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FONDAZIONE CENTRO STUDI EMIGRAZIONE – CSER –

Intervista, rilasciata a Paolo Pegoraro della rivista “Credere”, di Padre Lorenzo Prencipe, missionario scalabriniano e presidente del Centro Studi Emigrazione Roma, sul tema delle conseguenze umane ed economiche dell’esternalizzazione dell’accoglienza dei migranti in Europa.


Ha fatto discutere il caso dei migranti portati in un Centro di rimpatrio (Cpr) in Albania con una nave militare il cui trattenimento non è stato convalidato dai giudici italiani. Da dove nasce l’idea di “esternalizzare” l’accoglienza dei migranti? Ci sono precedenti nel passato?

«È una misura molto contemporanea, che mette in luce come, negli ultimi dieci anni, l’approccio di fondo dell’Unione europea al fenomeno migratorio sia stato quello del contenimento, del respingimento e del rifiuto quasi sostanziale dell’immigrazione. Le uniche eccezioni sono argomenti strumentali o funzionali, che vedono nei migranti la soluzione per la crisi del mercato del lavoro, della denatalità e della decrescita demografica. Credo che questo sia condizionato dal fatto che molti governi e partiti politici hanno riscoperto nella gestione del fenomeno migratorio un utile capro espiatorio contro cui alimentare il senso di difficoltà emergente dalla crisi economica e lavorativa. Insomma, una chiave per il successo elettorale».

L’Inghilterra si accorda con il Ruanda, l’Olanda con l’Uganda, la Danimarca con il Kosovo, l’Italia con l’Albania. Dietro l’apparenza di un accordo bilaterale, c’è il ricatto di Paesi ricchi su Paesi più poveri…

«Alla base c’è un presupposto mai esplicitato, e cioè che gli squilibri di carattere economico-sociale e politico di determinate aree del mondo siano colpa dei Paesi o delle aree in questione. Quando invece sappiamo che la responsabilità è da attribuire alla presenza nefasta e predatoria, protratta talvolta per secoli, di molti Paesi europei in aree del mondo che consideriamo in fase di sviluppo. Inviare loro quelle persone che non vogliamo gestire chiude il cerchio di un atteggiamento di assoluta indifferenza verso l’altro».

Strutture costosissime, rimpatri intercontinentali e, talora, effetti ridotti. Quanto siamo disposti a pagare, pur di non vedere i migranti?

«Tantissimo. Non solo in denaro, in mezzi di trasporto o di dissuasione, ma a livello di cancellazione di una parte della nostra umanità. Il governo italiano, come pure altri, affermano di aver ridotto drasticamente i flussi migratori. Sì, ma dove sono finiti? In quali lager, in quali reti di sfruttamento criminale, in quali situazioni di degrado umano abbiamo spinto queste persone? Dove li abbiamo mandati a morire? I deserti algerini, tunisini e libici sono disseminati dei corpi di questi migranti che noi oggi ci gloriamo di aver fermato. E questo è il prezzo più elevato e gravoso che paghiamo: la disumanizzazione della società e della convivenza sociale».

La dissuasione risolve l’immigrazione?

«Il nostro fondatore, san Giovanni Battista Scalabrini, direbbe che abbiamo incentivato le leggi di polizia, ma che effetto ottengono le leggi repressive nei confronti della migrazione? Non la fermano, semplicemente la deviano altrove. Il flusso migratorio si sposta dai porti italiani a quelli spagnoli, o verso Capo Verde e altre isole. Dove? All’approccio euro-sovranista fondamentalmente non interessa, basta che stiano lontani. È un discorso umanamente inaccettabile».

Ci sono poi i limiti di legge. Alcuni Paesi scelti come approdo non sono sicuri, come non lo sono altri scelti per i rimpatri. Si possono dichiarare sicuri alcuni Paesi per decreto-legge?

«È la maniera più indolore, più neutra e… più assurda. Finora le dichiarazioni della Corte europea hanno smentito questa procedura, ma per il 2026 il nuovo patto dell’Unione europea per l’immigrazione e l’asilo ha trovato l’escamotage di non dichiarare più sicuri i Paesi nella loro totalità, ma solo alcuni territori, che quindi vengono scelti per rimpatriare i migranti. Ma il vero problema è l’approccio globale verso queste persone che fuggono situazioni economiche e climatiche invivibili, come pure da guerre, persecuzioni e violenze. Ogni richiesta di asilo va valutata caso per caso, persona per persona. Nessuno può essere messo in un sacco generico da rimpatriare a destinazione».

Il primo arrivo in Albania è stato di poche persone. E se i numeri dovessero crescere?

«Fino a quando ci sarà una magistratura capace di agire in maniera libera e indipendente, i casi di ricorsi e di annullamento delle detenzioni probabilmente si moltiplicheranno. Mettendo così in luce come tutti questi sforzi volti a contenere, respingere e rimpatriare avrebbero potuto essere fatti per accogliere, integrare, valorizzare, aiutando queste persone a inserirsi nella società e nei mercati del lavoro».