Il processo inizierà il prossimo 22 ottobre, dinanzi al gup Francesco Vittorio Rinaldi del Tribunale di Bari. Imputati, insieme all’ex boss viestano, sono Danilo Pietro Della Malva, Orazio Coda e Michele Notarangelo ritenuti esecutori materiali, e Michele Lapacciana, accusato di favoreggiamento.
Hanno chiesto e ottenuto di essere giudicati con il rito abbreviato, i cinque soggetti (tre dei quali collaboratori di giustizia) accusati a vario titolo di aver partecipato all’omicidio di Giambattista Notarangelo, 46enne viestano assassinato la sera del 6 aprile del 2018, in località Palude Mezzane.
Gli imputati sono l’ex boss e ora collaboratore di giustizia Marco Raduano, accusato di essere il mandante dell’agguato, Danilo Pietro Della Malva, Orazio Coda e Michele Notarangelo ritenuti esecutori materiali, e Michele Lapacciana, accusato di favoreggiamento. La posizione di un sesto indagato, invece, è stata stralciata perché nel frattempo deceduto in un agguato di mafia.
Il processo inizierà il prossimo 22 ottobre, dinanzi al gup Francesco Vittorio Rinaldi del Tribunale di Bari. L’omicidio, secondo l’accusa, è stato eseguito “con metodo mafioso” e con “modalità plateali”: in particolare, si legge nella richiesta del pm Cardinali, Notarangelo Michele, Della Malva Danilo Pietro e Coda Orazio, in concorso tra loro e con un altro indagato “approfittando del luogo di campagna isolato in cui si trovava la vittima”, ne provocavano la morte “sparando con una pistola semiautomatica calibro 45, una pistola semiautomatica calibro 9 e un fucile calibro 12″. Almeno 16 i colpi esplosi all’indirizzo del 46enne, lasciato agonizzante sul terreno, nei pressi dell’allevamento di suini che la vittima gestiva.
Il tutto, rimarca il pubblico ministero “con premeditazione e per abietti motivi” – consistiti nella ritorsione di Della Malva nei confronti della vittima che aveva “contrastato la relazione sentimentale intrapresa l’ex moglie del cognato”, nonché con la finalità di “acquisire nel territorio un incontrastato controllo criminale mediante la consumazione dell’efferato delitto”.
Un’esecuzione in piena regola, commessa “con metodo mafioso”, rimarca il pm, in una città all’epoca contesa “tra due principali gruppi criminali che si fronteggiavano con le armi per ottenere e assicurarsi il controllo territoriale, in modo plateale (per modalità di consumazione del reato e numero e tipo di armi utilizzate) e tale da incutere pubblico timore, anche nei confronti di soggetti inseriti o vicini all’avversa organizzazione criminale (Perna/Iannoli), e in risposta alle intemperanze del Notarangelo Giambattista, che doveva essere punito” al fine di costituire una “lezione” per gli altri soggetti che non riconoscevano il predominio di Raduano-Della Malva.
Ancora, Raduano, Notarangelo, Della Malva e Coda rispondono della detenzione della Jeep Renegade rubata a Bari e utilizzata per l’agguato, e delle armi messe in campo (due pistole e un fucile) illegalmente detenute e portate in luoghi pubblici. Le armi sarebbero poi state poi occultate da Lapacciana che, per questo motivo, risponde di favoreggiamento.
Nel processo ai nastri di partenza, il Comune di Vieste si è costituito parte civile: “La mafia non deve trovare spazio né qui né in alcuna parte del nostro Paese”, ha dichiarato perentorio il sindaco, Giuseppe Nobiletti
Notarangelo, si legge nelle carte, sarebbe stato ammazzato per aver importunato i pusher del gruppo contrapposto sottraendo loro della sostanza stupefacente e per aver parlato male di Raduano non riconoscendone la “supremazia criminale”. Inoltre, Giambattista Notarangelo avrebbe “contrastato” una relazione sentimentale intrapresa da Danilo Della Malva.
L’efferato delitto si è consumato in un luogo di campagna isolato, dove la vittima stava lavorando, con una pistola semiautomatica calibro ’45, una pistola semiautomatica calibro 9 e un fucile calibro 12. In particolare Danilo Della Malva, Orazio Coda, Michele Notarangelo e un altro soggetto, assassinato nel 2018, nella tarda mattinata, giunti sul posto a bordo di una Jeep Renegade oggetto di furto e data alle fiamme dopo il delitto, nei pressi della Sp 52 ter, scesero dall’auto (tranne Orazio Coda) e sorpresero in un terreno Notarangelo, colpendolo in diverse parti del corpo con almeno 16 colpi d’arma da fuoco, di cui 6 andarono a segno. Notarangelo fu lasciato agonizzante e morì nel giro di poche ore.
Danilo Della Malva avrebbe commesso il fatto durante il periodo in cui si era sottratto alla cattura, mentre Coda era stato ammesso alla misura alternativa alla detenzione in carcere. In quel periodo Marco Raduano – oggetto di un agguato due settimane prima – era un sorvegliato speciale con obbligo di soggiorno.
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