L’esercito di pentiti della mafia garganica – 12 dal 2017 a oggi, già 5 dall’inizio dell’anno tra cui il boss Marco Raduano – sta delineando ai pm della Dda scenari, strategie, affari, killer e responsabilità della sanguinosa guerra che dal 2009 al 2022 ha contato 34 fatti di sangue con 24 morti, 1 lupara bianca, 21 feriti/miracolati: c’è chi scampato una/due volte alla morte, è poi comunque caduto sotto i colpi della lupara.
La risposta investigativa-giudiziaria al momento parla di 15 arresti, una ventina di imputati e una decina di condanne, tra cui 3 ergastoli di cui 2 definitivi. Per efferatezza e gravità in cima a questa scia di sangue c’è la strage del 9 agosto 2017 con 4 vittime nelle campagne di San Marco in Lamis: 3 sicari al comando del clan Li Bergolis pur di ammazzare il boss rivede Mario Luciano Romito uccisero anche il cognato, e i fratelli Luciani questi ultimi solo perché transitarono sul luogo dell’agguato diventando potenziali testimoni. Al momento è stata accertata la responsabilità del solo basista, Giovannni Caterino, condannato all’ergastolo.
A Vieste dal 2015 al 2022 la rivalità tra il clan capeggiato dall’ex boss Marco Raduano pentitosi lo scorzo marzo quando ha confessato ima dozzina di omicidi, e l’ex alleato Girolamo Perna, ucciso nell’aprile 2019, e i cugini Giovanni e Claudio Iannoli ha contato 10 morti, 1 lupara bianca, e vari agguati falliti con 14 feriti/scampati.
Tra Monte S. Angelo, Manfredonia, Mattinata, S. Marco in Lamis la guerra tra i Li Bergolis e gli ex soci Romito ha cadenzato dal 2008 al 2019 ben 15 sparatorie con 14 morti e 7 feriti/illesi. Ma bisogna guardare a questa scia di sangue come a fronti di guerra incrociati perché l’ex clan Romito, che ora nelle mappe della criminalità viene definito gruppo Lombardi/Ri- cucci/La Torre, è alleato del clan Raduano; mentre il “clan dei montanari”, ossia il gruppo Li Bergolis ora ridenominato Li Bergolis/Miucci, è legato alla batteria Perna/Iannoli. Senza dimenticare o sottovalutare che entrambi gli schieramenti hanno l’appoggio della potente “Società foggiana”; gli ex Romito sono vicini al gruppo Moretti; il gruppo Li Bergolis/Miucci è storicamente legato ai Sinesi/Francavilla.
Alleanza significa poter contare su killer in trasferta (foggiani che uccidono sul Gargano e garganici che scendono nel capoluogo) e su protezioni per latitanti sotto forma di covi, soldi, auto, schede telefoniche, vestiti, cibo.
Inizialmente la mafia garganica era un monolite. Un solo “clan dei montanari” che vedeva alleati i Li Bergolis e i Romito, dominante su quasi tutto il Promontorio grazie a una serie di alleanze. Come quella su Vieste col gruppo capeggiato da Angelo Notarangelo “Cintaridd”. Il maxi-processo alla mafia garganica (99 arresti a giugno 2024; 102 imputati; oltre 40 condanne per mafia, droga, omicidi, estorsioni) si concluse con l’assoluzione dei Romito e le condanne dei Li Bergolis, anche grazie alle prove trovate dai carabinieri che avevano come, informatori alcuni dei Romito. La scoperta del “tradimento” aprì il fronte di guerra tra gli ex amici-alleati.
A Vieste fu l’omicidio di “Cintaridd” a gennaio 2015 a sancire l’ascesa inizialmente di due suoi uomini, Marco Raduano e Girolamo Perna che poi finirono per dividersi e aprire il nuovo fronte di guerra.
Essenzialmente 2 blitz della Dda, basati su pentimenti e che hanno alimentato ulteriori collaborazioni con la Giustizia, hanno decimato i clan garganici. Prima “Omnia nostra”, che poggia anche su alcuni pentiti, contro i Lombardi/Ricucci/La Torre e gli alleati della batteria Raduano; il 7 dicembre 2021 i carabinieri del Ros arrestarono 32 persone. Sono 45 gli imputati a giudizio divisi in 3 tronconi processuali, accusati a vario titolo di 57 imputazioni: 2 omicidi, 1 omicidi, mafia contestata a 26 persone, 13 estorsioni e tentativi di estorsione, 11 imputazioni di spaccio di droga, 10 per possesso di armi, rapina, ricettazione di gioielli, truffa all’Inps.
Trasferimento fraudolento di beni, autoriciclaggio, incendio, favoreggiamento di 3 latitanti, intralcio alla giustizia, violenza privata. Il 15 ottobre scorso c’è stata l’operazione interforze “Mari e monti” contro il clan Li Bergolis/Miucci (Enzino Miucci è il reggente in assenza dei cugini Armando, Matteo e Franco condannati a pene pesantissime nel 2009 nel maxi-processo alla mafia garganica) basata anche sulle dichiarazioni di 19 pentiti.
Eseguiti 39 arresti per 48 capi d’accusa- mafia contestata a 25 persone in concorso con altre 7 uccise nel corso degli anni; e poi imputazioni a vario titolo per traffico di droga, spaccio, estorsioni, armi, rapine, ricettazione, intestazione fittizia di beni furto e favoreggiamento di latitanti. L’omertà di un tempo è finita, da tempo. Il muro del silenzio non si è soltanto crepato, ma sta cedendo.
Lo dimostrano i 12 collaboratori di Giustizia dal 2017 a oggi; 11 negli ultimi 4 anni; 5 da inizio 2024. Pentiti sfornati tutti o quasi dal clan Raduano e dall’ex clan Romito, mentre all’interno del gruppo Li Bergolis/Miucci si è ancora fedeli alla regola del tacere. Con due eccezioni “parziali”; sia Marco Raduano sia il suo ex braccio destro Gianluigi Troiano hanno confessato d’aver fatto parte inizialmente della cellula viestana del gruppo Li Bergolis/Miucci.
Raduano decise di lasciarlo e passare con i Romito (svelando ai nuovi alleati strategie e obiettivi dei rivali) nell’autunno 2016 in seguito all’omicidio del cognato Gianpiero Vescera, convinto che a farlo fuori fossero stati proprio Miucci e Perna. Troiano ha fatto parte del clan Li Bergolis/Miucci sino al luglio 2017 (ma già da qualche tempo faceva la spia per il gruppo Raduano) quando tradì l’amico Omar Trotta, contribuì alla sua morte, e passò con Raduano che gliel’aveva detto chiaro e tondo: “ti vuoi salvare? Perché se no pure tu stai nella lista nera. Mi devi vendere Omar”. Lui lo vendette. Eppure c’è chi li definisce uomini d’onore.
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