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DESCRITTIONE DI TUTTA L’ITALIA ET ISOLE PERTINENTI AD ESSA NELLA QUALE SI CONTIENE IL SITO DI ESSA, L’ORIGINE E LE SIGNORIE DELLE CITTÀ E DE’ CASTELLI…

1550

Frate domenicano bolognese, Leandro Alberti (1497 – 1553), erudito accompa­gnatore del Generale dell’Ordine in un viaggio negli stati italiani rinascimentali, pubblica nel 1550 una Descrittione di tutta l’Italia et isole pertinenti ad essa. Con vivacità di scrittura letteraria, vengono illustrati i siti, l’origine e le signorie delle città e dei castelli “co’ nomi antichi e moderni, i costumi de’popoli e le conditioni de’ paesi”.

Nell’undicesima regione tratteggiata nell’opera, che è ritenuta la migliore del Cinquecento, è descritto il monte Gargano (hora di S. Angelo nominato). Di rilie­vo sono le notazioni su alcune colture caratteristiche del Promontorio e sulla particolare consuetudine di definire, a San Giovanni Rotondo, il mercato dei cere­ali.

Descrittione del Monte Garqano

(dalla “città di Rode” alla “devotissima Spelunca”)

Questo monte è dimandato Gargano da gli antichi scrittori, tra i quali è Strabone, Plinio, Pomponio Mela, Verg. nel II lib. quando dice. Victor Gargani condebat Iapygis. Et Lucano nel 5. Apulus Adriacas exit Garganus in undas. Et Oratio, nel 2. de i Carmini dice Querceta Gargani laborent, e Silio Italico nel 8. lib. e in molti altri luoghi, e Livio, e Tolo. Con altri assai scrittori, e parimente Faccio degli Uberò nel cap. I del 3. lib. Dittamondo quando dice. Simile modo quando ei fu noto / Monte Gargano, la dove Sant’Agnolo / In fin’ a lui non mi parv’ire in voto. / Con quell’istudio che fa la tela il ragnolo / ci studiavamo per quel camin alpestro. / E passavamo hor questo hor quel rigagnolo.

Avanti che più oltre io entri alla descrittione di questo monte, voglio avisar à i lettori, com’è stata fatta memoria di esso monte da quegli autori antichi che furono innanzi che mai S. Michele Arcangelo vi si dimostrasse, come narrano l’historie.

La onde chiaramente si vede esser favola quella che si legge nell’apparitione di S. Michele, che ’l detto monte acquistasse il nome da Garga­no huomo ricco, il quale havea grand’armenti d’animali, e che volendo saetare il bue da lui fuggito, fosse egli dalla saeta (che tornò à dietro) ferito; imperò che di molte centinaia d’anni egli è ricordato esso monte Gargano da gli antichi scrit­tori, avanti che fosse detta apparitione di S. Michele. Lasciando questa regione, entrerò alla descrittione di esso monte.

È questo monte Gargano molt’alto, e evvi faticosa via da poterli salire. Nel qual sono alquante piacevoli selve, ma benché in piu luoghi sia privo d’alberi, nondimeno vi si raccogliono molte specie di sanevoli erbe per l’infermità. Dal lato che risguarda al mare (come etiandio dimostra Str.) si distende un braccio di monte verso l’oriente, lungo 320. stadij, o siano da 40. miglia. Nasce questo alto monte dall’Appennino, dalle cui radici esce una schiena molto alta, 2. miglia larga e 20. lunga.

La quale passata, comin­cia il monte alzarsi a poco a poco, e così facendo esce molto alto, grande e largo, ben però fruttifero. Entra poi tanto nella marina, che quella gli circonda le radici che finiscono alla pianura da 200. miglia, avvenga che Plinio dica 134. Egli è in molti luoghi precipitoso, dal lato, che risguarda al mare, ove manda fuori quel braccio avanti descritto, secondo il riporto di Str. Pensò Diomede di far una fossa per spartire esso braccio dal resto del monte, acciò ch’entrandovi, Tacque marine, ne risultasse un’isola, ma non potè esequire il suo disegno, essendo sfor­zato a ritornare alla patria, ove si morì. Sono in questo monte alquanti luoghi da descrivere.

Et prima veggonsi alquanti Laghi da pescare. Tra i quali vi è il lago di Varrano, che gira intorno 30. miglia, ove sono alquante castella cioè Caprino, Cognato, Iscitella, e nella faccia dell’antidetto braccio di monte, la città di Bestia così dal volgo nominata in vece di Vesta, imperò che quivi ne’ tempi antichi era il tempio dedicato a Vesta (secondo il Razano). Quindi a 10. miglia vedesi Vestice castello, et passato tutta la piegatura di detto braccio, la città di Rode, qual nomina Str. Urcem (ch’era picciola ne’ suoi tempi) e Pomp. Mela, Uris, ma credo, sia corrotto il lib. et voglia dire, Uryas. Et Pii. nomina i cittadini di essa, Irini. Ma il dotto Barbaro nelle correttioni Pliniane dice, ch’è guasto il li. di Pii. e che’l vuol dire Hyrini, adducendo in testimonio Tolo. Eustathio, e Erodoto, che dicono che fosse Hyria una Colonia della Giapigia.

Vero è, che Tolo accor­dandosi con Dionisio Afro, la nomina Hyrium, e non Hyria, come dice il Bar­baro. Secondo però alcuni si doverebbe nominare dal volgo Rore, e non Rode, perché quivi scende dal Cielo tanta temperata rugiada, che fa produrre i campi con gli alberi buoni, e saporiti frutti. Da questa citta si partì Alessandro Papa III. con 13. Galee dategli da Guglielmo Normano per varcare a Vinegia a pacificarsi con Federico Barbarossa Imperatore, come narra Biondo nell’historie. Termina a questo promontorio il Seno Ionio, e comincia l’Adriatico, secondo Tolomeo (avvenga che altri dicano detto Golfo Ionio finire a Brindisi, secondo ch’è detto disopra.) Disegna Hierio Tolomeo nel golfo Adriatico, ov’egli comincia. Par che questo monte Gargano con alcuni altri luoghi vicini si deono nominare Giapigia, della quale opinione par che fosse Verg. quando disse. Victor Gargani condebat Iapygis arces. Sì come dichiara Servio dicendo, esser la Giapigia parte di Puglia, ov’è il monte Gargano. Per hora altro non dirò di questa Giapigia, imperò che riservo più in giù à Favellarne. Seguitando il camino lungo il lito del mare, ritrovansi alcuni luoghi di poco affare, e per tanto li lascierò senz’altra mentione.

Di ri­scontro à questi luoghi, vedesi nel mare S. Maria di Tremite, già dette lsole di Diomede, delle quali nella descrittione dell’Isole attenenti all’Italia ne parlerò. Più avanti pur seguitando il lito, ritrovasi la foce del fiume Fiterno, hora Fortore, appresso il lago di Lesina, come si dimostrerà più avanti. Flavendo descritti i luoghi littorali posti alle radici del monte Gargano (hora di S. Angelo nomina­to) passerò alla descrittione de i luoghi posti fra quello.

Ritrovasi primieramente in cima detto monte il castello di S. Angelo così è nominato dalla devotissima spelonca consecrata all’Arcangelo San Michele, della quale presto ne parlerò. Giace adunque questo castello sopra il monte, et sopra l’alta rupe, che risguarda al mare ove è fabricata Manfredonia sei miglia discosto. Egli è ben’habitato, et è forte luogo, ove lungo tempo dimorarono i Saracini, a dispetto de’ Christiani, per esser il luogo forte di natura, e abondevole delle cose necessarie per il loro vivere, che si cavano di quei luoghi del monte. Insino ad oggidì si vedono le sepolture nel sasso cavate, secondo i loro malvagi riti, e profane cerimonie.

Vi si raccogliono le cose per il vivere de’ mortali, et fra l’altre, buoni vini vermigli. Quivi si vede la devotissima Spelunca, et sacrato Tempio dedicato a San Michele Arcangelo, la quale fù ritrovata (manifestandola il S. Angelo) nel­l’anno della gratia 586. a gli otto di Maggio essendo Pontefice Romano Gelasio, e Imperatore Zenone, et Arcivescovo di Siponte Lorenzo, per essere stato ferito il servo di Gargona dalla propria saetta, c’havea tirata al bue del padrone, ch’era avanti la foce di detta spelunca.

Io ritrovo gran differentia dell’anno che fu ritro­vata questa spelunca, conciosia cosa che Giacomo Filippo Pelanegra dica che fu nel 536. da che il figliuolo di Dio s’incarnò, tenendo il seggio di Pietro Gelasio, e flmperio Zenone, et Sigisberto dimostra che fu questa cosa l’anno secondo di Gelasio 2. et il 17. di Zenone, dell’avenimento di Christo 492. onde ritrovo che vi sarebbe differenza di 44 anni tra questi dui. Imperò che il Pelanegra vi dareb­be 44. anni piu che Sigisberto.

Et perciò credo che ’l sia in errore, perché nel 536. era Papa Giovanni secondo, et Imperatore Giustiniano primo. Talmente è di­sposta essa spelunca, come scrive Giacomo Filippo Pelanegra Troiano, in un suo libracciuolo, che mi fu dato da i Venerandi sacerdoti i quali servono a questo luogo, essendovi io andato nel 1525. E un luogo, non da humano artifìcio, e ingegno, ma da essa natura Angelica cavata a posta dentro un vivo sasso nell’antedetto monte, ove si comincia ad entrare da cima per una porta di mar­mo grandissima, da i Signori del Regno fabricata, posta al Mezo giorno.

Et in quella si discende continuamente per 55. gradi verso il Settentrione. Et se le spesse fenestre, con artefatte, nel rotto sasso, non illuminassero le marmoree scale, ivi non si potria gire comodamente senza lume artificiale. Nel fine de i quali, si ritrova un Cimiterio in piano scoperto, ove sono molte cappelle, e sepolture. Fra queste, avanti che si entri nella santa grotta, a man sinistra, se ne vede una bella con l’insegne de i Puderichi gentil’huomini Napolitani, antica­mente signori del luogo. Appresso questa Cappella, per un’altra porta lavorata di arteficioso metallo, s’entra nella santa spelonca, Né avanti che’l sole esca dell’on- de del sottoposto mare Adriatico, e che copra le spalle del monte, ivi è lecito a persona entrare, questo uscio guarda all’Occaso.

A man destra si vede la maravigliosa Grotta, casa del santissimo Arcangelo Michele distesa verso l’Oriente, tutta d’un pezzo, e viva pietra, sempre puro humore distillante: horrida, bassa, e oscura. Credo non ad altro fine, e ornamento fatta che per la salute dell’anime nostre. Nel mezzo trovasi un picciolo Coro, ove si saghe per quattro gradi. Ma come ti avicinerai al sacro altare dell’Angelo poco più in alto, e elevato, ò vogli ò nò, sei costretto di venerare detto luogo, ivi si vede il pargoletto Altare consacra­to dal santo Angelo vestito di un’altro sopr’altare manualmente fatto, ove si celebra le più parte le quotidiane messe.

Né questo luogo e aperto à tutte le persone. Indi non poco discosto è un Fonte picciolo di divin liquore, sempre scaturiente, che gli huomini della Citta usano quasi in tutte le infìrmità, per sanissima medicina. Da man sinistra sono più altri altari, capelle, e altri luoghi secreti da dir messa. Et tra gli altri vi sono due altri altari, che furono fatti dal S. Angelo. Vi sono anco quei luoghi di sopra da orare, non fatti apposta, ma produtti dalla natura in esso sasso, per invitar i mortali à contemplatione, e penitentia.

Il suolo della spelunca è di bianco, e di rosso marmo dipinto. Dalla parte di fuore, cioè disopra della Grotta, è un verde, e folto boschetto, d’altissimi alberi ottuso carco, et vestito. Sopra i rami, de i quali pende grandissima quantità di pietre d’ogni sorte, che su per il monte alcuni pelegrini portano al collo per loro voti, et divotioni, et ivi poi l’appicano con le sue orationi. Egli è certamente cosa maravigliosa a veder questo boschetto conciosia cosa che per molto spatio di questo monte, non si vede alcun’albero. La onde par più tosto miracolo, che cosa naturale a vedere tanti alberi, et così grossi nel vivo sasso radicati. Fummi narrato (essendo quivi) che ne’ tempi di Carlo ottavo Re di Francia, il qual soggiugò il Reame, nel 1494, fu tagliato uno de’ detti alberi da un Francese, il che fatto divinamente ne rimase morto. Etiandio nella detta spelonca vidi una bella Croce di chiaro cristallo, lunga circa un palmo, e mezo, la quale secondo quei venerandi sacerdoti, fu quivi ritrovata essendo conosciuta miracolosamen­te la detta spelunca.

 Ritrovasi poi nel mezzo di questo Monte, ove è la bella pianura con vaghi prati, il castello di S. Giovanni Ritordo, ove ciascun’anno nel giorno di santo Onofro a gli undici di Giugno si raunano i vicini popoli, e havendo ben considerato la qualità de i raccolti del grano, orzo, e d’altre biade, di commun parere tassano il predo a tutte le biave: la qual tassa non può trapas­sare alcuno. Ne’ lati di questo monte veggonsi in più luoghi vestigi d’antichi edifìci, che lascierò per esser abbandonati. Vero è, che alle radici del detto, da mezo giorno appresso la pianura fra S. Severo, e Manfredonia, si scorge San Vito assai sufficiente castello di edifici, ma però abbandonato, per la moltitudine delle serpi, che vi sono, e di continuo l’abbondano.

Et ciò non dee parere impos­sibile, perché anco Solino nel 7. capo, narra come fossero minate molte habitationi da i Serpenti, e massimamente nell’antica Calabria, le quali Serpi sono nomina­te Chersedri. Pur da questo lato, che risguarda al Meriggio nel principio del monte antidetto, vi è Arignano castello; e seguitando pur le radici di quello, piegandosi però all’Occidente, ove comincia la via da salire sopra detto monte d’Arignano, tre miglia discosto, e dal Mare cinque, si scopre Santo Alicandro castello, e più avanti altrettanto, et due dalla radice del detto, Precina, assai honorevole castello, e di popolo assai ben pieno.

Quivi si vede un magnifico Palagio fatto da Federico II Imperatore per cagione, che cacciando egli in questi luoghi, doppo molte fatiche conquistò un gran cinghiale quiivi, e vi fece ordina­re una bella cena, ove vi fu presente esso con tutti i suoi baroni. Il che fatto volse che in questo luogo a memoria di detta cosa si facesse un castello, e che se nominasse Apricena dal Cinghiale preso, e mangiato nella cena.

Ben’è vero, che non sapendo il volgo la cagione di tal nome, e etiandio, non sapendolo isprimere, lo domandarono prima Pricena, poi Precina, e alfine, Procina, in vece d’Apricena. Poscia essendo fabricato, lo consignò detto Federico ad alcuni soldati vecchi, che havea condotto seco in Sicilia, per loro riposo.

Cosi scrive Razano. Più avan­ti caminando sei miglia verso l’Occidente, si scopre Torre maggiore castello, quattro miglia vicino al fiume Fortore. Poscia dopo altrettanto verso il Meriggio, vedesi San Severo dal Monte di S. Angelo similmente quattro miglia lontano. Egli è questo castello molto, ricco, nobile, civile, e pieno di popolo; e è tanto opulento che non ha invidia ad alcun’altro di questa Regione. Secondo Strabone nel sesto libro erano nel territorio Daunio (benché dica il corrotto libro Sannio) circa un picciolo colle addimandato Driono due Tempij, uno de i quali apparea nella cima del detto collicello, consacrato à Calcante, ove sacrificavano quelli, che cimavano haver risposta da lui, dormendo la notte sopra la pelle d’un Mon­tone negro in terra istesa, l’altro Tempio era dedicato a Podalirio, e fabricato alle radici del detto collicello, cento stadij, ò siano dodici miglia, e mezo dal mar discosto. Usciva di questo Tempio un ruscelletto d’acqua giovevole à tutte finfirmità de gli animali, Io credo che tai Tempii non fossero molto discosti da questi luoghi, vicini al monte di S. Angelo.

Descritto il Monte Gargano, ò di S. Angelo co i luoghi posti alle radici di esso entrerò nella larga pianura di questa Regione, hora Capitinata detta.

Leandro Alberti (1497 – 1553)