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«OVERTOURISM», IN ITALIA CI SONO TROPPI TURISTI? PROPOSTE PER SUPERARE L’EMERGENZA E NON PERDERE RICCHEZZA

In queste settimane si discute molto di turismo ed economia e la causa non è solo riferibile al periodo stagionale. C’è una riflessione più ampia in corso — anche se spesso in maniera disordinata — e riguarda un pacchetto di questioni decisamente importanti, che abbracciano il peso del settore turistico nel bilancio Italia, i nuovi orientamenti della domanda ma anche le distorsioni che un massiccio spostamento di uomini e donne dalle loro abitazioni in altri Paesi genera nelle località più ambite. In questo contesto, che presenta elementi di novità, abbiamo anche iniziato a usare con maggiore frequenza un’espressione — «overtourism» — per sintetizzare l’eccesso di domanda e i rischi che corre l’offerta. Le cronache, specie dalla Spagna, hanno rafforzato la nuova tendenza riportandoci le notizie dei cortei anti-turisti di Las Palmas assieme all’uso di pistole ad acqua fatto a Barcellona per scacciare più o meno simbolicamente i nuovi arrivati.

Stiamo passando da un estremo all’altro, da una concezione romantica e semplificata dei flussi di viaggiatori a una loro demonizzazione? E poi: come fa un’economia stagnante come la nostra a mettere in mora le risorse mosse dalla massa di turisti che affollano il Bel Paese?

Per tentare di mettere assieme questi elementi e districarsi tra le contraddizioni che il tema fa emergere, può essere utile leggere e commentare il report che Ref Ricerche ha dedicato all’economia del turismo «alla prova della sostenibilità». Partiamo da un elemento che merita di essere sottolineato e che lega la crescita delle attività turistiche internazionali agli effetti di alcune innovazioni di prodotto, capaci di allargare notevolmente la platea dei consumatori. La prima è la crescita del peso delle compagnie aeree low cost che ha consentito di viaggiare a prezzi più contenuti, la seconda — invece — riguarda l’offerta di servizi di alloggio in strutture private di piccola dimensione, come le case vacanze e i b&b offerti tramite le piattaforme digitali o i siti specializzati tipo Booking e Airbnb. Queste innovazioni di prodotto si sono incrociate con il protagonismo delle classi medie dei Paesi emergenti in grado di accedere a questo mercato e a questi standard di consumo e di poterlo fare in percentuale sempre maggiore. Il pensiero corre immediatamente ai turisti cinesi, ma non solo.

Il report di Ref Ricerche sottolinea, tra le grandi discontinuità di questa ultima fase, anche l’instabilità politica in Medio oriente e Africa settentrionale che ha azzerato alcune mete turistiche (vedi la Siria) e ne ha ridimensionate altre, capaci di mettere sul mercato un’offerta a prezzi molto competitivi in concorrenza con le mete tradizionali del Mediterraneo, compresa ovviamente l’Italia. È vero che in parallelo sono cresciute destinazioni come Croazia e Albania, ma non compensano per dimensione dei flussi le perdite degli altri Paesi.

Sommando tutti questi elementi, si segnala nel post-pandemia una ripresa del turismo internazionale estremamente vivace già nel 2023 e che si conferma più che sostenuta anche nel 2024. A dare gambe a queste dinamiche c’era lo stock di risparmio accumulato durante gli anni della pandemia dalla classi medio-alte e successivamente «liberato». Ma anche un mutamento culturale nella struttura dei consumi, una modifica degli stili di vita che ha portato il valore dell’esperienza a superare la gratificazione legata all’acquisto di beni. E quale esperienza può essere superiore a un viaggio?

La rassegna delle tendenze fin qui esposta non può che condurci alla conclusione che siamo in presenza di un’occasione importante per un’economia come quella italiana che ha da spendere, sul piano della concorrenza tra siti, il prestigio del proprio patrimonio naturale e artistico. Questa considerazione ha sicuramente una sua forza e ha portato settori della politica addirittura a concepire una sorta di staffetta dello sviluppo italiano, con il turismo candidato a rappresentare la struttura portante dell’economia tricolore a fronte di una manifattura indicata stagnante o addirittura in declino irreversibile. Ma è davvero così? E sarebbe auspicabile?

Ref Ricerche risponde implicitamente elencando una serie di obiezioni. Tre, nella sostanza. La prima è che le attività legate al turismo hanno effetti di depauperamento del territorio. In alcuni casi si arriva a situazioni di saturazione degli spazi che suggeriscono di introdurre limitazioni all’accesso, almeno in alcuni periodi. La manutenzione del territorio ha poi comunque costi elevati che, essendo sostenuti dal pubblico, inevitabilmente finiscono per gravare sulla fiscalità generale. Per dirla in sintesi, le esternalità negative del turismo finiscono per essere finanziate dallo Stato, ridimensionandone i benefici. La seconda obiezione riguarda l’impatto sulla struttura sociale dei centri urbani. La destinazione di un numero elevato di abitazioni a fini turistici genera un aumento degli affitti, una riduzione degli spazi commerciali di tipo più tradizionale ed esalta la nascita di attività come ristoranti, bar, rivendite di gadget. I cittadini residenti vengono quindi spostati verso le periferie e i costi ricadono sostanzialmente sui ceti medio-bassi delle città a causa dell’aumento del costo della vita.

La terza obiezione prende in esame la bassa qualità dei rapporti di lavoro. Ci sono nuovi job, ma a basso contenuto di capitale umano e a basso salario, molto spesso rifiutati o comunque considerati non particolarmente attraenti. Non si tratta quindi di un modello di sviluppo in grado di incidere in maniera significativa sulla disoccupazione. Alla fine il turismo appare come un comparto caratterizzato da forme di lavoro più precario, con grande incidenza dei contratti a termine o a tempo parziale o addirittura di lavoro irregolare.

Ma veniamo all’overtourism. Dati del 2019 ci dicono che il 15% dei Comuni totalizza l’86% del totale delle presenze turistiche in Italia. Come già detto, quest’eccesso di concentrazione genera un peggioramento della qualità della vita dei residenti con innalzamento del prezzo degli immobili e abbandono del centro urbano da parte dei ceti medi. La soluzione proposta per arginare queste tendenze negative si basa su meccanismi di contenimento dei flussi turistici in entrata, anche mediante l’imposizione di norme più stringenti riguardo la destinazione di abitazioni private a scopo ricettivo (il caso Airbnb).

Secondo Ref Ricerche è chiaro che questa non può essere una soluzione universale e invece politiche del genere risultano ottimali quando sono gestite a livello locale in determinate aree circoscritte. Quindi può risultare utile introdurre meccanismi di contingentamento degli arrivi nelle città d’arte come Venezia, Roma e Firenze, almeno in alcuni mesi dell’anno. Ma, attenzione, questa formula non è valida per il Mezzogiorno, in cui il turismo rappresenta la voce più importante nella struttura produttiva locale. «In tal caso gli effetti di politiche disincentivanti del turismo di massa ridurrebbero le già misere opportunità del territorio». Per ridurre l’eccesso di pressione oltre un potenziamento dell’offerta meglio cercare di governare la domanda durante l’anno, mediante eventi o altre attrattive spalmate su più mesi.

corrieredellasera