Menu Chiudi

OMICIDIO NOTARANGELO A VIESTE AL PROCESSO PARLANO I PENTITI

Le richieste della Dda per la guerra tra i clan della mafia garganica.

Il pm della Dda Ettore Car­dinali ha chiesto l’ergastolo per Michele Notarangelo, e altre 4 condanne a complessivi 24 anni e 4 mesi nel processo abbreviato davanti al gup di Bari Francesco Vittorio Rinaldi a 5 viestani tra cui tre pentiti, coinvolti nell’in­chiesta sull’omicidio mafioso del compaesano Giambattista Nota­rangelo (omonimo dell’imputa­to), assassinato a 46 anni il po­meriggio del 6 aprile 2018 mentre era in campagna a dar da man­giare ai maiali. Raggiunto da 16 colpi esplosi da 2 pistole e un fu­cile, fu lasciato agonizzante; ag­guato collegato alla guerra tra il clan Raduano e i rivali del gruppo Perna/Iannoli cui era ritenuta vi­cina la vittima. I 5 imputati fu­rono arrestati lo scorso 11 aprile.

GLI SCONTI Al PENTITI

15 viestani rispondono a vario titolo di omicidio aggravato da preme­ditazione, motivi abietti e mafìosità; porto e detenzione illegale delle armi; ricettazione e riciclag­gio della “Jeep Renegade” utiliz­zate per il delitto; favoreggiamen­to; e spaccio. Tenendo conto della riduzione di un terzo della pena prevista dal rito abbreviato, il pm ha chiesto l’ergastolo per Michele Notarangelo, 28 anni, uno dei pre­sunti killer; 10 anni per il pentito Danilo Pietro Della Malva tren­tottenne; 8 anni e 4 mesi per l’altro pentito Orazio Coda, trentacin­quenne, rei confessi dell’omici­dio; 2 anni la pena chiesta per Marco Raduano, 41 anni, ex capo dell’omonimo clan pentitosi lo scorso marzo, che risponde “solo” di concorso nella ricettazione dell’auto e delle armi usate per l’omicidio, cui è quindi estraneo (contrariamente a quanto scritto nell’articolo dello scorso 23 otto­bre); 4 anni infine la richiesta di condanna di Michele Lapacciana, ventottenne, imputato di favoreg­giamento e possesso d’armi per­ché le avrebbe ricevuto dai sicari dopo l’agguato; e per detenzione di droga: si dice innocente.

“SÌ, C ERO ANCH’IO”  

In apertura d’udienza Michele No­tarangelo, rendendo dichiarazio­ni spontanee dal carcere di Secondigliano dove già sconta 20 an­ni per droga e tentato omicidio, ha ammesso il coinvolgimento nell’omicidio. Ha detto che su sol­lecitazione di Della Malva sparò alle gambe di Giambattista Notarangelo, che subito dopo gli si scagliò contro; al che interven­nero prima Della Malva e poi Antonio Fabbiano che fecero fuoco con un fucile e una pistola. A dire di Michele Notarangelo non fu un omicidio di mafia legato alla guer­ra tra i Raduano e i Perna/Iannoli, ma commesso per volere di Della Malva che aveva una re­lazione con una donna in passato sposata a un parente della vittima che contrastava quella storia d’amore. Subito dopo ha preso la parola Della Malva per smentire il coimputato: ha rivendicato l’importanza della propria colla­borazione con la Giustizia; rimar­cato che grazie a lui si sta facendo luce su fatti di sangue; ribadito che Giambattista Notarangelo fu ucciso per rivalità tra gruppi ri­vali, visto che schiaffeggiava spacciatori del clan Raduano.

RISARCIMENTI DANNI  

Alla requisitoria della Dda sono segui­te le arringhe delle parti civili (Comune di Vieste, Federazione antiracket, Avvocatura dello Sta­to per il ministero dell’Interno e familiari della vittima) che hanno chiesto condanne e risarcimenti; e dei legali dei collaboratori di Giustizia che sollecitano il mini­mo della pena. Si torna in aula a dicembre per le arringhe dell’avv. Angelo Pio Gaggiano, legale di La­pacciana; e degli avv. Salvatore Vescera e Francesco Americo di­fensori di Michele Notarangelo: chiederanno di escludere le ag­gravanti di premeditazione e mafiosità perché l’omicidio fu una vendetta privata di Della Malva e non un delitto legato alla guerra di mafia; e solleciteranno una condanna ridotta vista la confes­sione dell’imputato meritevole quindi delle attenuanti generi­che. Per il pm invece Michele No­tarangelo non merita le “generi­che” perché la sua sarebbe stata una confessione mininalista.

CUGINO DEL BOSS UCCISO

Giambattista Notarangelo era il cugino di Angelo Notarangelo, alias “Cintaridd”’, viestano al

vertice di quello che inizialmente era un unico gruppo malavitoso. Dopo la morte di “Cintaridd” a gennaio 2015,’ uno degli oltre 10 omicidi confessati da Raduano che lo eliminò per prenderne il posto, ci fu la scissione nel clan e la conseguente guerra: da una parte il gruppo Raduano alleato dei manfredoniani Lombardi/Ricucci/La Torre (ex gruppo Romi­to); dall’altra i Perna/Iannoli, vi­cini al clan dei montanari ricon­ducibile ai Li Bergolis.

4 KILLER, UNO MORTO

Se­condo l’accusa basta sulle rive­lazioni di 6 pentiti, furono 4 per­sone a uccidere Giambattista Notarangelo: oltre a Della Malva, Co­da e Michele Notarangelo, del gruppo di fuoco avrebbe fatto par­te anche Antonio Fabbiano che pochi giorni più tardi, la sera del 25 aprile 2018, fu ammazzato per vendetta dal clan Perna/Iannoli (ergastolo in primo grado a Gio­vanni Iannoli) in un agguato al

quale sfuggì. Raduano inizial­mente era accusato dalla Dda d’essere il mandante della morte di Giambattista Notarangelo. Quando si è pentito confessando il coinvolgimento in numerosi fatti di sangue, l’ex capo-clan ha però sostenuto di non essere respon­sabile anche della morte di Giambattista Notarangelo.

MAFIA E VENDETTA

Un movente mafioso e privato dietro la morte dell’allevatore, stando all’atto di accusa. Giambattista Notarangelo doveva essere puni­to per le sue presunte “intempe­ranze”; perché ritenuto vicino al gruppo rivale Perna/Iannoli; per­ché con la sua morte il clan Ra­duano volle rafforzare il proprio potere su Vieste, dando una le­zione a chi non ne riconosceva la supremazia; perchè avrebbe contrastato la relazione sentimentale tra Della Malva e una donna in passato sposata con un parente della vittima.

gazzettacapitanata