Sigilli a 400mila euro di beni: 4 persone sono accusate di peculato, falso ideologico, ricettazione, riciclaggio, reimpiego di denaro, di beni o utilità di provenienza illecita e autoriciclaggio.
Peculato, falso ideologico, ricettazione, riciclaggio, reimpiego di denaro, di beni o utilità di provenienza illecita e autoriciclaggio: sono le accuse nei confronti di quattro persone alla base dell’inchiesta dei finanzieri del Comando provinciale di Bari che stanno eseguendo, nelle province di Bari, Torino, Cremona e Lodi, un decreto di sequestro preventivo di beni per un valore complessivo di circa 400.000 euro, emesso dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale del capoluogo pugliese, su richiesta della Procura della Repubblica.
L’operazione costituisce l’epilogo di un’indagine, che ha permesso di svelare un utilizzo rilevante di denaro pubblico per fini esclusivamente personali da parte del dirigente generale ad interim e Dirigente amministrativo pro-tempore (poi deceduto) dell’Agenzia Regionale del Turismo della Regione Puglia, Matteo Minchillo.
I destinatari del provvedimento cautelare sono indagati in concorso tra loro e a vario titolo. Gli approfondimenti condotti dal Nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza, consistiti nell’acquisizione ed esame di documenti, accertamenti bancari, informazioni da persone in grado di riferire circostanze utili, acquisizioni di dati e notizie mediante la consultazione delle banche dati e fonti aperte, avrebbero acquisito riscontri ritenuti “rilevanti ed univoci” in merito al presunto utilizzo anomalo e continuo di una carta di credito ricaricabile assegnata, per ragioni di ufficio, al dirigente pubblico.
In particolare, la ricostruzione delle operazioni finanziarie, supportata dal raffronto con la documentazione amministrativa e contabile dell’ente pubblico, ha accertato le modalità con le quali il denaro pubblico, con il concorso dell’allora responsabile dell’Ufficio Pagamenti, sarebbe stato “dirottato” da un conto di tesoreria per eseguire ricariche su una carta di credito e, successivamente, utilizzato per effettuare prelevamenti diversi di denaro contante e sostenere spese di qualsiasi natura (dai viaggi all’acquisto di attrezzature per la ristorazione o il confezionamento degli alimenti a favore della ditta intestata al figlio del citato ex direttore generale), disattendendo quanto previsto dal Regolamento di contabilità e amministrativo dell’Agenzia e senza osservare alcuna procedura di verifica o rendicontazione della spesa.
L’esame degli estratti conto della carta di credito ha rilevato che le causali non facevano riferimento a determinazioni del direttore generale per liquidazione, come previsto, bensì a determine di impegno, che non avrebbero dato titolo per disporre pagamenti di somme e il cui richiamo, quindi, avrebbe rappresentato solo un espediente per dare una parvenza di regolarità al trasferimento dei fondi dal conto di tesoreria.
Inoltre, gli oltre 160 mandati di pagamento oggetto d’indagine recavano le causali più varie (quali, ad esempio: fondo cassa, rimborso spese, compenso al Direttore, premi assicurativi, traslochi, contributi a carico del personale, versamento per conto terzi, ecc…) ma, una volta accreditate, le provviste sarebbero state destinate ad altri utilizzi, evidenziando, secondo la Procura “una palese mancanza di collegamento tra le varie prestazioni oggetto di pagamento e le funzioni pubbliche istituzionali”.
Sul punto, è emersa l’inesistenza di qualsiasi documento giustificativo delle spese sostenute e l’assenza, negli archivi informatici dell’Ente, dei riscontri necessari circa gli avvenuti pagamenti in conformità ai mandati. Le condotte illecite sarebbero quindi da inquadrare “in un vero e proprio ‘metodo’ – sostiene la Procura – adottato per anni, dal 2017 al 2021, dai due citati dipendenti pubblici, attraverso cui gli stessi avrebbero sistematicamente distratto denaro pubblico, di cui avevano il possesso per motivi inerenti al proprio ufficio, appropriandosene per finalità di natura esclusivamente personale”.
I riscontri investigativi avrebbero anche individuato diversi trasferimenti di fondi a favore dei familiari del principale indagato, poi deceduto, “i quali, nella consapevolezza della provenienza illecita del denaro, avrebbero contribuito a ‘ripulire’ le somme a loro accreditate, nonché a ‘reimpiegare’ i beni strumentali acquistati con i soldi pubblici nell’attività di ristorazione”. Il gip, su richiesta della Procura, ha emesso il decreto di sequestro preventivo, da eseguirsi anche per equivalente, per un valore complessivo di circa 400.000 euro quale presunto profitto dei reati contestati.
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