Secondo i difensori di Michele Notarangelo, reo confesso, l’omicidio del suo omonimo Giambattista Notarangelo non fu un delitto di mafia come sostenuto dalla Dda, ma legato a dissapori di natura privata tra la vittima e Danilo Della Malva, poi pentitosi. Per questo gli avv. Francesco Americo e Salvatore Vescera hanno chiesto al gup di Bari Vittorio Rinaldi di condannare al minimo della pena Michele Notarangelo, escludendo le aggravanti di premeditazione e mafiosità contestate dalla Dda che sollecita invece l’ergastolo per il presunto killer.
Così le ultime arringhe nel processo abbreviato a 5 viestani coinvolti nell’inchiesta sull’omicidio di Giambattista Notarangelo, assassinato a 46 anni il pomeriggio del 6 aprile 2018 mentre era in campagna per dar da mangiare ai maiali. Raggiunto da 16 colpi di pistola e fucile e lasciato agonizzante; delitto che secondo la Direzione distrettuale antimafia è legato alla guerra tra il clan Raduano e i rivali del gruppo Perna/Iannoli cui era ritenuta vicina la vittima.
Il gup pronuncerà a gennaio la sentenza, con pene scontate di un terzo in caso di condanna vista la scelta difensiva di rito abbreviato in quanto all’epoca del delitto non era ancora in vigore la norma che vieta il giudizio abbreviato per reati che prevedono il carcere a vita. Il pm Ettore Cardinali nell’udienza del 29 ottobre ha chiesto l’ergastolo per Michele Notarangelo, 28 anni, già detenuto in quanto sconta 20 anni per droga e tentato omicidio; 10 anni per Danilo Pietro Della Malva, trentottenne, pentito; 8 anni e 4 mesi per Orazio Coda, trentacinquenne, pure collaboratore di Giustizia, entrambi rei confessi.
I tre garganici sono accusati di omicidio aggravato da premeditazione e mafiosità, porto illegale delle armi usate per l’agguato, ricettazione. La Dda ha poi chiesto 2 anni per l’ex boss Marco Raduano, quarantunenne pentitosi lo scorso marzo, che risponde di ricettazione dell’auto e delle armi usate per l’omicidio; e 4 anni per Michele Lapacciana, ventottenne, accusato di spaccio, favoreggiamento e possesso d’armi perché avrebbe ricevuto ad agguato avvenuto le armi usate per il delitto. Secondo la Dda, l’omicidio di Giambattista Notarangelo (cugino di Angelo Notarangelo alias “Cintaridd”, ammazzato a gennaio 2015 quando era ritenuto al vertice di quello che inizialmente era un unico gruppo criminale prima della scissione in clan Raduano e clan Pema/Iannoli) fu un omicidio di mafia firmato da esponenti del clan Raduano per il controllo della piazza di Vieste, per intimorire i rivali, per punire la vittima per le sue presunte “intemperanze”.
Quattro persone ammazzarono il viestano: oltre ai tre imputati sotto processo del commando avrebbe fatto parte anche Antonio Fabbiano che pochi giorni dopo, la sera del 25 aprile 2018, fu ucciso a sua volta in un agguato al quale scampò Michele Notarangelo, per il quale Giovanni Iannoli, esponente di vertice del grappo Perna/Iannoli, è stato condannato in primo grado all’ergastolo lo scorso 28 giugno dalla corte d’assise di Foggia.
Michele Notarangelo nell’udienza del 29 settembre rendendo dichiarazioni spontanee ammise il coinvolgimento nell’omicidio, sostenendo d’aver sparato alle gambe a Giambattista Notarangelo su sollecitazione di Della Malva; la vittima si scagliò contro di lui, intervennero Della Malva e Fabbiano che uccisero il viestano. Michele Notarangelo aggiunse che non fu un delitto di mafia ma commesso per volere di Della Malva che aveva una relazione con una donna in passato sposata con un parente di Giambattista Notarangelo e quest’ultimo avrebbe contrastato quella relazione.
Dichiarazioni subito replicate da Della Malva: Giambattista Notarangelo – disse il pentito – fu assassinato nell’ambito della guerra tra clan rivali. Gli avv. Vescera e Americo, difensori di Michele Notarangelo, nelle arringhe si sono richiamati alle dichiarazioni dei pentiti Raduano e Coda per sostenere che Giambattista Notarangelo fu ucciso per ima vendetta privata voluta da Della Malva, per cui non sussisterebbero le aggravanti di premeditazione e di mafiosità che farebbero venir meno il rischio ergastolo.
I difensori hanno rimarcato che Raduano, reo confesso di una dozzina di omicidi e prima del suo pentimento sospettato d’essere il mandante anche di questo delitto, ha invece escluso che diede ordine di uccidere Giambattista Notarangelo non considerandolo un suo nemico.
L’ex boss ha riferito d’essere stato dell’omicidio qualche ora dopo da Coda. E ne parlò poi con lo Della Malva: “a quest’ultimo esternai la mia disapprovazione per l’omicidio, lui si giustificò dicendo d’aver saputo che Giambattista Notarangelo e… volevano ucciderlo e che la vittima era una persona pericolosa. Io però ho pensato che fosse un pretesto perché in quel periodo Della Malva aveva una relazione con una donna imparentata con la vittima”.
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