Senza eredi è il titolo del mio nuovo libro, edito da Marsilio, e viaggia tra maestri veri, presunti e controversi in un’epoca che li cancella.
È un’impresa temeraria parlare di maestri in un’epoca che non conosce eredi e non si riconosce erede di niente e di nessuno. Non siamo eredi, non lasciamo eredi. Non ereditiamo niente, non lasceremo alcuna eredità. È questa, per dirla in modo diretto e brutale, la condizione odierna. Riguarda, in varia misura e a diversi livelli di coscienza, ciascuno di noi, nella vita personale e in quella pubblica e sociale. Ma non risparmia nessun ambito.
Viviamo in un’epoca di contemporanei senza antenati né posteri, uniti solo dal vago domicilio nello stesso tempo; non consorti, al più coinquilini. Nella storia dell’umanità questa è la prima epoca senza eredi, o quantomeno è la prima a non riconoscere eredità da custodire e da trasmettere. È la prima ad avvertire, come Luigi xv, che dopo di noi verrà il diluvio, che finirà con noi il mondo in cui viviamo.
Nessuno continuerà la nostra opera, nessuno salverà quel che poteva, doveva essere salvato di ogni eredità. Non lasceremo tracce, tutto sarà portato via dall’acqua e dal vento: l’acqua dell’oblio che cancella ogni orma e il vento della rimozione che spazza via ogni cosa. Il tempo non renderà giustizia, e nemmeno i posteri: il tempo non è galantuomo ma smemorato, scorre e scorda.
E i posteri, di questo passo, saranno privi di memoria storica e letteraria, e di coscienza critica. È l’epilogo coerente di una società senza padre, poi diventata società senza figli, società parricida e infanticida, all’insegna delle orfanità elettive. La società dei mutanti e dei no-nati, nel senso della denatalità e dell’aborto. Il nichilismo alla fine mantiene la promessa: di tutto resterà niente, dopo di noi il nulla.
A chi lasci i tuoi beni, il tuo patrimonio di vita, spirituale e reale, la tua biblioteca, la tua opera, il tuo archivio di ricordi, oggetti e pensieri? Ai topi e agli inceneritori. Da quel patrimonio verrà estratto al più il valore venale e mercantile, sarà quantificato e svenduto. Se privo di valore commerciale, vorranno disfarsene nel modo più rapido e indolore, roba da svuotacantine o da wc chimico. Dovrà svanire senza lasciare traccia di sé.
Anche in politica, leader e movimenti si presentano come il nuovo che avanza, effettuano radicali restyling che sono un periodico disfarsi delle eredità per apparire più adeguati al presente e meno gravati da ingombranti macerie. Altre app ci attendono, non è tempo di mantenere le vecchie. La storia in sé è un peso insopportabile. Figuriamoci la tradizione, che non è solo memoria, ma è pure connessione.
Sono disconosciuti i maestri, la loro opera e la loro lezione. Non hanno nulla da insegnare, perché provengono da un tempo arretrato rispetto al nostro, con tecnologie e modi di pensare e di vedere superati, per il tribunale supremo del presente. Nessun abitatore del passato può guidarci nel futuro, le sue chiavi di lettura non aprono le serrature del tempo che verrà. L’erede universale dei saperi è l’Intelligenza Artificiale; ma è erede anaffettiva del patrimonio accumulato: né anima né sangue, solo magazzino di dati.
Per reagire a questa amnesia, cancellazione ed emorragia, e salvare il salvabile, nasce questa raccolta di ritratti di maestri, che segue ai cento profili raccolti nel volume Imperdonabili. In gran parte si tratta di altri autori, ma ritornano alcuni imperdonabili esplorati sotto aspetti diversi. Sono miniature di saggi, succinte biografie, in cui c’è in nuce l’autore, l’opera e un pensiero su di loro.
Sono una settantina di ritratti non convenzionali, in vari casi sconvenienti. Da Pascal a Kant, da Burke a de Maistre, da Manzoni a Baudelaire, da Verga a Proust, da Kafka a Buzzati, alcuni grandi autori e altri contemporanei, anzi viventi. Non mancano i pensatori contrari al mainstream.
L’assenza di eredi riguarda anche loro, ma non solo loro: senza eredi sono prima di tutto i classici, i grandi del passato, gli imperdonabili di cui scrissi in un precedente saggio.
Gli autori affrontati non appartengono a uno stesso orizzonte. Sono diversi nei generi, tra letterati, pensatori, scrittori del giornalismo; differenti sono le loro sensibilità, le loro stature e i loro esiti. Il filo che li unisce è l’intelligenza della scrittura, la forza della loro testimonianza, pur disuguale. Non tutti ammirevoli, non tutti amabili. Ma in modi diversi rappresentano il variegato poliedro della cultura e della civiltà letteraria. Sono ritratti in gruppo eterogeneo, nei campi e nei tempi, come nella Scuola di Atene dipinta da Raffaello.
Ma di loro, come di ogni autore, grande e piccino, si può dire una sola cosa che davvero li unisce in un comune, avverso destino: non hanno più eredi. Speciale oblio dei maestri investe l’Italia che più di tutti poteva nutrirsi di prestigiose eredità nell’arte, nella lingua, nella letteratura, nel pensiero. Piccola nazione, grande civiltà; grande cultura, piccolo Stato; magnifica nelle arti, nella storia e nella civiltà, malfamata nella politica, nei servizi e nella vita pubblica.
Non ci sono maestri, nemmeno cattivi. Tutt’al più maestrini e funzionari intolleranti al servizio del pensiero vuoto e della visione cieca. Non maestri in grado d’insegnare qualcosa e orientare il pensiero verso una prospettiva realmente divergente rispetto allo status quo. Se c’è qualcuno, si colloca ai margini, inavvertito, nascosto, non pervenuto, disconosciuto, borderline, anzi oltre la linea. Mancando un pensiero, dispersi gli intellettuali, sparito ogni orizzonte di attesa, finiscono pure i cattivi maestri.
Al loro posto ci sono gli influencer, i manipolatori dei desideri, sull’onda delle tendenze, col loro potere di suggestione e di emulazione, tra mode e consumi; gli agenti pubblicitari, che veicolano e indirizzano la brama di merci usando modelli e tabù prescritti; i top model dello star system, gli impresari della comunicazione che non insegnano ma seducono e conformano, agendo sul linguaggio, sull’immaginario globale e sul narcisismo individuale di massa.
Tuttavia non ci rassegniamo e ripetiamo con il drammaturgo austriaco Franz Grillparzer: «Se il mio tempo mi vuole avversare, lo lascio fare tranquillamente. Io sono venuto da altri tempi e in altri tempi spero di andare». Nonostante tutto, continueremo a sentirci eredi di autori e tradizioni e a onorare i maestri, i padri, i fratelli maggiori. E, se saremo soli, vuol dire che saremo in compagnia degli dei, degli assenti, degli invisibili.