Abbiamo tanto parlato di archeologia nei nostri post, presentando siti straordinari (e ne presenteremo molti altri più in là) che impreziosiscono i territori del Gargano e della Daunia, rendendoli di fatto tra le località più ricche di reperti archeologici.
C’è un altro campo della materia archeologica, però, che spesso riceve poca attenzione da un punto di vista divulgativo: l’archeologia subacquea.
Il Gargano, per esempio, è circondato per 3/4 dall’acqua, rendendo il promontorio quasi un’isola. Infatti, le etnie garganiche hanno vissuto e subìto un’evoluzione storica importante sia come culture montane che marittime: il mare è stato fondamentale per lo sviluppo socio-culturale delle nostre comunità, che lasciarono in esso tracce importanti tanto quanto quelle presenti nella terraferma.
Marina Mazzei, nel suo “L’oro della Daunia”, ci spiega che solo negli anni ‘70 l’avvio dell’archeologia subacquea in Italia trova proprio nei mari della Daunia uno del primi campi di esperienza che da allora, tuttavia, poco ha progredito.
Luogo principale di interesse, le Isole Tremiti: note per più di un relitto affondato in un raggio piuttosto ampio dell’arcipelago, diventano la base di un campo di ricerca duratura, nel 1980-1982. Il caso, rimasto solo nel Foggiano, è quello dello scavo sistematico del relitto delle ‘Tre Senghe’, affondato presso la punta dell’isola di San Domino.
Altre scoperte si sono susseguite successivamente, ma di esse nessuna è stata oggetto di uno scavo, semmai solo di prospezioni come quelle al largo della Villa di Agnuli (Mattinata, 1989), e quelle condotte da Giuliano Volpe al porto di Vieste (1987), al relitto di Baia di Campi (Vieste) e nelle acque di Margherita di Savoia antistanti Torre Pietra (1987).
La Soprintendenza Archeologica ha promosso negli anni ‘90 un’iniziativa dal taglio volutamente didattico per questa scienza e le sue esperienze in Daunia, allestendo con l’Universtà di Bari un’esposizione sull’argomento presso il Museo Nazionale di Manfredonia (1996) con il preciso intento di istituire, presso la sede del castello, un centro operativo per l’archeologia del mare della Daunia.
Giuliano Volpe aggiunge, in un articolo del 1989, che questo ‘ritardo’ non è stato dovuto certamente a una scarsa consistenza del patrimonio archeologico subacqueo della Daunia o a mancanza di interesse da parte degli addetti ai lavori verso questo campo di attività, ma è piuttosto un sintomo dell’assenza di una ricerca archeologica subacquea sistematica nella nostra regione.
“L’archeologia sottomarina in Puglia rappresenta un tipico caso di crescita ritardata, come, del resto, ce ne sono molti altri in Italia: se per età anagrafica è ormai più che adulta, avendo raggiunto quasi trent’anni, quanto a sviluppo è ancora nella piena fanciullezza” (Gianfrotta, 1988).
Come accennato sopra, è stato necessario attendere gli anni ‘80 per avere il primo scavo scientifico effettuato su un relitto con un carico di anfore romane individuato nelle acque delle Isole Tremiti.
Il Volpe continua dicendo che lungo tutto il litorale daunio, ricco di porti e approdi, sono stati effettuati numerosi rinvenimenti e recuperi occasionali, tra i quali si possono selezionare alcuni esempi: un relitto con un carico di blocchetti di marmo su cui sono dipinte in rosso alcune cifre, segnalato a Vieste nella zona in cui presumibilmente si trovava il porto antico della città, che per alcune ipotesi si propone di identificare con Uria; un relitto con un carico di embrici a sud di Vieste; numerosi recuperi di ancore e anfore commerciali effettuati in vari punti del litorale, da Vieste a Manfredonia e più a sud fino a Barletta.
In questo contesto, acquistano particolare importanza le ricerche avviate nelle acque di Margherita di Savoia, lungo il litorale antico di Salapia, forse la città portuale più importante della Daunia antica.
Come ci racconta Strabone, infatti, “da Bari fino al corso dell’Aufidus, sulle rive del quale si trova l’emporion dei Canosini, intercorrono 400 stadi, a cui bisogna aggiungerne 90 per risalire al porto stesso. Non lontano si trova Salapia, il porto della città di Argirippa”.
Riguardo Torre Pietra, presso Margherita di Savoia è da rimarcare che i numerosi materiali recuperati consistono prevalentemente in frammenti di anfore romane, tutte databili tra il I secolo a.C. e il II d.C.; oltre a esemplari di anfore ‘Lamboglia 2’, sono infatti presenti, in quantità maggiore, anfore ‘Dressel 6A’, ‘Dressel 2-4’, anfore cosiddette “con orlo a imbuto, anforette a fondo piatto (cosiddette ‘di Forlimpopoli’).
Tra gli altri materiali ceramici, oltre ad alcuni frammenti di tegami in ceramica comune, è particolarmente interessante il recupero di una coppetta di tipo ‘Hayes 74A’ in ceramica sigillata orientale B, databile tra il 70 e il 120 d.C. (fig. 23) (Hayes, 1985): si acquisisce così un nuovo elemento sui rapporti commerciali dello scalo salapino con il Mediterraneo orientale, già documentati dal rinvenimento in passato di varie anfore egee.
È fondamentale porre l’attenzione sulla necessità non soltanto dello studio ma anche della tutela del materiale archeologico ancora non recuperato, avviando anche una ricerca più sul lungo termine, affinché tale ulteriore ricchezza proveniente dal mare possa contribuire ad arricchire ulteriormente la storia del nostro territorio, unico e da sempre prezioso e senza uguali.
– “L’oro della Daunia. Storia delle scoperte archeologiche“, Marina Mazzei, Claudio Grenzi Editore, 2002.