.
OMICIDIO VOLONTARIO – L’accusa principale poggiava su questi presupposti: chi appiccò in un uliveto le fiamme che si propagarono alimentate dal vento e da una temperatura di 40 gradi, doveva prevedere le conseguenze tragiche di quel gesto, accettando il rischio di poter uccidere: per il codice si chiama omicidio volontario con dolo eventuale. Un mese più tardi, a fine agosto 2007, gli esperti del servizio analisi chimiche del Consiglio nazionale di ricerche di Padova incaricati dalla Procura di investigare attraverso l’esame di terriccio, frammenti di legno e cenere, esclusero l’utilizzo di benzina o altri acceleranti, né vennero rinvenuti inneschi. Si accertò che nell’uliveto punto di origine del rogo ci fu un unico focolaio; e se davvero fu doloso chi agì usò un fiammifero. Unica certezza è l’indagine per omicidio volontario archiviata, e rimasta sempre a carico di ignoti.
ACCUSE ARCHIVIATE PER 6 — L’inchiesta parallela per omicidio colposo portò tra luglio e agosto 2017 a informazioni di garanzia a 6 persone: il proprietario dell’uliveto da cui si erano propagate le fiamme, ipotizzando che non avesse adottato le misure necessarie per prevenire incendi, ipotesi rivelatasi infondata; un dipendente dell’Anas, in quanto si pensava che nonostante alcuni turisti l’avessero informato del rogo non avesse diramato tempestivamente l’allarme: le indagini dimostrarono l’esatto contrario, il suo prodigarsi per raggiungere il primo posto telefonico e lanciare l’sos; il gestore di un deposito di bombole del gas ritenendo che le esplosioni avessero alimentato le fiamme, altra tesi non supportata da riscontri; 3 turisti sospettati di comportamenti omissivi e/o negligenti, il che non era.
L’ANALISI DEL GIP – A febbraio 2008 il pm chiese di archiviare le accuse nei confronti dei 6 indiziati; alcuni turisti si opposero all’istanza della Procura, chiesero al gip di disporre ulteriori accertamenti, lamentando una “carenza di indagini sia in relazione alla dovuta verifica di soggetti e enti incaricati della manutenzione del sottobosco, in quanto il proliferare di sterpagli ha sicuramente agevolato il propagarsi dell’incendio; sia una carenza di indagini dirette a accertare responsabilità penali derivanti da una condotta omissiva di chi è incaricato di formulare il catasto delle aree bruciate, perché questo strumento prevede interventi e direttive per affrontare in modo adeguato le emergenze di un rogo”. Il gip a gennaio 2009 rigettò la richiesta di nuove indagini e accolse l’istanza di archiviazione. E annoto quanto alle presunte carenze sul fronte della prevenzione incendi da parte di vari enti che “dall’indagine non è emersa alcuna specifica inottemperanza o omissione da parte degli uffici preposti, per cui non è possibile ipotizzare un collegamento causale con il propagarsi di un incendio di così vaste proporzioni”.
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