«Una volta che hai raggiunto l’obiettivo di emergere, devi passare al livello successivo cioè: come li gestisco i flussi?»
II pugliese Luca Caputo («Nato a Casarano, ma ci tengo a dire che sono di Melissano», sottolinea), è uno tra i più affermati Destination Manager nazionali ed è direttore generale di Destination Verona & Garda Foundation, la Fondazione che gestisce tutto il turismo di quell’area ricchissima. Con la sua regione d’origine ha mantenuto una forte connessione e, a suo avviso, se la Puglia vuol crescere e crescere bene, anche destagionalizzando i flussi di visitatori, deve voltare pagina.
Partiamo dal principio: cosa è una “destinazione” e, quindi, cosa fa un Destination Manager?
«Diciamo che le organizzazioni turistiche che, prima, erano in mano alla politica per cui alla Provincia, alla Regione o altra autorità più pubblica che privata, nel tempo si sono evolute, soprattutto a livello europeo, divenendo Dmo-Destination Management Organization (in italiano, un’Organizzazione per la gestione delle destinazioni turistiche; ndr). E siamo indietro di almeno 15 anni rispetto a quel tipo di modello, cui oggi guardiamo con molto interesse dall’Italia. Mentre prima c’era una delimitazione geografica e si lavorava molto sulla promozione, nel tempo la destinazione è diventata sempre più qualcosa che è alla stregua di una organizzazione privata. Usciti dalla dinamica della geografia, il tema è diventato “come le aree possono strutturarsi?”. Si è posto anche un tema di professionalità.
Un’organizzazione “dal basso” da parte degli operatori d’un territorio?
Si. ma coordinati da un team professionale, più che da un livello politico».
La Dmo ha un assetto societario?
«Sì tendenzialmente sì e, nel tempo, è cambiata. Si è partiti col classico consorzio pubblico-privato che in Italia è la forma più longeva, quindi con la parte pubblica (il Comune, la Provincia piuttosto che la Regione) e il coinvolgimento dei privati. Il problema, però, è che questa forma è diventata problematica perché al suo interno non si sono andati a creare veri e propri team che lavorassero sulle esigenze del turismo. Oggi questo non è più possibile. Oggi, sempre intermediando il lavoro del pubblico e il coinvolgimento “dal basso” degli operatori, occorre creare ima sorta di terra di mezzo e creare veri e propri team con modelli che possono variare. Se ieri il modello era il consorzio, oggi quello che va per la maggiore è la Fondazione, che può essere totalmente pubblica oppure no. Nella Destination Verona & Garda Foundation, per esempio, ci sono la Camera di Commercio di Verona più 70 Comuni».
Se non erro è stata la seconda Fondazione di questo tipo in Italia?
«La prima in Veneto, ma la prima in assoluto è ad Arezzo. E il Veneto ha anche creato la legislazione delle Dmo, perché sono necessarie le condizioni normative adatte».
Che norme sono state introdotte per esempio?
«Ha riconosciuto le Dmo e ha attribuito loro, e a loro soltanto, il compito di essere le organizzazioni di promozione e govemance del turismo. Si è quindi passati dalla promozione alla promo-commercializzazione. Per esempio, con la possibilità di gestire gli attrattori culturali, i musei. Il Veneto ha fatto una legge ad hoc e ha avviato un processo in cui le varie Dmo hanno avuto’la libertà di poter pensare a meccanismi come la Fondazione e questa permette di superare i limiti delle Dmo».
Per esempio quali?
«Le Dmo spesso non possono vendere servizi. Se io oggi volessi prenotare un tour, andrei da un tour operator o dall’associazione “ics”. Le Dmo evolute devono poter fare anche questo, cioè devono permettere al turista che è già qui, di accedere a quell’attività attraverso il portale di destinazione, che è il portale di vendita ufficiale. E, quindi, in Veneto due Dmo, Città di Verona e Lago di Garda, si sono messe insieme e hanno creato la Fondazione che oggi conta 70 soci più la Camera di Commercio. La Fondazione può vendere tour, pacchetti e, avendo per soci i Comuni, può gestire il museo, gli ingressi, lo sbigliettamento. È la possibilità di affidare sempre più a un ente unico la promozione, la govemance. Nelle destinazioni più evolute è questa la norma».
Del “caso Puglia”, che ne pensa?
«Ha fatto quello che tutte le destinazioni, nel loro ciclo di vita, hanno dovuto fare. In primo luogo, ha dovuto trovare il proprio posizionamento e ha dovuto dire che “esiste” e che ha caratteristiche diverse, proprie, le Puglie. È stata brava a posizionarsi dal punto di vista della promozione. Secondo me si sta affrontando tardi la questione della governance. Forse si doveva affrontare prima il tema che non si può fare promozione per 10 anni. Cioè, una volta che sul mercato ti “vedono” e sei conosciuto, hai raggiunto l’obiettivo di emergere e sai che la tua destinazione avrà flussi importanti, devi passare al livello successivo cioè: come li gestisco i flussi? E qui è stato anche fatto qualcosa. Penso alla società Aeroporti di Puglia con la quale si è riusciti a evitare di avere un gestore per ciascun aeroporto. Ma la governarne è importante. Per esempio, parlare della destagionalizzazione chiama in causa il vero obiettivo delle Dmo che è costruire promo-commercializzazione. Cioè non basta più dire al turista: “Vieni in un altro periodo perché la Puglia è bella”. Bisogna capire, nel periodo che tu vuoi mettere in rilievo, che voli ci sono? Che mercati? Quali i flussi? Quali sono le vacanze di quel tipo di mercato? E vedere, in quel periodo lì, quali operatori sono aperti? Cioè la destagionalizzazione con chi la facciamo? Il lavoro mio, del Destination Manager, è anche capire quali sono le realtà che vogliono cambiare il modo di fare turismo. Non posso dire nulla a chi vuol stare aperto solo 4 mesi, ma devo capire chi a febbraio, a marzo, può essere aperto. E ciò su tutta la filiera».
Praticamente “rammendate” l’offerta?
«Sì e facciamo emergere chi vuole davvero cambiare».
E per le criticità che impattano con l’offerta turistica, i disservizi, la spazzatura, i trasporti, in che modo può essere utile avere questa govemance?
«Sono tutti elementi su cui la Dmo o la Fondazione non interviene direttamente, ma diventano oggetto di discussione. Mi spiego, noi per esempio abbiamo un Osservatorio e un sistema di business intelligence con cui leggiamo non solo lo storico, ma facciamo anche previsioni, quindi abbiamo sia una visione a campione dell’alberghiero sia dell’extralberghiero, che spesso è quello che sfugge. Perché andare a mettere a tema le previsioni di flussi e gli impatti consente di andare a mettere a punto le cose in anticipo. Noi, per esempio, possiamo dire quanto dell’alberghiero e quanto dell’extralberghiero impatterà sul territorio. È una lavoro che stiamo facendo con un Comune che conta 2.500 abitanti e ha 3 milioni di presenze durante l’anno perché ha molti campeggi. Ecco, fornire loro i dati li sta aiutando ad affrontare il problema della raccolta differenziata. Noi non entriamo in gioco direttamente nelle scelte strategiche, ma forniamo i dati, gli strumenti, al Comune per fare le scelte più opportune».
«Questo momento di riflessione complessiva – conclude Caputo – ha portato a questa evoluzione nel turismo. Il Veneto l’ha fatto con i “numeri”, non ha aspettato di essere in calo. E, con quasi 18 milioni di presenze, potevano anche non porsi il problema. Ora ci è arrivata anche la Puglia (l’assessorato al Turismo di Gianfranco Lopane ha avviato a ottobre il percorso partecipato per lo sviluppo turistico della destinazione attraverso il progetto “Puglia Destination Go – Organizziamo il Turismo”; ndr). Forse è un po’ tardi, lo poteva affronare qualche anno fa quando era forte con “i numeri”, ma l’importante è che si faccia e presto».
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