Un ritrovamento eccezionale potrebbe riscrivere la storia dell’alimentazione umana.
In una grotta del Gargano, gli archeologi hanno scoperto una farina risalente a 32.000 anni fa, la più antica del mondo, secondo la Pagina Facebook ‘Gargano da Scoprire’.
Questo ritrovamento, avvenuto a Grotta Paglicci, dimostra che i nostri antenati preistorici lavoravano già i cereali per uso alimentare.
La scoperta è stata effettuata dall’Università di Siena, in collaborazione con altre istituzioni italiane.
Grotta Paglicci, situata nel Gargano, è uno dei siti archeologici più importanti del Mediterraneo.
Qui, un team di ricercatori dell’Università di Siena ha scoperto una farina risalente a 32.000 anni fa, ‘la più antica del Mondo’ secondo la Pagina Facebook ‘Gargano da Scoprire’.
Questo ritrovamento è stato possibile grazie all’analisi degli amidi rinvenuti su un pestello-macinello, proveniente dal livello 23A del sito, datato al Paleolitico superiore.
La maggior parte dei granuli di amido è stata attribuita a Poaceae, in particolare all’Avena barbata L., una pianta che cresce spontanea in Italia.
Questo rappresenta la prima testimonianza dell’uso di questo cereale.
Inoltre, sono stati trovati amidi che indicano la trasformazione in farina delle ghiande di Quercia.
Gli antichi cacciatori-raccoglitori di Grotta Paglicci vivevano in un periodo climatico più freddo dell’attuale e avevano sviluppato tecnologie complesse per la lavorazione delle piante prima della macinazione.
Lo studio ha rivelato un pretrattamento termico delle cariossidi, come bollitura, tostatura o arrostimento, che facilitava la macinazione e migliorava la conservabilità della farina.
Questo trattamento termico rendeva più agevole la macinazione, accelerava l’essiccamento dei chicchi, facilitava l’allontanamento del rivestimento esterno delle cariossidi e garantiva una maggior conservabilità della farina.
Nel caso dell’avena, sviluppava anche un particolare aroma non presente nel prodotto fresco.
La scoperta della farina più antica del mondo a Grotta Paglicci dimostra che lo sfruttamento delle risorse vegetali era molto importante per le popolazioni di cacciatori-raccoglitori.
I Gravettiani di Paglicci possedevano già un patrimonio di conoscenze che si pensava diffuso solo dopo l’alba dell’agricoltura.
Questo ritrovamento offre nuove prospettive sulla storia dell’alimentazione umana e sulle capacità tecnologiche dei nostri antenati preistorici.
La ricerca è stata condotta in collaborazione con l’Istituto italiano di Preistoria e Protostoria, la Soprintendenza Archeologia della Toscana e il dipartimento di Biologia dell’Università di Firenze.