E data ormai per scontata l’ipotesi di un rientro anticipato di Antonio Decaro da Bruxelles in Puglia per candidarsi alla successione di Michele Emiliano, tra un anno, alla presidenza della Regione. Con la benedizione – almeno in apparenza – di presidente uscente e Pd, del cosiddetto civismo, della sinistra vendoliana e verde, di renziani e Calenda.
Resta il rebus delle alleanze che sta tormentando il M5S, ma dopo l’exploit dell’ex sindaco di Bari alle Europee il percorso della nomination appare senza ostacoli. Anche se nella politica attuale un anno equivale a un’era geologica, per la volatilità dei processi e delle fasi, la candidatura di Decaro dipende ormai solo da lui. E qui sta il punto. Perché, ragionando a bocce ferme, emerge più di qualche motivo per considerare il rientro se non un azzardo, almeno un salto con molte insidie per l’europarlamentare.
Il primo riguarda la sfera personale. Cresciuto e formatosi politicamente in un territorio lontano dal centro, Decaro ha oggi l’opportunità di uscire dai confini locali, respirando il clima stimolante di un’esperienza internazionale, ricoprendo un molo già importante a Bruxelles e con la prospettiva, nemmeno tanto lontana, di ottenere incarichi ancora più prestigiosi.
Davanti a sé, non è esagerato, ha una prateria. Interrompere l’attuale avventura, perciò, sarà una decisione quanto meno sofferta. Non si tratta tanto di rinunciare a un inebriante “imborghesimento” dello status, quanto e soprattutto di abbandonare una legittima ambizione di crescita e l’aspirazione a maturare fino in fondo un’esperienza attraente. A ciò, va aggiunta la considerazione che un’eventuale elezione in Puglia inchioderebbe Decaro, per anni, a una dimensione più defilata nel partito nazionale, dove invece gode di una stima ampia e trasversale che, in caso di implosione della leadership di Elly Schlein, potrebbe proiettarlo ai vertici del Nazareno.
La seconda e, forse, ancora più consistente resistenza al rientro a Bari riguarda il rischio insito nel molo che Decaro andrebbe a ricoprire. Quasi mai un bravo sindaco si è rivelato anche un bravo presidente di Regione. L’esperienza regionale, anzi, ha coinciso spesso con la fase discendente delle cartiere politiche, soprattutto al Sud. Le parabole di non pochi primi cittadini meridionali e di centrosinistra lo confermano. D caso Bassolino è il più clamoroso: considerato tra i più valenti e rimpianti sindaci nella storia di Napoli, ha conosciuto una stagione di veloce declino da presidente della Regione. Identico discorso per De Luca, amato e stimato come primo cittadino di Salerno, ma molto meno apprezzato da governatore.
corrieredelmezzogiorno