Il deserto e dopo
1961
Con le liriche prose di viaggio, pubblicate sulla Gazzetta del Popolo di Torino e raccolte poi in II deserto e dopo edito nel 1961, Giuseppe Ungaretti (1888- 1970) ha lasciato un’intensa prova, “un calore carnale”della scoperta. Dalla cattedrale romanica di Siponto alla tomba di Rotari a Montesantangelo, dalla Madonna Sipontina dai grandi occhi all’angelo nella caverna (“Come Santa Maria Maggiore di Siponto è la chiesa dei pescatori, questa è la chiesa dei pastori”), più che un cammino, quello di Ungaretti, è un periplo nella luce di primavera del Gargano. Il 1° aprile 1934, domenica di Pasqua, Giuseppe Ungaretti è affascinato intimamente dal luogo (“Dall’alto, così muoversi a perdita d’occhio, non avevo mai visto il grano giovane”) e dalle voci che sente e che riporta: li mazzaredde, li fascinedde, l’ostia chiene, li puparatidde paiono rivestirsi ancora della suggestione fonica della sua parola commossa.
Una casa azzurra e gialla
Con qualche torre che ci seguita, bruscamente entriamo in una selva di fichidindia. Il ficodindia non è una rarità. L’abbiamo incontrato tante volte a fare da siepe, o addossato a un rialzo di macerie, o come un’elefantiasi contendere lo spazio nei campi d’agrumi. Ma un intrico assoluto di questo verde idropico che tolga il respiro così a lungo, fino ai piedi del monte, può essere una sorpresa. Con che gioia uno di quegli ahuan che mangiano il vetro e i serpenti entrerebbe qui dentro e divorerebbe le foglie spinose, che evocano perfino la roccia nella loro mostruosità. Ma, sarà per un dolce venticello che muove quella pesantezza, ora tutte quelle foglie, quelle enormi orecchie sorde, sembrano essere salite sul naso di pagliacci equilibristi.
E alle radici del Gargano, mentre la selva grottesca continua la sua risatina e ora vi ride alle spalle, e voi tornate invece a pensare a muri merlati nascenti dal mare, una casa azzurra e gialla vi accoglie sola sola. Un altro miracolo. Nel progetto di massima del 1902 per la distribuzione dell’acqua non erano compresi i comuni di Montesantangelo. E se l’acqua non riusciva mai ad arrivare dove avevano allora stabilito che dovesse arrivare, come avrebbe fatto ad arrivare un giorno lassù in cima? Nel 1925 si dà ordine che si compili un progetto di massima perché l’acqua vada fino lassù. Nel 1928 vengono compilati altri progetti esecutivi e i lavori vengono senz’altro rapidamente eseguiti.
Non era una cosa facile. Sono stati risolti ardui problemi d’ingegneria che si presentavano per la prima volta con semplicità, come sempre quando si fa sul serio.
Ed ecco che, nella casa gialla ed azzurra, ora si muove l’impianto di sollevamento: sono pompe a stantuffo accoppiate a motori Diesel sono le braccia e i polmoni d’acciaio di migliaia di ciclopi che mandano, senza affannarsi, silenziosamente, come nulla fosse, dallo spazio di poche decine di metri, una quarantina di litri d’acqua al secondo a un’altezza di quasi mille metri. Tutto questo organismo nero fa l’effetto di un’enorme dissimulata violenza che basta una mano d’uomo a dominare e a regolare senza sforzo.
Conquista del sasso
Il Gargano è il monte più vario che si possa immaginare. Ha nel suo cuore la Foresta Umbra, con faggi e cerri che hanno 50 metri d’altezza e un fusto d’una bracciata di 5 metri, e l’età di Matusalemme; con abeti, aceri, tassi; con un rigoglio, un colore, l’idea che le stagioni si siano incantate in sull’ora di sera; con caprioli, lepri, volpi che vi scappano di fra i piedi; con ogni gorgheggio, gemito, pigolìo d’uccelli…
Ma queste pendici che vanno giù verso Manfredonia sono tutto sasso. Salendo da questo Iato verso Montesantangelo la vegetazione è tutf altro che facile. Ma questa è la giornata degli spettacoli commoventi. Giù, vedete, si estende a perdita d’occhio la pianura: terra, terra. E con tanta terra a due passi, guardate questi montanari: vanno a cercare la loro terra avara col cucchiaino; e quando trovano nel sasso un interstizio: giù quel granellino di terra. Sono arrivati cosi, conquistando un millimetro dopo l’altro, a rendere fruttuoso anche questo versante, e ora è tutto diviso a terrazze che fanno l’effetto di snodarsi sul suo dorso come lentissimi bruchi.
Mi dice uno che sta zappando:
«Avresti dovuto vedere quest’estate! Il nostro grano era alto così! Il più bello di tutta la Capitanata!».
Mi dava del tu, davvero era un Antico!
giuseppe ungaretti