Brucia, brucia il Gargano nei suoi punti più impervi, da Vieste a San Giovanni Rotondo. La cronaca di questi giorni ha tenuto con il fiato sospeso la città di Padre Pio, nelle adiacenze di quella “Casa sollievo” che il Santo voleva dalle sofferenze; per non dire della vicinanza con la struttura “Gli angeli di Padre Pio”.
Operazioni eccellenti, lanci d’acqua, tenacia nel domare le fiamme con un impegno sfiancante di ben 36 ore. Le indagini dovranno accertare la natura, come si dice in questi casi E viene da chiedersi, nell’ipotesi dolosa, come sia possibile accanirsi contro la natura in modo così selvaggio.
Come se non bastassero i 40 gradi, i mari bollenti, la relativa pesca in affanno, la siccità, gli invasi che dalla notte dei tempi sono da queste parti peggio di un colabrodo. Eravamo bambini quando si diceva di Occhito, un mostro a tre teste che evoca scenari distopici più che una diga.
Ogni volta che viene nominato il più grande invaso artificiale della Capitanata non è mai una buona notizia; è per decretarne la chiusura. Con il conseguente affanno per le colture stagionali e per gli usi potabili. Una crisi senza precedenti e le alte temperature sembrano quasi ottundere le menti e sfumare la percezione del pericolo.
Dopotutto siamo in vacanza, più stanchi di prima per un caldo che non molla, e se ne parlerà a settembre dei problemi. Si ha un bel dire che bisogna andare oltre l’emergenza; quasi mezzo secolo – almeno a nostra memoria – non è bastato, così come non è bastato, evidentemente, tornando al fuoco, il grande incendio di Peschici del 2007, tre morti, trecento feriti, evacuazioni di massa e gente che in uno scenario di apocalisse si lanciava in acqua per trovare scampo dal fuoco.
Acqua e fuoco. Di morte e non di vita. Questa terra riarsa e brulla che Ungaretti tanto amò celebrandola nelle Prose daunie quale “regno dell’aridità” che tuttavia sa trasformarsi, con miracoloso rovesciamento vitale, “nell’ondeggiare del grano impazzito”, sembra pagare un pegno infinito.
Con ossessive ripetizioni di situazioni che non vorremmo, in una sorta di “déjà vu”, gli incendi si guardano con occhi persino rassegnati. Nessuno ambisce a un mondo perfetto e rigenerato – l’Eldorado non esiste per definizione – ma se qualche miglioramento è in nostro potere è il caso di provvedere. E sognare ancora, chissà, le acque fresche dentro cui amava farsi vedere il delfino Filippo che aveva donato la sua amicizia agli esseri umani allietandoli con salti spettacolari.
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